On. Francesco Lo Sardo, figlio dimenticato?
di Franca Sinagra Brisca
ONOREVOLE AVV. FRANCESCO LO SARDO, Naso (ME) 1871 – Poggioreale (NA)1931
Gli anni della giovinezza. La formazione
Nasce nel 1871 in una numerosa famiglia agiata di proprietari terrieri, collocabile nel ceto della piccola borghesia contadina, a Naso, comune della provincia di Messina e a quei tempi città vivace e rinomata per palazzi e centri istituzionali, nella zona collinare della media costa tirrenica. Dall’infanzia eredita profonde sollecitazioni sentimentali legate alla frequentazione del mondo rurale e all’assunzione degli elementi libertari fondanti dell’identità culturale popolare. Gli è amico di scorribande il coetaneo e compagno di scelte politiche, Francesco Trassari, il poeta dialettale di liriche naturalistiche e paesaggistiche. La sua istruzione, come di regola per le famiglie abbienti del territorio, avviene presso il seminario vescovile di Patti, da dove si allontana all’età di quindici anni, già allora ribelle alla vita costrittiva e amante della libero pensiero non dogmatico. Questa stessa origine libertaria e fuggiasca appartiene contemporaneamente all’altro noto socialista Gaetano Salvemini pugliese e al comportamento con fuga dai collegi ecclesiastici che riguarderà molti giovani dei Nebrodi fino al secondo dopoguerra. L’adolescente Francesco prosegue quindi gli studi al liceo di Messina dove nel 1886, insieme al fratello, l’agronomo Giovanni, ancora quindicenne, si inserisce nel gruppo degli anarchici del circolo “Cipriani” con Noè e Petrina, fondatori in città del giornale “Il Riscatto”, dove appaiono i primi suoi articoli. In città le idee socialiste sono molto diffuse fra studenti e lavoratori, numerosa è la presenza di società operaie che elaborano una vivace attività rivendicativa e politica culminanti nello sciopero operaio della fabbrica di tabacchi nel ‘91 e nelle manifestazioni studentesche contro la soppressione della locale università nel ’93. Nelle vacanze estive e invernali rientra al paese dove semina le idee progressiste presso contadini e braccianti che attendono la divisione delle terre comunali e condizioni di vita più giuste, mentre la cerchia dei ricchi proprietari e dei loro amici si preoccupa di non pagare le tasse e mantenere lo sfruttamento del lavoro nelle forme servili. Del 1891 è l’intervento papale sulle nuove ideologie socialiste, condannate dall’enciclica “Rerum novarum”, che sostiene di fatto gli imminenti interventi politici di restaurazione contro il progresso e il cambiamento della situazione di sottomissione e sfruttamento nella società soprattutto meridionale, dove ad esempio nelle zolfare i ragazzini venivano perfino schiavizzati (ne parlano Pirandello e Di Giovanni). Dall’esperienza del seminario e dalle scelte arretrate della Chiesa ufficiale in campo sociale, la formazione di Lo Sardo adotta una posizione di diffidenza e incredulità verso la fede religiosa, sceglie il metodo di intervento a sostegno dell’eliminazione delle ingiustizie per mano della politica, mantenendo comunque una separazione e una tolleranza garantista verso la libertà di pensiero religioso che metterà in pratica anche in ambito familiare verso la religiosità della moglie. Infatti è già in carcere nel 1927 quando scriverà alla cara Teresina di recuperare il capezzale tanto atteso, un dipinto del Cristo pensoso camminante sul lance spezzate a simboleggiare la pace, frutto evidente di un compromesso raggiunto fra i due. La sua conoscenza dei testi sacri è approfondita e vagliata in termini di efficacia concreta nel comportamento.
