Il territorio di Sant’Agata di Militello (Me) fra i fiumi Rosmarino nell’antichità*
In memoria di Fausto Bianco, Ispettore Onorario della Soprintendenza Archeologica di Siracusa dal 1971 al 1980. Per gentile concessione alla ri-pubblicazione del nipote Annibale Bianco.
di Fausto Bianco
Fra i fiumi Rosmarino ad oriente, l’antico Chida (1), e l’Iganno(2) ad occidente, in una stretta fascia pianeggiante di territorio venutasi a formare nel periodo terreniano (3), con una larghezza variabile fra 300 e 1300 metri ed un’altezza massi9ma di poche decine di metri, sorge l’abitato di Sant’Agata di Militello, chiuso alle spalle da un sistema collinare, (Apesana, S.Leo, Terreforti, Capita, Carra, Telegrafo, Alesa, Minà, Cuccubello, Sprazzì) con altezza variabili fra quota 20-150 e quota 1032 (4) Agrifoglio.Poche le notizie su questa zona che in epoca greco-romana doveva far parte della chora di Alontion-Halunthium e forse Apollonia.
Fra gli storici e geografi antichi, solo Tolomeo menziona il Chida, mentre in epoca più recente uno storico tedesco, Goltz, colloca alla foci di questo fiume, che però identifica con il Furiano, la città di Galatea. Inoltre, fra gli inizi dell’ottocento ed i primi decenni del nostro secolo, studiosi come Mannert e Parthey (6) prima ed il Pace (7) ed altri poi, vi hanno posto la città di Agathirnum, che con più esattezza si può ricercare su Capo d’Orlando (8), fra le contrade di San Martino e Bagnoli. Per quanto riguarda quest’ultimo problema, è chiaro che tutti questi autori si basano esclusivamente sulla assonanza dei nomi. Ora a noi sembra evidente che da una analisi obbiettiva delle fonti antiche, Plinio (9) e Tolomeo (10) in particolare, fonti che per essere le più vicine al periodo storico che ci interessa, ma anche Strabone (11), nell’enumerare da ovest verso est le poleis, pongono sempre Agathirnum dopo Halunthium. Gli Itinerari (12), pur tacendo di quest’ultima, non contraddicono queste posizioni, anzi ne sono una ulteriore conferma. Fatta questa premessa, essendo oramai definitiva e certa la identificazione di Alontion-Halunthium con S. Marco (13), ne consegue che Agathirnum vada ricercata dopo, e quindi con assoluta certezza a Capo d’Orlando (14), come numerosi e frequenti rinvenimenti, anche di iscrizioni, autorizzano a ritenere.
Una prima ricerca sulla zona venne effettuata nel 1866 dal tedesco Giulio Schubring, che visitò S. Marco e S. Fratello. Nella relazione che fu poi letta dal Mommsen all’Accademia di Berlino (15), lo Schubring pone Halunthium in S. Marco, Apollonia a S. Fratello e colloca su S. Agata una della Alese siciliane, che dagli storici antichi sono indicate fra le città di ignoto sito (16).
Si può ipotizzare, che lo studioso tedesco durante la sua permanenza a S. Agata abbia probabilmente avuto notizia, o visitato dei ruderi nella contrada Alesa o Alessi, sita un po’ più in alto dell’attuale ospedale, dove in effetti nel 1969, durante la costruzione dell’ex ristorante “Gaetano”, si rinvennero elementi archeologici (17).
Non ci è possibile fare altra supposizione, dato che la relazione enumera solo le località moderne con l’equivalente nome antico, senza spiegare i motivi di queste atribuzioni.
Dal 23 al 28 aprile del 1880, il Salinas, esortato dall’allora Regio Commissario degli scavi e musei di Sicilia, Principe di Scalea, soggiornò nel castello di S. Agata, per effettuare un’escursione in S. Fratello, S. Marco, Patti e Tindari. Nella relazione conclusiva egli afferma di non aver avuto notizia di alcuna antichità in S. Agata, né comprende come lo Schubring vi abbia potuto collocare una delle Alese (18).
