12 Dicembre 1925 – Il furto del simulacro originale di Maria SS. di Capo d’Orlando- Seconda parte
di Giuseppe Ingrillì
Dopo aver lasciato liberi i circensi e aver diramato l’avviso di ricerca in tutta Europa dell’acrobata francese tutto si ferma, come se si fosse esaurita ogni ipotesi investigativa e si brancolasse nel buio, non ci resta che pensare che le indagini furono condotte in maniera approssimativa, con perdita di tempo prezioso in piste che sembravano più divergere dai ladri che avvicinarsi. Lo stesso furto sembra una messinscena organizzata per allontanare i carabinieri. La trave appoggiata al campanile servì veramente a scalare il campanile? Ogni domanda presenta una risposta diversa che porta ad una considerazione sul furto diversa, creando un percorso che ci porta ad altri ragionamenti. Perché il calice fu gettato nello spiazzale, serviva a simulare, o far credere che il furto era per denaro e l’averlo abbandonato era il segno che, forse, l’arrivo di padre Mancari aveva infastidito i ladri che fuggivano dal prelato? In verità fin dalla mattina del 12 dicembre il furto risulta pianificato sotto ogni aspetto: la totale assenza di persone in chiesa per tutta la notte lascia il tempo di agire; la rituale presenza del sacerdote Mancari ogni mattina alla stessa ora lascia tempi certi per operare il furto; l’obbiettivo è facilmente accessibile, non si trova né in una cassaforte né in una grata chiusa con chiave. Anche i fedeli probabilmente arriveranno poco prima della messa, evitando così spiacevoli sorprese. Ipotizzando che a dicembre albeggi per le 6.30 e l’arrivo di Padre Mancari è previsto per le 7.30 con messa verso le 8, si corre il rischio di essere scoperti operando in presenza di luce diurna e avendo a disposizione solo un’ora scarsa prima di essere scoperti. Questo implica una conoscenza dei luoghi e degli orari attraverso un monitoraggio e controllo di tutti gli eventuali soggetti: parroco, fedeli o persone casuali. Questo fornisce un doppio vantaggio sia sul parroco quando verrà scoperto il furto, sia sulle ricerche che verranno effettuate dopo, con la possibilità di potere muoversi con abbastanza ore di sicurezza. Per cui il furto può essersi consumato anche la sera prima e non nelle immediate vicinanze dell’alba o dell’arrivo del prelato. Tutto questo tempo a disposizione dei ladri fa si che qualsiasi percorso essi abbiano utilizzato, li abbia messi al riparo da occhi curiosi. Un particolare da non sottovalutare è che alla base della scalinata alloggiavano nella casa del Cottolengo la famiglia Cantales e che bisognava necessariamente passare da lì per salire al monte. Continuando a considerare un’ora prossima all’alba non vi è tranquillità nell’azione, i tempi occorrenti a ipotizzare i ladri che utilizzassero la trave sono risicati, anche considerando che gli autori del furto già sapessero dove reperirla. La posa in situ, la scalata e l’accesso alla chiesa e alla statuetta con relativa forzatura della porta e fuga, implicano che tutta si potesse svolgere in non più di 45/60 minuti, aggiungendo il tempo occorrente per la salita e la discesa dal monte rimane poco tempo prima che arrivi qualcuno. Non si arriva improvvisati lassù devi aver già tutto quello che ti serve, se non c’è la trave per entrare devi avere gli strumenti per scassinare, si deve conoscere come muoversi sia dentro la chiesa che fuori. Non puoi arrivare lassù e pensare a come entrare in chiesa, metterti a cercare una trave e poi appoggiarla al campanile senza sapere se dentro c’è una via agevole per entrare. Devi conoscere la scala all’interno della cella campanaria, devi sapere che lì c’è una porta che mette in comunicazione con il ballatoio e quindi valutarlo come un falso percorso, devi aver calcolato che puoi forzare la porta all’interno del campanile per poi immetterti in sacrestia ed entrare in chiesa. Devi aver prima calcolato i tempi delle singole azioni, scegliendo quella più breve. Ogni cosa è studiata, perché se usi la trave, e sai che c’è una trave, non porti ferri o corde, perché nel cuore della notte quando tutto è silenzioso potresti far rumore e farti scoprire, quindi niente ferri perché sai che le porte sono tutte aperte internamente. E’ anche vero che se le porte sono tutte chiuse hai bisogno di un piede di porco o una leva per forzare, quindi devi conoscere anche il dettaglio che può andare storto e cioè quali vengono lasciate aperte o quali chiuse. Ecco perché le porte sono un elemento importante. Ogni cosa determina che il furto sia fatto con velocità per il poco tempo a disposizione oppure senza calcolare nulla per via dell’intera notte a disposizione. Io personalmente propendo