L’esperienza politica nei Fasci siciliani
Nel 1892, mentre a Roma nasce il primo Partito Socialista Italiano (che sarà soppresso nel 1922 dal regime fascista), Francesco Lo Sardo, ventunenne studente di giurisprudenza, fonda il Fascio siciliano a Naso con un nucleo di aderenti, amici contadini, artigiani, impiegati. Afferma la propria attitudine politica nella comunicazione semplice ed immediata delle idee di diritto e di riscatto sociale, argomenta attingendo al patrimonio culturale dialettale fatto di proverbi e evidenze concretamente constatabili, come nello slogan che fa riferimento alle ricchezze antiche e recenti non palesemente documentabili: “Tu non tessi non fili e non ‘ncanni: d’unni ti vinni ‘stu ghiommiru granni?” (tu non tessi, non fili e non fai matasse: da dove ti è arrivato il voluminoso gomitolo che possiedi?). E ancora educava il popolo, che si lamentava contro la guardia municipale e l’esattore delle imposte, a ragionare con procedimento analitico: “Non fate come il cane che addenta la pietra che lo colpisce, e non tocca la mano che gliel’ha lanciata!”. Il movimento dei Fasci siciliani, esteso in tutta la Sicilia, diede voce alla rivolta dei contadini per la distribuzione delle terre incolte e la costituzione di una carta di principi di legalità e diritti imprescindibili per una società civile dove fosse vietato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e garantisse sanità e cultura. Alla guida del movimento c’erano uomini colti per lo più laureati in giurisprudenza, fra cui il noto palermitano Nicola Barbato. Forte dell’esperienza di movimento anarchico e ora del primo socialismo, autore di articoli giornalistici nei fogli del movimento, Francesco Lo Sardo conseguentemente alla discussione politica e vissuto il contrasto delle repressioni dell’esercito postunitario, si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Messina. Parallelamente a quelle siciliane, si verificano identiche rivolte in Toscana, coi Fasci di Lunigiana e poco dopo gli scioperi socialisti e le manifestazioni delle rivendicazioni operaie nel nord Italia. In Sicilia nei centri agricoli di maggiore sfruttamento e povertà si ha una netta separazione qualitativa e quantitativa fra ribelli e oppressori che, mostrando la debolezza della struttura sociale, fa paventare ai feudatari, ai nobili e agli ecclesiastici, una rivoluzione alla francese. Gli storici hanno riportato episodi di vera epopea corale contadina che si direbbe sia stata a bella posta occultata fino ad oggi alla conoscenza storica di base com’è quella scolastica (per le masse del secondo dopoguerra distorta a favore dell’epopea filmica americana della conquista del west). I Fasci siciliani furono vincenti per tre anni, finché nel 1894 il governo guidato da Francesco Crispi, garibaldino voltagabbana, dichiarò lo stato d’assedio in tutta la Sicilia, primo dall’Unità, e la repressione dell’esercito nazionale si abbatté sui fascianti con uccisioni, carcerazioni e processi sommari. La restaurazione schiaccia con piede inumano, pare anche con l’aiuto di criminali nei feudi, e obbliga i siciliani a trovare nell’emigrazione nelle Americhe la possibilità di condizioni di sopravvivenza e di lavoro altrettanto rischiose ma più libere (si ricordi la vicenda degli anarchici Sacco e Vanzetti). Nell’autunno del fatidico 1894 si laurea lo studente Lo Sardo, che era stato arrestato l’anno prima a Messina per manifestazione sediziosa e condannato al confino alle Tremiti, da dove è rientrato presto in seguito a contestazioni pubbliche in ambito universitario. La sua tesi è un trattato sull’accumulazione originaria e la legalizzazione della formazione del capitale, aggiornato sulle tesi socialiste (da Proudhon a Marx). In quell’anno certamente segue lo svolgimento dei processi ai fascianti, specie le arringhe dell’avvocato Nicola Barbato, che nel ruolo sia di difensore che, poi, di accusato, ribaltava l’azione processuale trovando capi d’accusa contro l’ingiusta applicazione della legge nei tribunali (nel 1945 Nicola Colayanni entrerà liberatore a Torino col nome di battaglia Barbato). Questa esperienza culturale e politica fondante porterà trent’anni dopo Lo Sardo a seguire la stessa traccia di difesa per se stesso contro le accuse del Tribunale Speciale fascista. Nello stesso anno il suo spirito anticonformista si conferma nella vita privata con il matrimonio di fatto con Teresa Fazio, una donna figlia di pastori abbienti da Galati Mamertino e già maritata a Naso, di cinque anni più matura, da cui nel 1896 nascerà il figlio Francesco (si usava perpetuare il nome del capofamiglia). La loro vita, more uxorio per la chiesa, trova sopportazione in paese perché è pienamente accettata in famiglia e nella cerchia delle amicizie (l’annullamento dalla Sacra Rota arriverà nel 1908). Nonostante la sconfitta dei Fasci siciliani a livello regionale e nazionale “manu militari”, con uccisioni e carcerazione perfino di donne e diaspora della popolazione povera, le idee di rivolta mai morte rinascono nell’idea di democrazia che germoglia in semi sparsi, sostenuta anche dall’attività instancabile di Lo Sardo che tiene i collegamenti con i lavoratori della provincia. Così nel 1898, mentre in maggio a Messina scoppiano i tumulti della fame durante l’epidemia di colera, a Naso Lo Sardo, l’amico Trassari e altri quattro si presentano alle elezioni amministrative nella lista “Democrazia nasitana”. La borghesia di allora, intestardita nelle convinzioni borboniche del compaesano sacerdote Buttà (era stato cappellano del re a Napoli e in vari scritti riversò il suo odio contro i garibaldini), non poteva che trovare preoccupanti gli obiettivi del programma di quei candidati. Le loro intenzioni rivoluzionarie riguardavano l’attuazione di: 1. La quotizzazione delle terre comunali con abolizione dei dazi e la riforma tributaria 2. La municipalizzazione della vendita del pane e la costruzione di forni comunali 3. La gestione diretta da parte del comune dei servizi pubblici 4. L’assistenza medica e farmaceutica gratuita per i poveri. Questo programma fu accompagnato da una lettera aperta dell’avvocato Lo Sardo ai compaesani avversari, intitolata significativamente “Agli scettici e ai maligni”. Non furono eletti.