Fra i materiali dati come provenienti da S. Agata Militello, secondo quanto affermato dal Mommsen, è registrata al n° 1030 del Museo di Palermo, una iscrizione pervenuta il 5 ottobre del 1877. Si tratta di un cippo di calcare dedicato a certo Quintus. Le lettere, molto corrose, non ne permettono una sicura lettura. E’ più probabile, che questa epigrafe, che il Mommsen (19) afferma provenire da S. Agata, sia pervenuta o da Caronia, contrada Baglio del Duca, o forse con più certezza, da Tusa.
Vi giunge, invece, sicuramente, altra iscrizione (20) in marmo locale rosso, rinvenuta nell’agosto del 1902 durante la costruzione di un acquedotto nella via S. Giuseppe, sotto la travata metallica della linea ferroviaria Messina-Palermo, al Km. 124+436. Dedicato a Caninio Aniceto, che possiamo considerare il primo abitante del territorio di S. Agata, di cui si ha notizia, questa lapide ricopriva uno dei numerosi inumati messi in luce.
Lo scavo restituì alcune tombe con degli scheletri in buono stato di conservazione. Più segnatamente in due di esse, che erano collocate nella stessa direzione, si rinvennero due teschi, uno con la testa rivolta a levante, l’altro a ponente, a difesa dei quali tre pietre, due ai lati del capo ed una sopra. Era proprio uno di questi sepolcri che custodiva i resti di Caninio Aniceto.
L’ingegnere Fontana, direttore dei lavori, affermò che le sepolture non proseguivano né a monte, né a alle, ma seguivano il tracciato della ferrovia che in quel tratto correva parallela alla spiaggia (21). Ciò forse si può spiegare col fatto che in questi pressi doveva passare in epoca romana, periodo storico nel quale possiamo far risalire gli inumati, la via Vlaeria (22), da Cicerone (23) chiamata Pompeia, che, scavalcando i fiumi Platanà (24) e Chida (25) si immetteva nel territorio, oggi, di S. Agata, dove costeggiando il litorale proseguiva verso Acquedolci attraversando le contrade Piana e Pianetta.
E’ anche registrato, come proveniente da S. Agata, uno dei più interessanti bronzetti del Museo di Siracusa. Si tratta di un idoletto siculo alto cm. 11 (26). Il Bernabò Brea (27) però suppone che provenga da Monte Scurzi in territorio di Militello Rosmarino, dove nel 1955 fu scoperta casualmente una stazione della tarda età del Bronzo inizi del ferro.
Questi sono in breve i dati certi archeologici di cui disponiamo per S. Agata Militello.
Attraverso quelli non ufficiali, ma non per questo meno attendibili, ricaviamo che una delle caratteristiche della zona, è stato il rinvenimento di tombe, sparse un po’ ovunque, su tutto il territorio, in seguito a scoperte effettuate fra il primo decennio del nostro secolo e gli anni quaranta.
Se ne sono trovate su tutta la piana di S. Bartolomeo, cioè in quella fascia di terra che dal Rosmarino giunge fino alla stazione ferroviaria, dove nel 1942, durante lavori di ampliamento della stessa, lato Messina, vennero in luce delle sepolture di epoca romana; così pure nella zona del castello, in via Campidoglio nel 1928 all’altezza del S. Cuore, nel quartiere Calderone nel 1930 durante l’edificazione di case.
Di quelle della stazione siamo certi che erano di epoca romana, nulla o poco sappiamo delle altre, così che non ci è consentito formulare datazioni, anche se possiamo ipotizzare che pure queste dovevano essere dello stesso periodo delle prime.
Sempre in contrada Capita – ex proprietà Lemos – furono messe in luce (28) nel 1945, durante lavori per l’impianto di un vigneto, quattro tombe che vennero accuratamente scavate dal proprietario. Il materiale raccolto, fra cui una bella lucerna a vernice nera, permette un’attribuzione al III secolo a. C..
