Il culto di Santa Lucia nella piana di Capo d’Orlando, 400 anni di storia.
di Giuseppe Ingrillì
Il territorio di Naso, nel corso della sua lunga storia, ha espresso una forte identità religiosa, partecipata e sentita, vissuta in una serie di tappe di cui due fondamentali e lontane nel tempo.
La prima ruota attorno alla figura popolare di Cono Navacita, che manifesta l’essenza stessa dell’ideale di santità, vivendo appieno in Naso la sua vita religiosa ed eremitica (Rocca d’Almo), oltre che a perdurare nell’immaginario collettivo anche dopo la sua morte, riconoscendone l’intercessione miracolosa, nell’assistenza e nel soccorso, in eventi terribili.
La seconda si manifesta sul colle della frazione marina di Capo d’Orlando, con l’arrivo dell’effige della Madre Celeste, dono miracoloso di un pellegrino, riconosciuto in seguito essere proprio San Cono a ben 362 anni dalla morte.
Anche lì si manifesta una sentita profusione di fede, che abbraccerà indissolubilmente un territorio, diviso poi dagli uomini, ma unito nella matrice religiosa in San Cono.
A questi due momenti devozionali, scanditi nell’anno solare da importanti eventi di giubilo, se ne aggiunge un terzo, limitato alla Piana di Capo d’Orlando, che si identifica nell’atto di fede in una santa, Lucia, il cui culto si origina a Siracusa.
In verità tutto il territorio di Naso è punteggiato da piccole comunità riunite attorno ad un podere, in cui le piccole chiesette rurali sono aggreganti riferimenti per la popolazione del luogo.
I rintocchi delle campane accompagnano e scandiscono le fasi lavorative delle giornate, oltre ad annunciare, la domenica, il giorno di ringraziamento al Signore
La cappella rurale di Santa Lucia nasce “forestiera”, perché figlia di un evento casuale e non prevedibile, anche se in Naso, era già presente un altare dove si venerava la Santa della luce.
Il luogo non è scelto a caso, visto che la campagna della piana era già densamente popolata, e la ricorrenza del 13 dicembre, giorno dedicato alla santa, divenne subito sentita e partecipata da gran folla proveniente anche dai centri vicini.
E’ interessante ripercorrerne la storia, andando alle fonti e leggerne gli eventi dal vivo racconto della penna di don Girolamo Lanza in “Fioretti di Naso” nell’anno 1630:
A basso verso Capo d’Orlando dentro la chiana ci è la chiesa di santa Lucia fabricata di un gentilhomo saragusano che vinni traverso con una barca di vino che andava in Roma et tutti si salvaro etiam con la mircancia, la quali chesia ci è grande devotione et allo spesso si ci dici messa e lu suo giorno li maior parti delli genti della terra venimo a visitari detta chesia e genti di Mirto, Crapi e santo Marco.
La chiesa di Santa Lucia viene assegnata al monastero di Santa Maria de’ Lacu, che ne curerà il regolare funzionamento e la raccolta delle donazioni.
Duecentocinquanta anni dopo, Carlo Incudine nella sua opera “Naso Illustrata” del 1882, ne scriverà nella sua cronaca storica, appellandola “contrada Santa Lucia, nella marina di Naso”, segno di un culto sedimentato, ancora vivo e ampiamente praticato.
Riportiamolo:
Poc’oltre son le amene e floride pianure di S. Lucia, ove il rezzo profumato degli aranci, e gli aromi di una terra odorosissima, muovono ai riposo, e a un soave abbandono. Coteste pianure tolsero il nome a una Chiesa quivi eretta da un gentiluomo siracusano, campato co’suoi dal naufragio su la vicina riviera. Altri affermano invece ch’essa venne edificata in memoria di Pascasio, carnefice di S. Lucia, morto in quel luogo. A cotesta Chiesa era gran concorso di forestieri il di della festa, e venivano sin da S. Marco, e Mirto e Capri, a visitarla.