che le uniche porte chiuse fossero le due d’ingresso, lasciando aperte tutte le altre. Perché chiuderle se alla fine non v’è nulla di valore all’interno della chiesa? Se consideriamo l’azione di scasso della porta d’ingresso, in circa 10 minuti hai fatto tutto e stai ridiscendendo controllando che nessuno salga, se hai ben in mente l’obbiettivo. Ti concentri solo su questo, rubare l’unico oggetto che ti interessa. Con la trave invece l’azione è più rallentata e potrebbe andar storto qualcosa, perché chi si arrampica deve essere uno agile e svelto di mano e potrebbe anche cadere compromettendo il furto e rischiando di farli scoprire. Diciamo che la via più sicura è con le porte. Ecco le porte, potrebbero spiegare molte cose se avessimo avuto notizie certe, avrebbero davvero contribuito a spiegare la dinamica e fatto comprendere l’azione del furto, dando alla pertica il solo ruolo di messinscena, come il calice, per indirizzare le indagini verso altro. Se in definitiva senza fare nessun rumore si aggredisce la porta forzando la serratura non c’è bisogno di pertica che assume valore solo per indicare una falsa pista (vedi l’acrobata), allo stesso modo il calice gettato serve a giustificare un’azione di furto andata male per il sopraggiungere di qualcuno, le ostie gettate a terra indicano un’azione veloce e poco attenta e il risultato è che la statua l’unico oggetto di poco valore ma il più prezioso svanisce definitivamente e viene mascherato dal resto. In più l’azione fulminea anche nella notte precedente con il favore del buio, ma ripeto con l’obiettivo ben focalizzato, lascia tutto il tempo per scomparire da Capo d’Orlando e allontanarsi indisturbato. In che contesto avviene il furto, perché il 1925? Nel valutare ogni possibile pista che spieghi il furto, diventa non secondaria la vicenda che vede l’allora frazione di Capo d’Orlando opporsi al Capoluogo, Naso. Il 1921 è lo spartiacque dell’intera lotta, quando gli abitanti della frazione si muovono all’unisono nel volersi affrancare. La rivendicazione che investirà e contrapporrà tutte le sfere politiche e sociali dei due centri avrà il suo epilogo nel 1925 con l’elevazione a Comune autonomo di Capo d’Orlando che così si stacca definitivamente da Naso. In mezzo a tutta la vicenda risaltano le azioni di due popolazioni che non si separano in maniera amichevole, ma con rancori per screzi fatti e subiti. Ecco che così il 1925 e la raggiunta autonomia, può diventare il “casus belli” in cui poter inquadrare la vicenda del furto e porsi un interrogativo; è una conseguenza dell’autonomia il furto? Un furto che non trova ragione nel valore economico dell’oggetto sottratto, deve per forza essere inquadrato nei fatti o negli avvenimenti che possono fare da pretesto per la sua scomparsa. Il 27 settembre 1925, giorno dell’inaugurazione del nuovo Comune constatiamo la presenza di un altare in cui si intravede la cassettina contenente la statua, predisposto all’entrata della provvisoria sede comunale in piazza Duca degli Abruzzi. Presenza che da forza solenne al legame indissolubile, avvicinando la religiosità orlandina alla popolazione e alle sue battaglie sociali, saldando il rapporto tra l’amata madre e suoi amati figli. Anche la festa del 21-22 ottobre 1925 è motivo per far sfilare in processione per le vie il simulacro che di fatto pone sotto la sua protezione il nuovo Comune. La festa richiama, come ultima prima del grande periodo invernale, da molti territori vicini, una moltitudine di persone, che si apprestano a comprare e fare le ultime scorte di beni e alimenti, al pari degli allevatori e commercianti che qui espongono tentando di fare gli ultimi affari. Questo da importanza, sia alla festa religiosa, sia alla parte commerciale, facendo sì che l’appuntamento della fiera del bestiame (15-16-17 ottobre) e del 21-22 ottobre con il tempo diventi sempre più importante nel comprensorio. L’indotto dei festeggiamenti pone alla ribalta la nuova cittadina e la mette al centro di tanti interessi, proiettandola all’attenzione anche delle istituzioni provinciali. La festa del 1925 poi, alla luce degli accadimenti successivi, diventa così l’ultima manifestazione di quel culto originale che si rifaceva alla Madonna di Capo d’Orlando. La nuova realtà si riconosce e si aggrega in questo momento di gioia, tanto che gli emigrati all’estero, che avevano sostenuto con donazioni la battaglia del “Comitato Pro Autonomia”, sostengono con offerte anche la festa della Madonna. In questo particolare momento possiamo affermare senza smentita alcuna che la festa rappresenta tutta Capo d’Orlando e si configura come momento di orgoglio sociale e rivalsa per l’autonomia