Infine, sul pianoro di contrada Ireta nel 1961 si rinvennero dei pithoi (29), ma i dati che sono stati forniti non ci consentono di stabilire l’epoca e la funzione.
A S. Agata, la Soprintendenza di Siracusa, ha effettuato nel 1979, un solo brevissimo intervento (30) nella stazione ferroviaria, dove durante lo scavo per le fondamenta del dormitorio, fu ritrovata una certa quantità di ceramica sigillata e si resero visibili delle strutture (31) murarie.
Il saggio, condotto su una limitata superficie, ha evidenziato, per la profondità di circa un metro e mezzo, uno strato di terra di riporto servito a riempire i due muraglioni sui quali fu edificata la stazione. In questo strato era presente ceramica mista a tegolame e a resti di epoca più moderna. Ciò confermerebbe l’ipotesi secondo cui questa terra doveva provenire dalle immediate vicinanze. Del resto si è già detto che la zona in passato è stata oggetto di sporadici rinvenimenti. Il suolo originario, di base, invece, restituì, fin dove fu possibile condurre l’intervento di scavo, ceramica di epoca romana, in mezzo alla quale si rinvenne un denarino (32) in argento della medesima epoca.
Come Ispettore di zona, oltre ad effettuare ricognizioni su tutto il territorio lo scrivente ha condotto due interventi di interesse topografico; il primo in contrada Priola (34) nel 1974, il secondo in contrada Rigamo nel giugno del 1980.
Contrada Priola è posta ad un’altitudine variante fra quota 685 e quota 832. Costituita da una formazione di origine carsica, presenta alla superficie notevoli e profonde spaccature, che danno origine a cavità sotterranee, ricche di acqua. Confinate con contrada Furci, interessata anch’essa da reperti archeologici, separa il territorio di S. Agata da quello di Militello Rosmarino. Caratterizzata da due cime, che ne permettono il riconoscimento anche da lontano, presenta alla sommità delle stesse, degli ampi pianori adatti all’insediamento.
In una prima ricognizione, effettuata nel giugno del 1971, si rinvennero in superficie pochi frammenti di ceramica a vernice nera, diversi pezzi di pithoi (se ne potè ricostruire uno) (35) tegolame vario, frammisto a scadente ceramica acroma.
La ricognizione permise anche di identificare tracce di muretti di probabili abitazioni.
Nel giugno 1974 lavori agricoli misero in luce nuovi reperti. Una pulitura operata per il recupero del materiale affiorante, evidenziò i resti della fondazione di un povero edificio recante evidenti tracce d’incendio.
L’area esplorata su un fronte di due metri per una lunghezza laterale di metri 1,87, restituì altri grossi frammenti di pithoi e vasellame vario di fattura scadente. Lungo la parete di fondo dell’ambiente si scoprirono accatastati insieme, quasi a formare un ripostiglio, sedici pesi di telaio, di cui quattro a piramide tronca, mentre il terreno che li ricopriva evidenziò una monetina in bronzo (uncia) della zecca di Rhegion, recante i tipi (testa di leone di fronte-testa di Apollo a destra) il cui periodo di circolazione può essere compreso tra il 350 ed il 270 a. C..
E’ utile riportare una tradizione riferita dai contadini del luogo, cioè che ivi sorgesse un’antica città poi sprofondata.
Gli elementi di cui disponiamo ci permettono di desumere che l’insediamento archeologico doveva avere modeste dimensioni, e potrebbe essere trattato, come ha evidenziato G, Scibona (36), “di una stazione di transumanza ad uso probabilmente estivo, dato il rigore invernale, dei pastori di Alontion o Apollonia”. I dati ceramici ci consentono di collocare l’insediamento attorno al V-IV sec. a. C., poiché resta fortemente dubbia, come preistorica, la presenza di materiale ad impasto grossolano.
Il secondo intervento è stato condotto in contrada Rigamo (37), vicino Vallebruca. Nella proprietà Bordonaro, durante i lavori di costruzione di una casa, si recuperarono alla profondità di circa m. 1,50, frammenti di ceramica ad impasto preistorico simili a quelli di Monte Scurzi databili forse alla fine dell’età del bronzo.