La parentesi napoletana
Dell’esperienza della famigliola a Napoli si sa molto poco. Alla fine del 1899 i tre partono per la appena dismessa capitale del Regno delle due Sicilie, dove raggiungono un parente avvocato e giornalista, che li ospita. Ma in questo periodo di semi esilio l’avvocato Lo Sardo mantiene frequenti rapporti di presenza a Naso e a Messina. Vista l’inconsistenza della documentazione, del soggiorno napoletano possono essere utili, i cenni al contesto politico e culturale e alle personalità con cui Lo Sardo venne probabilmente a contatto, e si tratta dei nomi di personaggi attivi nei circoli anarchici e socialisti in città, quali il famoso Malatesta, Giovanni Bergamasco napoletano, il calabrese Giovanni Domanico. La famiglia Lo Sardo rientra in Sicilia circa nel 1904 (per la questura nel 1907), per stabilirsi definitivamente a Messina, quando l’avvocato è ormai un uomo maturo per esperienza e un professionista ben avviato.
Il terremoto del 28 dicembre 1908 e la speculazione edilizia
Fra i sessantamila morti nel famoso terremoto si contano numerosi familiari e l’unico figlio, dodicenne, di Lo Sardo, ospiti nella casa crollata completamente; quel figlio resterà insostituibile e sarà il grande cruccio di tutta la sua vita. Lo Sardo perde pure l’amico di vecchia data Noè e molti compagni, Gaetano Salvemini vi perde tutta la famiglia. La rete degli intellettuali e attivisti politici è decimata. Nel famedio del Gran Camposanto, subito a sinistra dall’entrata, la tomba di famiglia accoglie le salme con sculture marmoree. Dopo un breve periodo utile al recupero psicologico, in cui la moglie ritorna ospite al proprio paese e lui si trasferisce a Catania a lavorare al giornale insieme ai socialisti (fra i quali si distinguerà Maria Giudice), i Lo Sardo ritornano a Messina dove fervono i contrasti per la ricostruzione. Lo Sardo con il senatore Fulci propone l’esproprio totale delle aree terremotate a favore del demanio perché sia lo Stato a ricostruire e assegnare ai vecchi proprietari, ma il governo interviene a favore dei privati col sistema dei diritti a mutuo e gli speculatori calano anche dal nord Italia per approfittare del buon affare. Anche la Curia vescovile di Messina per tre anni sarà sola ad avere il privilegio di posticipare il pagamento dei diritti a mutuo e riceverà cinquanta milioni di lire di allora per provvedere alla ricostruzione delle chiese parrocchiali, mentre già il duomo sarà a spese statali. Le case popolari furono costruite così anguste e instabili che Lo Sardo nelle lettere dal carcere definisce così “Queste non sono case per uomini, ma gabbie per canarini!” e addebita l’interesse per la propria carcerazione ai benpensanti economici ed ecclesiastici che si vendicavano delle sue battaglie per la ricostruzione. Egli stesso acquistò un mutuo e rifece la sua casa, pagando ancora in carcere un debito allo stato nonostante fosse già completamente onorato (anche il conto delle spese giudiziarie sarà presentato agli eredi trent’anni dopo la morte).