ricevuta nei confronti di tutto il circondario. Cosa potrebbe determinare il furto della statua? Consideriamo il culto, esso rappresenta contemporaneamente la nuova cittadina di Capo d’Orlando e una religiosità sentita all’interno della diocesi di Patti. Un vero e proprio centro mariano in cui la devozione è forte; la sua scomparsa è un duro colpo per la comunità tutta, in quanto oltre che colpire l’interesse della festa, colpisce nel profondo il sentimento degli orlandini. Se il furto, ripeto, non conosce valore economico, ne colpisce il simbolo aggregante con una comunità che appare disorientata e spaventata e allo stesso tempo mina l’indotto economico che gira intorno alla festa, assestando un duro colpo all’immagine del nuovo centro. Un tentativo di bloccare attraverso il furto il processo di crescita sociale ed economico-commerciale. Questo sembra l’obbiettivo del furto. Le indagini stesse prendono avvio su piste che appaiono le più ovvie, trascinate forse da indizi lasciati volontariamente per sviare la vera motivazione. Possiamo tracciare un profilo mentale nell’azione del furto? Chi ha architettato il furto poteva avere come movente il rancore verso un territorio che sentiva suo e che gli veniva sottratto d’imperio? Il nullo valore economico dell’oggetto rubato contrapposto al grande valore religioso che ha per Capo d’Orlando, può essere il facile bersaglio per punire una comunità dall’aver scelto la via dell’autonomia? Il gesto di rubare la statua è la volontà precisa e oltraggiosa di annullare e cancellare la festa stessa, creando i presupposti per una religiosità vacante? Il colpo inferto raggiunge due obbiettivi; colpisce la cittadinanza attraverso la privazione di un oggetto ritenuto sacro e che gli appartiene e profana il luogo che rappresenta la sua identità, la chiesa sopra il monte assunta a simbolo di Capo d’Orlando. Qual era l’obbiettivo prefissato, punire e rimanere impuniti? Chi ha commissionato il furto aveva un progetto da portare avanti, aveva pianificato tutto, non ha commesso errori sapendo già fin da subito che non avrebbe richiesto un riscatto e l’avrebbe fatta sparire definitivamente. Dal 1925 ad oggi non ne abbiamo saputo più nulla, solo voci, che forse hanno alimentato il mistero e allontanato ancor di più i sospetti. Chi poteva volere il furto? Le indagini dei Carabinieri Reali, si indirizzano nel circondario di Capo d’Orlando e Naso, ma chi ha progettato il furto ha ben considerato anche questo aspetto, perché per non incorrere in problemi, perché non ingaggiare manodopera da fuori, anche solo a pensare da Brolo, lì i Carabinieri non sarebbero mai intervenuti. Se allarghiamo il campo di azione potrebbero essere anche di San Marco d’Alunzio, Sant’Agata di Militello o Ficarra, questo avrebbe ancor di più allontanato il pericolo di essere scoperti non potendo controllare tutti i pregiudicati della zona. Questo è un vantaggio pianificato, sicuramente costruito a tavolino, per poi, indisturbati e passata la prima settimana di ricerche o il primo mese, con le acque più sicure, spostare l’oggetto e consegnarlo. Tutto questo in assoluta tranquillità, senza destare alcun sospetto e incassare così il frutto del lavoro sporco e ritornare alla propria quotidianità. Ogni aspetto è stato valutato e dietro vi è soltanto una mente arguta e calcolatrice, disposta a correre il rischio, ma che pianifica ogni cosa e ogni possibile passo falso. Se oggi a distanza di quasi 92 anni brancoliamo ancora nel buio è perché potremmo aver anche scoperto gli autori materiali del furto, ma non i mandanti e il luogo dove l’hanno nascosta. Tutto sembra riportare ad un furto su commissione. Come reagirono gli orlandini? Nella popolazione, all’indomani del furto, si fece forte l’idea che gli autori provenissero da Naso e inquadrarono l’azione come una ritorsione per la separazione di Capo d’Orlando. Stranamente, però, e qui viene da riflettere, le indagini portate avanti dalle forze dell’ordine una volta interrotte non vennero proseguite da nessuno. Non abbiamo notizie di iniziative private tese alla ricerca dell’immagine, tranne quella non verificata dell’investigatore, nessuna pretesa di indagini o giustizia nei confronti delle Autorità, politiche e religiose. Negli animi dei fedeli orlandini lo stupore aveva lasciato spazio al rancore, il livello di tensione fra le due popolazioni raggiunse livelli così critici che fu necessario nel 1936 per riappacificare gli animi far incontrare la vara della Madonna con quella di S. Cono per disinnescare una guerra civile che rischiava di scoppiare tra i due centri. Il tempo trascorso ha fatto il resto. Cosa accadde alla festa del 21-22 ottobre 1926?