Infine ricognizioni effettuate nel territorio hanno evidenziato come probabili zone di interesse archeologico:
- a) Piano Cangemi, soprastante il fiume Inganno, con rinvenimenti in superficie di qualche strumento di ossidiana, ceramica acroma e rada ceramica bizantina.
- b) Rocca Carbone, contrada S. Basilio, dove secondo la tradizione locale si sarebbero rinvenute nel passato tombe con «scheletri di giganti».
- c) la grotta del Vento, ubicata nella stessa contrada.
- d) la zona della piana del fiume al confine con il fiume Inganno, con rinvenimenti (38) di strutture murarie, uniche conosciute in S. Agata, che potrebbero fare pensare ad un insediamento abitativo, mentre per il versante opposto,
- e) una più attenta esplorazione andrebbe effettuata sulla collina di Apesana alla foce sinistra del fiume Rosmarino, forse intimamente legata all’insediamento di Scurzi ed
- f) alle grotticelle sotto questo monte ubicate in contrada Astasi, oltre che in contrada Lia.
Concludendo si segnalano per il periodo tardo romano-bizantino ancora Piano Cangemi, contrada S. Basilio, San Polito al confine con Priola, Robina, Ramisi vicino Ireta, contrada Contura e Furci (39).
Inoltre, anche se il terreno nulla di archeologico ha finora evidenziato, oltre al toponimo «Alesa», di cui cercheremo di dare spiegazione, si indica quello di «Iria» che si potrebbe ipotizzare legato alla leggenda dell’arrivo di Minosse in Sicilia ed alla successiva fondazione della città omonima nella Iapigia (40).
Da tutti questi dati, e particolarmente da quelli riferibili quasi certamente alla tarda età del bronzo, emerge un quadro abbastanza omogeneo di micro insediamenti, ove si eccettui quello di Monte Scurzi, quasi tutti posti ad est dell’attuale abitato di S. Agata, su alti speroni rocciosi e in prossimità di vie fluviali (Cresta del Pollicino, Apesana Encolle, Lia, Monte Scurzi, San Basilio), dai quali facilmente si esercitava il dominio visivo su tutto il territorio circostante.
In questo panorama, e relativamente a questa epoca, Monte Scurzi rappresenta al contrario l’insediamento caratterizzante, dal quale sono probabilmente derivati tutti gli altri. Per i dati che possiamo desumere dall’esplorazione condotta all’epoca della scoperta (29-08-1955), dalla Soprintendenza Archeologica di Siracusa (la prima indagine fu dell’ispettore onorario D. Ryolo), l’abitato di Monte Scurzi, sembra abbia avuto una continuità di vita che va dalla fine della tarda età del bronzo inizi ferro (41), fino al V se. A. C., Bernabò-Brea in una relazione del 1955 scrive “da questo materiale è facile dedurre che il villaggio sorto in età pregreca è sopravvissuto anche per i primi secoli di colonizzazione greca. Insieme alla d’impasto dell’età del ferro abbondano infatti frammenti di ceramiche ioniche del VI se. A. C. e forse anche dei principi del V se.. ma nulla attesta la continuazione dell’abitati in età, posteriore. Probabilmente esso è scomparso (42) in seguito alla profonda trasformazione dell’organizzazione sociale ed economica nel corso del V secolo, quando sorsero a poca distanza le nuove città della costa: Alesa, Calacte, Tyndaris, site in posizioni più favorevoli, per questa ragione e anche per la sua limitata ampiezza non riterrei moto verosimile la sua indicazione con Agathirnum che dovrebbe essere più vicino alla costa, o più verso oriente e che dovrebbe essere vissuta anche in età ellenistica e romana (43)”.
L’identificazione di Monte Scurzi con Agathirnum era stata infatti subito sostenuta dal Ryolo, in base al rinvenimento di ceramica riferita alla cultura dell’Ausonio I (44).