Lo Sardo sindacalista e politico a Messina. La parentesi della I Guerra Mondiale
L’avvocato, che aveva mantenuto saldamente il suo rapporto con le masse dei lavoratori, a Messina è eletto Segretario della Camera del lavoro nel 1910 e rieletto successivamente, ispirato sempre da ideali di rinnovamento, emancipazione e giustizia, agendo con conferenze e discorsi e scritti. Egli estende l’attività in tutta la Sicilia, a Caltanissetta, a Palermo, a Catania e nel 1914 al Congresso del P.S.R.I di Ancona è l’oratore ufficiale. Diceva: “…Unitevi, non per seguire uomini, ma per abbracciare idee e per difendere i vostri diritti inviolabili ed imprescrittibili…” Quando fu dichiarata la Guerra di Libia e molta parte dei socialisti si dichiarò favorevole alla conquista della cosiddetta quarta sponda, terra promessa per la manodopera del Mezzogiorno, Lo Sardo si attiva apertamente sulle posizioni della sinistra antimilitarista, antimonarchica, antinazionalista, anticlericale. Nel 1914 l’avvocato è al comizio dell’amico Tommaso De Francesco in Piazza Cairoli: lo scontro fra interventisti e pacifisti a Messina fu particolarmente battagliero. Ma il Governo fra l’aprile e il maggio del 1915 decise l’intervento calcolando la possibilità di estendere i confini del regno a nord-est propagandando nel popolo lo scopo della continuazione delle guerre d’indipendenza, il riscatto di Trento e Trieste, da cui la nota locuzione ironica coniata per allitterazione dai pacifisti siciliani, la “Guerra Trenta e Trentuno”. Ma Lo Sardo nel maggio 1915 dichiara a sorpresa di arruolarsi volontario nelle fila della fanteria perché “i socialisti non sono vigliacchi”, una motivazione elementare e troppo contraddittoria per un politico accorto come lui, che non poteva dichiarare lo scopo reale di voler seguire la massa di leva in trincea e continuarvi il proprio ruolo di contestazione della guerra (al pari di altri socialisti dei Nebrodi come Pietro Pizzuto che per questo furono processati). Assegnato al 30° Artiglieria di Conegliano, viene ferito gravemente al petto, ospedalizzato e nel 1916 rientra a Messina, dove le organizzazioni sindacali sono svuotate e inattive.
Le lotte dei lavoratori e l’avvento del fascismo
Chiusa la parentesi della I Guerra, Lo Sardo riorganizza i lavoratori in settori di categoria e territoriali (agrumai, elettrici, tessili, metallurgici, bracciantato, ecc.) con aumento delle iscrizioni, mentre il movimento contadino si sviluppa con successi nell’occupazione di terre dei feudi (a Caronia, San Teodoro, Castroreale, Tripi, San Salvatore di Fitalia, ecc.). Attorno a Lo Sardo si uniscono vecchi e nuovi quadri dirigenti, fra cui il professore Concetto Marchesi, P. Pizzuto, U. Fiore, i fratelli Di Lena. Scoppia nel 1919 lo sciopero generale nazionale contro il carovita. Lo scontro politico di classe si incattivisce, la risposta degli agrari e dei profittatori di terremoto e di guerra si rivela violenta perché minacciati nei loro interessi dalla pressione popolare, culminata nella cosiddetta “Settimana rossa”. A Messina vennero armate squadre di manganellatori agli ordini di Vitelli, Magistri, Bosco Grande, per instaurare un clima di terrore. A San Piero Patti, il giorno dopo il comizio di Lo Sardo una incursione delle squadracce distrugge la sede sindacale e fa due morti per mano ignota. La figura di Lo Sardo viene assunta a obiettivo principale, tanto che viene citato come “il cadavere”. Nel gennaio del 1920 avviene la prima aggressione alla camera del lavoro a Messina, e nel novembre la prima irruzione/aggressione in casa Lo Sardo. In questo periodo Lo Sardo divulga i risultati vincenti e gli obiettivi della Rivoluzione Russa contro cui insorgono “tutti i pescicani dei mercati, delle proprietà industrie”. Al noto Congresso Socialista di Livorno nel 1921, Lo Sardo con i vecchi amici si schiera su posizioni di rigore e fonda il nuovo Partito Comunista Italiano guidato dal sardo A. Gramsci, scissione che nel 1923 lo porta ad affermare che ormai è indifferibile la riunificazione con i socialisti. E’ leader indiscusso dei “terzini” siciliani e, riconosciuto dagli organi centrali di controllo per la sua limpida condotta e il suo spirito profondamente unitario, promuove la lista di Unità Proletaria (falce, martello, spiga). Questa lista ottiene alle votazioni parlamentari dell’aprile 1924 quasi undicimila voti contro i cinque dei socialisti: l’avv. Lo Sardo è il primo deputato comunista di Sicilia in quell’ultimo parlamento regio che durerà fino alla Liberazione dal fascismo nel 1945.