A differenza di Girolamo Lanza, l’Incudine fornisce una possibile alternativa al naufragio miracoloso, segno che con il tempo si è voluto coinvolgere più direttamente il culto di Santa Lucia, evidenziando la figura del suo carnefice Pascasio, prefetto di Siracusa, che in queste campagne venne a nascondersi per espiare, nel lontano III sec. d.C., le colpe delle azioni contro Lucia, permettendo dopo la sua morte la fondazione di una chiesa in onore della Santa e legandola così al territorio.
Nulla invece è riportato per la parte riguardante l’ubicazione della chiesa, segno questo che l’antico edificio è ancora in uso ed era la sola chiesa dove riunirsi a celebrare al tempo dell’Incudine.
Della prima chiesa originaria, oggi non ci rimane che un’unica foto, sopravvissuta all’oblio, che ne restituisce l’idea di una forma, seppur abbastanza malmessa e in stato d’abbandono sul finire degli anni 60 del XX secolo, ancora leggibile.
Da quella data in poi il triste declino, che la vede smantellata fino ad un metro d’altezza per essere trasformata in deposito d’attrezzi agricoli.
Ad oggi anche questa funzione si è persa definitivamente, immolata miseramente sull’altare della frenesia distruttiva/ricostruttiva orlandina.
Dall’osservazione della foto è possibile formulare alcune considerazioni sia sulla costruzione, sia sul suo orientamento, visto che conoscendone l’ubicazione, ci torna facile.
La chiesa presentava un’asse d’interazione tra l’ingresso e l’altare est-ovest, spingendosi quasi idealmente a rivolgersi verso il luogo a lei caro, Siracusa.
Altresì, questa foto ci permette di comparare i particolari architettonici in facciata, fornendoci elementi utili ad interpretare la matrice generativa abbastanza comune nelle chiese rurali della campagna “nasitana”.
Sono alcuni semplici elementi che permettono di fornire una chiave di lettura simbolica dell’elevato, attraverso uno schema compositivo modulato.
Nel prospetto principale, scomponendola nelle aperture in verticale, si osserva una matrice tripartita, dettata in realtà dagli elementi decorativi finestre/porta.
Il trattamento stesso della superficie della facciata è povero, rurale, non presenta elementi artistici caratterizzanti, né colonne o capitelli con decorazioni significative, né putti o volute o timpani o lesene a decorare e a trattare la facciata, figlia della semplicità tipica degli ordini mendicanti.
La successione, finestra, porta d’ingresso, finestra, è realizzata in pietra arenaria squadrata, con appoggio sugli architravi di una mensola aggettante modanata, ricavata nello stesso materiale, unico vezzo decorativo.
Il ritmo architettonico è scandito dalle due aperture laterali, che aprono e chiudono l’armonia della facciata, che viene interrotta in corrispondenza dell’elemento porta, dando vita all’asse principale, che fornisce allo spettatore la linea ascendente che si armonizza in elevato.
Nell’asse centrale della chiesa si legge la sovrapposizione architettonica, con la presenza di una finestra che si appoggia alla mensola modanata, poggiato a sua volta sull’architrave in pietra della porta e completata da una mensola modanata però composta da due elementi accostati, amplificando la monumentalità dell’ingresso.
Tutto l’asse compositivo verticale prosegue nella sequenza porta/finestra, coronandosi nello stemma nobiliare, a sua volta sormontato dal piccolo campanile, posto anch’esso in asse e che rappresenta il culmine della chiesa, lì dov’era posta la campana.
E’ il gioco dei pieni e dei vuoti, uno schema comune rintracciabile fin dal 1524 e che si manterrà inalterato fino all’ultima edificazione rilevabile nel 1813, nella chiesa di S. Francesco vicina all’Ospizietto dei padri Cappuccini, pur con qualche variante.
La presenza numerica delle aperture in facciata ha una sua interpretazione numerologica che rimanda al messaggio cristiano, la presenza di ben tre finestre, oltre che ad inondare di luce l’unico ambiente della chiesa, rappresentava la triade cristiana, Padre, Figlio e Spirito Santo, posti a livelli sfalsati.
Nella foto, la finestra posta in alto sulla porta completa con quelle in basso l’ideale triangolo rivolto verso l’alto, rappresentando nello spazio geometrico il divino, un’ideale delta luminoso, che ha nello stemma nobiliare il suo punto più alto.