Per quanto fin qui esposto assume particolare rilievo l’esistenza di una antica trazzera, ancora oggi documentabile in qualche tratto, che univa alcune contrada sopraelencate. Tale strada, che partiva dalla foce del fiume Rosmarino, (nella carta della Schmettau è segnata la contrada Pisana), risaliva per Monte Scurzi, San Giorgio nei pressi di Lia, Pizzo San Pietro, Serra Leotta, Furci, Priola e si inoltrava verso Alcara e i boschi di Montesoro (45).
Riepilogando quanto esposto, ipotizziamo per S. Agata una certa, anche se non massiccia, frequentazione umana ad iniziare forse dalla tarda età del bronzo, con gli insediamenti di Lia (46), Cresta del Pollicino (47), Apesana (Monte Scurzi), Rigamo, San Basilio (48), svoltasi nella fascia medio-alta della collina, e comunque in posizione arroccate atte alla difesa, com’era caratteristica dell’epoca.
Non vi sono fino ad oggi elementi per stabilire, se da un lato esista una occupazione del territorio anteriore a questo periodo, e se dall’altro si sia svolta anche nella parte basse, pianeggiante.
In seguito, forse intorno al V-IV sec. a. C (Priola, Rocca Carbone), si hanno sempre nella media-alta collina, insediamenti legato all’attività di pastorizia, che doveva costituire in quel tempo la prevalente risorsa economica della zona.
Per quanto riguarda poi l’età ellenistica (III-II sec. a. C.) abbiamo soltanto rinvenimenti sporadici di tombe sparse per il territorio, specie nella fascia costiera. Esse sono da riferire quasi certamente a piccoli nuclei rurali.
Il mancato rinvenimento di elementi che possano far supporre la presenza di un vero e proprio abitato, unitamente ad altre considerazioni, porta ad escludere che nel territorio di S. Agata sia da individuare dal punto di vista archeologico il sito dell’antica Agathirnum, come sostenuto in particolare dal Pace solamente per l’assonanza dei toponimi. Con maggiore certezza si potrebbe affermare che sia stata sede di una “mansio”, forse di Solusapre (49), che Bernabò-Brea (50) colloca nel territorio di Halunthium (San Pietro di Deca) e Scibona (51) sulla via da Calacte verso Capizzi, oppure , seguendo il Salinas (52), che abbia ospitato uno scalo marittimo pertinente ad una delle città dell’entroterra (Halunthium, Apollonia).
Resta per ultima da esaminare l’ipotesi dello Schubring che vi colloca una delle «Alese» (53).
E’ evidente che ogni toponimo attesta il ricordo di qualche cosa che si è tramandato nel tempo. Sappiamo che delle «Alese» (54) preesistevano alla più famosa Arconidea (55) fondata nel 403 a. C. e chiamata appunto così per distinguerla dalle altre che erano in Sicilia.
Gli elementi ceramici, peraltro minimi, provenienti da questa zona escludono per il momento presenze di IV-III sec. a. C. riferibili a un qualunque centro urbano. Ci confermano, invece, un’attività svoltasi fra la fine del I sec. a. C. ed il III d. C., legata verosimilmente sempre a gruppi agricoli (fattorie), o anche allo sfruttamento delle argille. La presenza del toponimo “Alesa”, se originaria, potrebbe invece essere confortata con l’ipotesi del Pais (56), anch’essa tutta da verificare, che in questa zona possa essere legata alla non lontana Alesa Arconidea, in quanto territorio concesso dai romani in premio agli alesini per l’aiuto ricevuto durante la prima guerra punica.
