Essere o no scrittore
Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia – Lettere 1963-1988
di Michele Manfredi-Gigliotti
Nel mese di febbraio dell’anno corrente ha visto la luce, per i tipi della Editrice Archinto e la curatela di Rosalba Galvagno, un simpatico libretto dal titolo “Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia, Essere o no scrittore, Lettere 1963-1988“, breve epistolario che raccoglie la corrispondenza intercorsa tra i due scrittori siciliani nella parentesi cronologica, come dice il titolo, che va dal 1963 al 1988, periodo molto felice e proficuo per la produzione letteraria di entrambi. La raccolta epistolare si compone di complessivi cinquanta scritti, dei quali ventuno sono quelli che vedono Consolo quale mittente, mentre dei rimanenti ventinove risulta essere stato destinatario. La maggiore frequenza con cui Sciascia contatta epistolarmente l’amico, dimostra, ove ve ne fosse ancora necessità, la stima che il racalmutese nutriva nei confronti dello scrittore di Sant’Agata Militello. Il volumetto risulta ben confezionato avendo a corredo note esplicative che aiutano, come una navetta da telaio, a collegare i fili per ottenere l’ordito di una visione panoramica consapevole e utile per la conoscenza di ciò che sta al di sotto della corazza di uno scrittore, ossia il suo sostrato umano, senza il quale la corazza non si reggerebbe in piedi, ma imploderebbe su se stessa. Il rapporto epistolare tra i due si deve alla intraprendente iniziativa di Vincenzo Consolo che, motu proprio, ma con molta deferenza, quasi una specie di metus reverentialis, (Caro signor Sciascia…) scrisse a Leonardo Sciascia inviandogli una copia della sua prima creatura (La ferita dell’aprile, Einaudi, Torino 1963), al fine di ottenere un suo giudizio.
Sciascia rimase favorevolmente colpito dal racconto, soprattutto dallo spartito linguistico tanto che fu indotto, persino, a chiedere a Consolo alcune chiosature circa l’origine del linguaggio che aveva adoperato nel libro. Procedendo nel rapporto epistolare, il legame tra i due, com’era naturale, diventa più cordiale, più affettuoso e, alla fine, più confidenziale. Finiscono, così, con il darsi del tu e non solo questo, quanto si scambiano stati d’animo, denunciano vari acciacchi fisici di cui erano portatori coinvolgendo nella dichiarazione del livello di salute anche i membri delle rispettive famiglie. I rapporti si intensificano: Consolo si reca varie volte a La Noce, a Racalmuto e a Palermo, invitato da Sciascia, il quale, a sua volta, è stato spesso ospite dell’amico Enzo in Sant’Agata di Militello. Anzi, fu proprio durante una di tali presenze in Sant’Agata che Consolo fece incontrare, a villa Piccolo di Capo d’Orlando, Leonardo Sciascia e il poeta de I canti barocchi, Plumelia, Le esequie della luna, Lucio Piccolo della Calanovella. Fatta questa doverosa premessa, che ha lo scopo di delimitare i margini entro cui svolgere il presente breve intervento, dichiariamo subito quale sia lo scopo di questa intromissione. Si precisa, che l’intento che ci muove non è quello di effettuare un errata corrige del volumetto che abbiamo letto da poco. Non si tratta, dunque, di rilevare un errore nel quale è incorsa la curatrice del volumetto. Si tratta, invero, di una semplice imprecisione nella esposizione di un concetto che potrebbe provocare nel lettore, che non abbia piene conoscenza e contezza del valore di Vincenzo Consolo (quello di Leonardo Sciascia non cade neppure in discussione), l’acquisizione di un dato storico-letterario impreciso.