L’Avv. Francesco Lo Sardo Deputato al Parlamento Regio (1924-1926)
L’elezione fu una grande vittoria pacifica dei lavoratori italiani in un clima di piena illegalità e turbativa fascista, poco dopo infatti avviene l’assassinio del deputato Matteotti, socialista originario delle zone poverissime del delta padano per aver denunciato i brogli elettorali; il terzo comunista proveniente dall’affamata Sardegna è Antonio Gramsci. Tutti e tre sono inseriti in un progetto di assassinio politico che comprenderà ai rifugiati in Francia. Due grandi battaglie messinesi avevano portato Lo Sardo alla vittoria elettorale, documentate in un rischioso telegramma inviato al Presidente del Consiglio Mussolini che minacciava provvedimenti repressivi sulla popolazione in campo culturale e sanitario. Lo Sardo si batte per il mantenimento dell’Università che Mussolini voleva smobilitare, dove estesa era l’adesione ai princìpi largamente socialisti fin dalla fine dell’800 (vi insegnarono anche G. Pascoli, C. Marchesi) e impedisce che l’Ospedale Piemonte da pubblico (costruito con fondi statali sotto l’egida regale in seguito al terremoto) fosse trasformato in cliniche private per lo sfruttamento della povera gente. L’attività di contrasto aperto e vincente si svolgeva nelle piazze alla luce del sole e alla presenza di gerarchi, poliziotti e giornalisti, mentre ogni libertà d’espressione era repressa dall’emanazione ad hoc delle cosiddette “leggi fascistissime”. Dopo la cosiddetta crisi parlamentare dell’Aventino, inerme contro le squadracce e il malaffare, cui seguì un’ondata di arresti in tutta Italia, la direzione del partito incarica della difesa di molti perseguitati politici (comunisti, antifascisti e semplici cittadini) l’avvocato deputato, la cui capacità professionale splende in Sicilia, Calabria, Toscana, perché le sue parole dotte e fiere risuonavano, oltre che a difesa degli accusati, come monito severo ai magistrati sottomessi alla politica. Erede della difesa dei Fascianti siciliani del secolo appena chiuso “Sono rimasto un’ostrica allo scoglio della mia prima giovinezza e della mia maturità.” chiamava alla resistenza civile di cui si sentiva rappresentante e portatore. Il prof. C. Marchesi, padre costituente, ne tratteggerà la personalità: “Ho dinnanzi agli occhi il suo volto illuminato e sorridente e ascolto ancora la sua voce che dissipava i timori e gli indugi. Seguivo molte volte quell’uomo che non conobbe mai stanchezza nell’ora della lotta, e all’animo suo di combattente consegnò tutto il suo corpo anche nelle crude sofferenze del male. Ci separammo: vennero i giorni della caccia all’uomo: i giorni dell’agguato, dell’assassinio, del silenzio. Francesco Lo Sardo non tacque…” Nel 1925 e nel 1926 a Catania e a Messina una serie di arresti di comunisti accusati di possedere materiale sovversivo, anticipano la recrudescenza dell’azione soppressiva: in settembre la squadra di Crisafulli Mondio assale la casa del deputato con sassaiola e urlando “Morte a Lo Sardo e morte ai comunisti”. Anche nelle campagne della provincia, dove le sedi sindacali erano state distrutte, circolava il detto “Coi baffi di Lo Sardo faremo spazzolini per le scarpe di Mussolini”. L’8 novembre Lo Sardo viene arrestato nottetempo a casa propria, in contemporanea all’arresto di Gramsci a Roma!