Al termine di questa nota, nel tentativo di delineare un quadre il più possibile aderente alla realtà, ci sembra opportuno soffermare la nostra attenzione su un particolare aspetto, e nel contempo operare un tentativo per la risoluzione di un ultimo problema. L’aspetto considerato è che in epoca antica il territorio di S. Agata Militello non ha ospitato insediamenti umani di rilievo, di cui possiamo con certezza determinare le caratteristiche, che al tempo, ma che, al contrario, i fenomeni di antropizzazione (antica), sono sempre avvenuti ai margini di esso. Di quanto affermiamo, significativi esempi sono l’abitato di Monte Scurzi per il periodo che dalla tarda età del bronzo giunge fino al V secolo a. C., e, in seguito, le poleis di Alontion-Halunthium e di Apollonia, poste ad est del fiume Rosmarino la prima, e a ovest dell’Inganno la seconda, per cui sembra logico dedurre che il territorio da noi esaminato sia stato di volta in volta parte integrante di queste poleis.
Da tutto ciò deriva una indeterminatezza, che del resto è caratteristica anche di epoche recenti: ne consegue quindi una difficoltà di lettura, che in parte si può superare, estendendo necessariamente l’indagine ai territori oggi contermini di Torrenova e San Marco d’Alunzio a est, Acquedolci e S. Fratello a ovest, oltre naturalmente a quello di Militello Rosmarino, dal quale in tempi recenti (57) S. Agata ha acquistato la propria identità di comune autonomo. Il problema, infine, riguarda l’origine del nome di S. Agata, che ci sembra evidente non possa essere disceso da Aghathirnum.
Da quanto esposto ne consegue che, se desideriamo ricercare un’altra e diversa soluzione, dobbiamo operare questo tentativo attraverso l’analisi di prove indirette, che nel caso specifico, ci indicano come molte contrade di questo territorio, recano nomi di santi. San Bartolomeo, San Basilio, Santi Quaranta, San Giorgio in territorio di Militello Rosmarino, sono tutti toponimi che ci consentono di ipotizzare che una più rilevante antropizzazione del territorio debba essere avvenuta in piena temperie cristiana, e cioè, come confermato dalla ricerca archeologica, almeno a partire dall’età bizantina.
Per l’età araba l’unico dato, desumibile dall’opera geografica di Edrisi (1154), potrebbe essere il toponimo ‘Alquâmarah (58) che in un primo momento M. Amari colloca su S. Agata, mentre successivamente, rifacendo il calcolo delle distanze in miglia fornite dal geografo arabo, fa corrispondere al sito di Acquedolci (59).
Evidentemente in questa tormentata epoca, in cui la Sicilia subì tante devastazioni che cancellarono per sempre molte memorie storiche (60), il territorio di S. Agata ricade nell’antica indeterminatezze, dalla quale uscirà gradualmente solo a partire dall’era Normanna. Ed è probabilmente a questo periodo, che dobbiamo far risalire l’origine di questo nome, derivato quasi certamente da un piccolo insediamento rurale, sorto come gli altri in epoca tardo cristiana-bizantina, oggi non più identificabile, ma che possiamo supporre essere stato nella zona dell’attuale marina, dove su un masso roccioso emergente nella circostante pianura, venne edificata una prima torre (61) di guardia, attorno alla quale sorse poi il nucleo che diede origine all’insediamento moderno.
*Studio pubblicato nel 1988 in Archivio Storico Messinese III serie XLIII n°52, edito dalla Società Messinese di Storia Patria
Note
(1) Ptolemaei, Geographia, ed. C.F.A. NOBBE, Leipzig 1843, III, 4, p. 162.
(2) Della costruzione di un ponte cinquecentesco che superava “il fiume de lo Ingannolo, fundato circa menzo miglio distanti de la real Stratta … “, e di cui “se li son fondati quattro pilastri … “, si fa menzione nel ms. inedito Informazio-ni delli Ponti di questo regno a S.E. Marco Antonio Colonna, 1582, acquistato da G. Scibona sul mercato antiquario.