La difficoltà delle indagine e i successivi infruttuosi mesi di ricerca posero l’interrogativo in seno al clero orlandino del “che fare” per la festa d’ottobre del 1926. Il Comitato che si occupava dell’organizzazione, ad oggi non conosciamo i nomi, e la Confraternita che accompagnava la processione della Madonna compresero che bisognava porvi rimedio ed elaborarono un piano d’azione. Fu interessato per la realizzazione di una “copia” il Prof. Antonino Ugo, noto scultore e titolare della cattedra di “Plastica della figura” nel Regio Istituto di Belle Arti di Palermo, per la realizzazione della copia. Incarico di prestigio dato ad uno dei massimi e apprezzati scultori degli inizi del ‘900 in Italia. Non abbiamo altre indicazioni, neanche quanto costò il lavoro, ma solo che la commissione del lavoro venne fatta a maggio del 1926, solo sei mesi dopo il furto, segno che non si attendevano buone notizie dalle indagini. Ai primi di ottobre tre repliche del professore erano pronte per essere trasportate in treno a Capo d’Orlando. E’ del 10 di ottobre la lettera con cui il Commissario Prefettizio Ernesto Mancari invitava a benedire la nuova statuetta a S.E. Mons. Ferdinando Fiandaca, solo 12 giorni prima della festa. Gli esperti dell’opera del Prof. Ugo non erano a conoscenza della realizzazione di queste statue e solo grazie alla firma riportata dietro, che è stata da me fotografata grazie alla gentile concessione di Padre Sebastiano Triscari, ne hanno riconosciuto la fattura, che si discosta di molto dalle altre sculture. In realtà la piccola statua è composta da due materiali, uno il bronzo, materiale con cui lavorava il professore, e l’altro costituente il rivestimento d’argento per conferirle importanza. Questo particolare fu scoperto da Padre Manzella quando pensò di restaurarla negli anni ‘90. Le altre due furono lasciate in originale e poste una a S. Martino al quadrivio, oggi rubata e l’altra posta all’Ospedaletto di Capo d’Orlando. La realizzazione della statuetta non lasciò contenti i tanti fedeli che avevano memoria dell’originale e questo ci fornisce l’idea che fin da subito non vennero trovate né foto né immagini che ritraessero l’antica statua. Tengo a precisare che la nostra Madonnina non aveva le chiavi appese al braccio, perché a differenza di quella di Trapani che le ha, esse rappresentano il devoto omaggio della città alla sua patrona, la stessa cosa non è mai accaduta a Capo d’Orlando.
In conclusione queste righe sono un ulteriore stimolo a continuare la ricerca e a chiedere aiuto a quanti oggi possano rivelarci informazioni utili e preziose per il suo recupero. Niente è utilizzato a pretesto per accusare qualcuno, tutto parte solo da considerazioni personali su fatti narrati e appresi durante ricerche e colloqui. La necessità di scrivere nasce dal voler dare un quadro dei fatti, sconosciuto ai più e teso al loro coinvolgimento nell’opera di ricerca iniziata molto tempo fa da dall’Avv. Calogero Ingrillì, anche in termini di informazioni o di piste non in sovrapposizione, né in esclusione su quanto da lui fatto, ma come ulteriore arricchimento del dibattito, da troppo tempo sopito.
Foto di Copertina – Tano Cuva