Il carcere assassino
In assoluta violazione dell’impunità parlamentare, i capi d’accusa gli verranno contestati dopo il tempo utile per organizzare un apposito decreto, votato dal parlamento ormai del tutto asservito. Nell’autodifesa davanti al Tribunale Speciale dichiara “A nome di tutto il gruppo degli imputati siciliani dichiaro che noi siamo fieri di essere processati per la nostra attività comunista. Questo processo dimostra che i lavoratori del Mezzogiorno non sono secondi a quelli del Settentrione nella lotta contro il fascismo”…”sono orgoglioso di portare dinanzi a questo tribunale trena anni di attività politica spesa al servizio dei lavoratori dell’Italia Meridionale”. Rivolto a Mussolini in Parlamento aveva detto, scoprendone il voltafaccia riguardo alla sua militanza nel socialismo: “…voi eravate dunque uno dei dirigenti…”, e lui non gliela perdonerà. Fu condannato a otto anni di reclusione, di cui uno di isolamento. Ammalatosi presto ai reni e ai polmoni (la ferita di guerra), malnutrito, malcurato dai medici, vive in celle malsane e viene trasferito in varie carceri d’Italia, Catania, Roma, Sassari, Oneglia. Nel penitenziario per cronici a Turi di Bari incontra Gramsci, che lo consiglia di salvarsi la vita chiedendo la grazia a Mussolini, ma Lo Sardo rifiuta con la famosa frase: ”Hanno voluto la carne, si prendano pure le ossa!”. Dopo poco passa a Poggioreale, dove non può essere operato a causa delle condizioni precarie irrecuperabili. Muore il 30 giugno 1931 da solo, perché alla moglie venne rifiutato il permesso di assisterlo in punto di morte; la salma arriverà a Messina il 6 giugno colpita dal divieto di funerale pubblico. Sulla tomba, una stele con busto marmoreo, l’epitaffio composto da Concetto Marchesi in latino “VITAE SUAE NON FIDEI OBLITUS OBLIVISCENDUS NULLI” (Noncurante della propria vita non della sua fede, nessuno lo dimentichi!).
Nota
Nel territorio dei Nebrodi tirrenici, la Città di Naso ha dato ben tre deputati al Parlamento Regio dell’Italia Unita nel periodo compreso fra la rivolta Garibaldina e l’avvento del fascismo (1860-1926). Dei primi due si sa ben poco. L’onorevole Giovanni Raffaele fu medico e ministro del governo provvisorio di Garibaldi a Palermo, nominato On. Deputato al Parlamento Regio unitario nel 1864 e senatore nel 1876, è ricordato da una targa nella casa natale. Gaetano Parisi (1817-1888), eletto On. Deputato dal 1867 e per cinque legislature, è ricordato nella targa sul fronte della fontana-lavatoio detta di San Giovanni, sita alle falde del paese. Su Francesco Lo Sardo (1871-1931) gli scritti e la documentazione, anche se lacunose, sono estesi e consistenti per restituire agli italiani il profilo morale e politico di quel primo Deputato comunista siciliano al Parlamento Regio.
Bibliografia
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Concetto Marchesi, Liberate l’Italia dall’ignominia. Ed. Il paniere, Verona 1991
Federazione del PCI di Messina e dei Nebrodi, La vita, l’opera e il sacrificio di un comunista. Messina, maggio 1971
“I memoriali di Francesco Lo Sardo”a c. di sebastiano Saglimbeni in “Il Calendario del popolo” anno 36 ottobre 1980, Teti Editore.
Giuseppe Celona, Storia dei Nebrodi, Ed. Pungitopo 1987
Giuseppe Alibrandi, Lotte popolari nel messinese(1919-1931), Ed. Pungitopo 1981
Daniela Brignone, Biografia di Francesco Lo Sardo, Ed. A. C. M. 2006
Giuseppe Micciché, Francesco Lo Sardo – Dai Tribunali alle galere fasciste per il riscatto dei lavoratri. Camera del lavoro di Messina 1981
Raccolta documentaria. Una storia italiana: L’assassinio di Francesco Lo Sardo. Ed. A. C. M. 2011
Angelo Ficarra. Dai Fasci siciliani alla Resistenza, a c. di, Ed. I quaderni dell’ANPI Sicilia n.2, Palermo 2013
- Botta-Francesca Lo Nigro, Il sogno negato della libertà. Ed. Navarra, Palermo 2015
Michelangelo Ingrassia, Braccianti e contadini in Sicilia contro il fascismo. Ed. People&Humanities, Palermo 2016
Gerardo Rizzo, Messina e la crisi della fame, in “Centonove” 9 maggio 2014
Franca Sinagra Brisca, Omaggio a Francesco Lo Sardo. Ed A. C. M. 2013
Uno strano funerale, in “Centonove” 18 aprile 2014.