(3) Sulla formazione geomorfologica di questa zona hanno scritto recentemente due studiosi francesi: G. HUGONIE, La chaine bordiére des Monts Péloritains oc-cidentaux (Sicile), in “Bull.Assoc.Géogr.Franç.”, n. 419,1974, p. 251-267, eD. RO-BILLARD, Les dép6ts quaternaires du versant tyrrheniene de Sicile (sectew’ d’Acquedolci-Capo d’Orlando). Stratigraphie et tectonique, Mémoire présenté à l’Université des Sciences et Techniques de Lille (Diplome d’études approfondies: Géologie Appliquée) le 25 Juin 1975 (144 pp.) Dalle conclusioni dei due autori si rileva che le peculiarità di questo territorio sono dovute alle caratteristiche litologiche e ai movimenti tettonici dell’era terziaria, rompendo le “unità stratigrafiche” , assieme ai fenomeni più recenti di erosione e di depositi del quaternario, a loro volta «movimentati» dalle varie linee di costa e quindi di erosione marina, contribuiscono a variare il tipo di paesaggio e la qualità dei terreni, (Hugonie). “Flysche e Molasse”, terreni meno consistenti dei formano nel loro insieme le forme più dolci, molli e irregolari dei rilievi. L’ossatura di questi ul-timi, con le loro forme rigide e imponenti, sono invece dovuti ai “calcari giurassici”. Il contatto tra la piana costiera recente (quaternaria) e le cime calcaree avviene tramite gradoni larghi a volte alcune centinaia di metri. Il versante occidentale di S. Marco permette di rendersi conto di tutti questi gradoni dei quali il più basso è ben chiaro lungo il bordo del Rosmarino. Colline schiacciate e sezionate segnano, come a Monte Scurzi, l’assenza di questi gradoni. I corsi d’acqua scorrono sempre incassati nella formazione calcarea prima di gettarsi sulla piana litoranea che si è andata formando durante l’Olocene”, dodicimila anni fa circa”, quando a causa della persistente attività tettonica di sollevamento, che è testimoniata dalla notevole sismicità di questa area, la conseguente attività erosiva, ha fornito in grande quantità materiali detritici, che trasportati a mare dalle grandi fiumare (Rosmarino-Inganno) sono stati redistribuiti dalle correnti litoranee ai piedi della colline e alle foci dei fiumi, dando così origine all’attuale pianura costiera larga da 300 a oltre 1000 m.. per quanto esposto si v. anche B. Campisi, Lineamenti geologici della regione di S. Agata di Militello, Floresta e zone contermini (Sicilia Settentrionale), in boll. Soc. Geogr. Italia vol. LXXX fasc. 425, 1958 pp 565-610.
4 Istituto Geografico Militare 1970. Carta d’Italia 1:25.000, F. 252, III SE, S. Agata di Militello, Rlievo aerofotogrammetrico 1967.
5 H. GOLTZIUS, Sicilia et Magna Graecia: sive histrian urbium et populorum Graeciae exantiques numismatibus restituita (1576), Anversa 1644, p. 12; cfr. V. Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, Palermo 1855, Vol. I p.482, s.v. Galatea: “Antica terra, secondo Goltz un tempo alle ripe del fiume Chida offi Furiano, nominata per la copia di latte. Ma essendone menzione alcune appo gli antichi sembra che la confondi con Galata o con Calatta, che sorgeva nella medesima aquilonare spiaggia di Sicilia”.
6 K. MANNERT, Geographie der Griechen und Romer-Italia, Leipzig 1823 p. 411. G. Parthey, Siciliae Antiquae Tabula emendate, Bertolini 1834 pp. 1-19. La prima identificazione di Agatyrnum con S. Agata risale comunque a Samuele Schmettau, cfr G. Parthey, op. cit., pp. 1-19, B. Pace, ACSA, vol. I p. 466 e III 103 nota 1.