Alla tripartizione della prospetto principale, si aggiunge l’elemento porta, che sommato alle tre finestre ci rimanda al numero quattro, che rappresenta il quaternario, la materialità della terra e dell’uomo, la loro somma numerica idealmente ci porta al sette, che rappresenta l’unione del ternario e del quaternario e la creazione del mondo in sette giorni.
Rileviamo così l’esistenza di un linguaggio esoterico manifestato e celato negli elementi architettonici di una semplice chiesa di campagna.
Abbiamo accennato alla presenza di uno stemma nobiliare posto sulla finestra poco sotto il campanile, il suo blasone rimanda alla famiglia Drago che a Naso nel tempo rivestì importanti incarichi pubblici.
La loro presenza è confermata in parte in Naso, dalla residenza Drago già La Dolcetta, rinominata così dopo il matrimonio di Petronilla Drago nel 1824.
Sempre nella piana di Capo d’Orlando sulla statale 113, vi è la presenza di una fontana, conosciuta come fontana Drago, che vede al centro della composizione artistica lo stesso stemma partito che rimanda a quello presente sulla facciata della chiesa di Santa Lucia e ad un altro stemma presente a Capo d’Orlando e di incerta provenienza.
La sua collocazione nella chiesa di Santa Lucia, sembra essere coeva con la costruzione e non un’attaccatura posticcia successiva, dimostrandosi coerente a tutti quei canoni estetici e di proporzione, oltre che di materiale e in perfetto allineamento sull’asse principale del prospetto, in considerazione di ciò possiamo supporre che questa porzione di terra avesse un legame con la famiglia Drago.
Quel che non comprendiamo sono i motivi che spinsero allo spostamento e alla costruzione della cosiddetta chiesa Nuova di Santa Lucia, possiamo solo azzardare l’ipotesi che sia la conseguenza della volontà dei nuovi proprietari del fondo di dotarsi di un ambiente più confortevole e destinato a cappella privata, ad uso esclusivo della famiglia.
Questa soluzione scaturisce dall’esigua capienza dei fedeli al suo interno. Il contesto in cui si inserisce, sono gli edifici di pertinenza della nuova villa Lodato-Milio e forse con il passare del tempo ne fagocita la ritualità, che si concentra nella nuova costruzione, visto forse le sopraggiunte difficoltà nell’antica chiesa.
I tempi cambiano e nella pianura del’900 si incominciano ad affacciare nuove realtà religiose.
L’edificio della chiesa nuova si affaccia sulla via Consolare Antica, ruotata rispetta alla vecchia chiesa, il suo altare è orientato ad nord-ovest e l’ingresso ad sud-est, segno che alla fine del XIX secolo, non vi è più quell’attenzione nell’orientamento degli edifici di culto e degli altari.
Il cemento ha sostituito la pietra e la facciata viene trattata con una nuova concezione, posizionando le finestre in alto in maniera simmetrica e mantenendo l’asse centrale della porta con un arco a tutto sesto, sormontato da due linee in cemento che aggettano e si concludono a triangolo a cui manca la base, un timpano aperto, fornendo l’idea del vezzo decorativo nell’inquadramento dell’ingresso con una cornice in cui sopra la chiesa vi è inserita una piccola croce.
Al culmine del triangolo abbiamo la presenza di un oculo, moderna evoluzione degli ovali presenti nelle chiese rurali, qui la sua presenza è determinata dalla necessità di dover immettere luce negli ambienti che paiono scarsamente illuminati, tanto da dover aprire nel prospetto laterale una finestra.
Termina la composizione in facciata il colmo del tetto a due falde che nel punto d’incontro vede posizionata la croce.
L’edificio presenta negli angoli il trattamento di finti cantonali alternati in diverse dimensioni plasmati in cemento e aggettanti rispetto al filo della muratura.
L’interno è ad aula, di piccole dimensioni, con l’altare a filo con la parete di fondo e con la totale assenza di abside.
Nel complesso si tratta di una costruzione che nella modernità del tempo abbraccia le linee di uno stile semplice, lineare, senza fronzoli, però allo stesso tempo curata e con uno stile architettonico definito degli inizi del 1900.