Ci riferiamo a quanto scrive la curatrice a pagina 30 del testo di cui si è occupata. Quasi al margine inferiore della pagina, viene riportata una breve missiva, manoscritta da Sciascia e indirizzata a Consolo, la quale porta la data del 27 settembre 1964 e viene spedita da Caltanissetta:
“Caro Enzo, giovedì primo ottobre, sarò a Palermo. Arriverò col treno delle 10,40: e alla stazione ci saranno ad attendermi amici, coi quali andrò a vedere, allo Steri, le celle dell’Inquisizione. Se ci sarai anche tu, ne avrò piacere. (Ma forse quel giorno tu sarai impegnato con la scuola). Mi auguro che le tue preoccupazioni si siano diradate. Affettuosamente, tuo Leonardo Sciascia”.
La curatrice del volume appone, subito dopo la parola Inquisizione che precede, una nota con il relativo richiamo numerico in calce al contenuto della missiva vergando la seguente chiosatura: “Sui celebri graffiti di palazzo Steri a Palermo Sciascia scriverà una nota pubblicata su <La Fiera letteraria> del 22 novembre 1964, aggiunta in seguito nella ristampa di < Morte dell’Inquisitore > fatta insieme a < Le Parrocchie di Regalpetra > nella collana Universale Laterza, Bari 1967 e nelle successive ristampe della casa editrice Adelphi. “La scrittura dei graffiti sarà al centro, com’è noto, del IX capitolo (Le scritte) del romanzo di Vincenzo Consolo, <Il sorriso dell’ignoto marinaio, Einaudi, Torino 1976>”. Così come concepito ed espresso, il luogo letterario sopra riportato, al di là (come già abbiamo detto in precedenza) dall’affermare un principio errato (che, in effetti, manca) lascia una notevole breccia da cui penetrare verso una interpretazione errata. Sembrerebbe, infatti, che il periodo esaminato voglia affermare che Vincenzo Consolo, nel suo “Il sorriso dell’ignoto marinaio“, si sia occupato delle scritte che i prigionieri dell’Inquisizione hanno graffito sulle mura di palazzo Steri. Il fatto è che Vincenzo Consolo non ebbe ad occuparsi dei graffiti di palazzo Steri in seno al romanzo Il sorriso…Egli riporta, è vero, nel capitolo IX del libro, da pag. 121 a pag. 133 (Edizione Giulio Einaudi, Torino 18 settembre 1976), le maledizioni, le bestemmie, gli improperi dei prigionieri catturati con l’inganno dal colonnello Interdonato in Alcara Li Fusi, dopo l’eccidio verificatosi in quel paese il 17 maggio 1860, giovedì, festa dell’Ascensione, ma il luogo della detenzione e, dunque, delle scritte murali, non è palazzo Steri di Palermo (carcere dell’Inquisizione), ma i locali ipogei con l’ingresso a chiocciola del castello Gallego di Sant’Agata Militello (carcere provvisorio dell’altrettanto provvisorio sistema penale del prodittatore della Sicilia, Giuseppe Garibaldi). Chi conosce la produzione di Consolo non ha dubbi circa la fonte letteraria a cui ha attinto il Nostro. Chi, al contrario, si dovesse accostare in questo momento a tale produzione, potrebbe essere tratto in inganno dalla notizia espressa nei superiori termini di incertezza. Noi siamo stati spinti alla precisazione che precede in quanto siamo profondamente convinti che, in ogni caso, i fatti storici appartengono agli uomini e alle contrade che li hanno causati, li hanno vissuti o anche subiti, quale patrimonio della loro esistenza terrena. I graffiti riportati da Consolo appartengono ai Nebrodi, ad Alcara Li Fusi e Sant’Agata Militello. Non ha importanza se essi si riferiscano a fatti orrendi di sangue e di eccidi, poiché anche da essi l’Umanità potrà sempre trarre insegnamenti catartici di redenzione spirituale. Sembra proprio che Consolo abbia avuto come una specie di premonizione: egli riporta nell’incipit del suo romanzo una considerazione escerpita proprio da uno scritto di Leonardo Sciascia, L’ordine delle somiglianze: “Il gioco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di conoscenza…”. L’importante è comparare tali somiglianze per potere correttamente distinguerne le differenze.