La funzione della chiesa decade con il tempo, lasciando sguarnita l’intera contrada di Santa Lucia negli anni 80-90 del XX secolo, che però non si arrende e con caparbietà mantiene viva la fede a quel culto primigenio, vecchio ormai di quasi 400 anni trasferendosi in un garage, messo a disposizione dai fedeli.
Questa tenacia e volontà, fa sì che la Santa, continui ad essere festeggiata ogni 13 dicembre senza perderne la tradizione.
Il comitato di Santa Lucia non si abbatte e con un’accorta programmazione nel tempo, presenta un progetto per l’edificazione di un nuovo luogo di culto dedicato a Lucia.
Questa fase permette d’interloquire con le autorità comunali e le associazioni di volontariato, attuando una raccolta fondi e una presenza sui media, oltre che presso emittenti televisive locali, per poter addivenire al reperimento dei fondi per finanziare la costruzione della nuova chiesa.
Il raggiunto finanziamento, permetterà l’inizio dei lavori e la costruzione di una moderna chiesa, che mantiene e perdura il culto di Santa Lucia nella piana di Capo d’Orlando.
Di seguito, riportiamo il Comunicato che sancisce il risultato ottenuto:
Dall’Ufficio Stampa del Comune di Capo d’Orlando – COMUNICATO STAMPA N. 271 DEL 07/11/2001 – Approvato il progetto esecutivo per la Chiesa di S. Lucia:
L’Amministrazione Comunale di Capo d’Orlando ha approvato, con una delibera di Giunta, il progetto esecutivo per la costruzione di una Chiesa nella contrada Santa Lucia. Un passo conclusivo prima dell’avvio dei lavori di questo edificio di culto fortemente voluto dai fedeli di quel quartiere di Capo d’Orlando.
Il Sindaco Enzo Sindoni ha consegnato alla delegazione del Comitato Pro Chiesa Santa Lucia con a capo il Presidente Antonino Mazzone, la delibera di Giunta Municipale relativa all’approvazione del progetto esecutivo, l’atto amministrativo che ha messo fine ad un iter lungo e travagliato. Mazzone ha espresso il ringraziamento del Comitato per l’attività svolta in questi anni dall’Amministrazione Sindoni a sostegno del progetto per la costruzione della Chiesa di Santa Lucia, mentre il Sindaco ha affermato che il risultato è stato conseguito “soprattutto grazie alla caparbietà e agli sforzi compiuti dal Comitato, ma è un traguardo che premia tutta la Comunità orlandina”.
Con un provvedimento emanato lo scorso giugno, la Regione Siciliana ha concesso un finanziamento di quasi tre miliardi e mezzo per la costruzione dell’edificio di culto i cui lavori dovranno iniziare entro il prossimo luglio.
Il Progetto, redatto dall’Architetto Marinica Fardella, prevede la realizzazione del luogo di culto in una zona di oltre 600 metri quadrati e potrà accogliere quasi 1000 fedeli. Oltre agli alloggi per i sacerdoti, collegati all’archivio, e alla sagrestia, collegata all’altare, si realizzeranno alcuni uffici, un’ampia sala riunioni e una sala lettura, adiacente alla biblioteca. All’esterno, è prevista inoltre una piazzetta con annessa una zona di verde pubblico attrezzato.
Bibliografia
Sara Favarò “Santi e Dei, trasformazione del racconto classico nella Sicilia cattolica” Tipheret editore 2018
Antonella Muscarà “Riscoprire” Comune Capo d’Orlando Ass. Beni Culturali, Edas 1991
Carlo Incudine “Naso Illustrata” Giuffrè editore ristampa
Katia Rifici “Le chiese rurali nel territorio di Naso dal XVI al XIX secolo” Pro Loco città di Naso 2000
Salvatore Sidoti “Storia Urbanistica di un territorio” Pungitopo1981
Giuseppe Librizzi, Rino Vinci “Ciaramite di Capo d’Orlando” Archeoclub d’Italia 1994
AA.VV. “Naso, terra grande, ricca ed antica” Alinea Ed.2012