/ B. Pace, op. cit. I p. 328 “ Agatirno presso Capo d’Orlando e più precisamente , come ritengo io, a Sant’Agata di Militello, paese nel cui vecchio nome do S. Agáti vedo una persistenza diretta dell’antica denominazione”. Sono concordi nell’identificare Agathyrnum con S. Agata di Militello: F. Garofolo, le vie romane in Sicilia, Napoli 1901, p. 16 ss. C. Massocco, Umbilicus Siciliae er Trinakie, in Ass (ser. III vol VIII) Palermo 1956, p. 12: G. Uggeri, La Sicilia nella Tabula Peutingeriana, in “Vichiana” VI, Napoli 1969, p. 127 ss; G. P. Verbrugghe, Itinera Romana. Sicilia, Bern 1976, p.34 e 73-77; E. Manni, Testimonia, Siciliae Antiqua, I, 1, Roma 1981, p. 138 sg., il quale afferma che : “ l’identificazioe con S. Agata, proposta da Pace, potrebbe essere suggerita anche dalla forma Agatin(n)um di It. Ant. Quasi fosse «il luogo di Agata».
8 Per le fonti storiche archeologiche e bibliografiche su Agathirnum e Capo d’Orlando si v. G. Scibona, s.v. Capo d’Orlando, in BTGGI, vol. IV, Pisa-Roma (1985), pp. 425 ss. Lanza, Fioretti di Naso (manoscritto 1600 circa) “In queste terre di San Martinu c’era un casale nominato Agatirso”; Cfr. C. Incudine: Naso Illustrata, Napoli 1882 p. 11 nota 5 r lib. II cap. 4.
9 Pli. N. H. III 8, 4.
10 Ptol. III 4, 2.
11 Strab. VI 2, 1.
12 Per gli itinerari in generale cfr. K. Miller, Itineraria Romana, Stoccarda 1916 (Sicilia 395-405).
13 G. Gualterius, Siciliae adiacentium insularum et Bruttiorum antiquae tabulae cum animadversionibus, Messina 1624, 47-48 (nr. 308-316). A. Salinas, in notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. Fiorelli nella seduta del 20 giugno 1880, Atti della R. Accademia dei Lincei, anno CCLXXVII (1879-80), seriet terza, memoria V, XXI-XXII (San Marco d’Alunzio, S. Pietro sopra Patti) 449-455, spec. XX (ristampa in A. Salinas, scritti scelti, I, Palermo 1976, 296-304)
14 G. Parisi, Aghathirnum, in “Educare” Messina 1956 pp. 5-6. Cfr A. Salinas Not. Cit. 1884, pp. 162-163. Più recentemente, nel gennaio 1981, uno scavo d’urgenza operato dalla Soprintendenza di Siracusa in via Vittorio Veneto, ha restituito una necropoli con materiali databili al III sec. a. C..
15 Th Mommsen. In Monatsberichte konigl. Preuss. Akad. Wiss. 1886, Berlino 1867, 756.
16 Diod. XIV 6,2; Cfr. E. Manni op. cit. pp. 140-141.
17 nel 1969 furono portate in luce strutture murarie in grossi mattoni, oltre ad una gran quantità di frammenti di ceramica bruciata. Ciò mi è stato raccontato dal proprietario che mi ha mostrato due mattoni e alcuni frammenti di ceramica acroma di scadente qualità. Da contadini del luogo mi è stato detto che nel passato, in contrada Minà, nei pressi della casa Tramonti, durante lo scavo per le fondamenta di una abitazione fu trovato del vasellame accatastato, che si ruppe nella scoperta. Gli stessi contadini, affermano che nella zona sarebbero state rinvenute delle fornaci.
18 A, Salinas, Scritti scelti, Palermo 1976, vol. I p. 306: “Noto questo paese solamente per dire, che non vi ebbi notizia alcuna di avanzi antichi; è però non so donde si muova lo Schubring nel rapporto già citato, a collocarvi una della antiche Alese”.
19 Th Mommsen, Corpus Inscriptionum Latinarum Berlin 1883, vol. X, n° 7469 cfr. L. Bivona, Iscrizioni latine del Museo di Palermo, Palermo 1970, pp. 57-58, n° 41, Tav. XXVIII, “Il Mommsen (C.I.L., ad loc) dice l’iscrizione giunta al Museo di Palermo nel 1887 da « Sant’Agata di Militello inter Halaesam et Haluntium». Al 5 ottobre di quest’anno nel registro entrata del Museo è segnato col n. 1030 un «cippo di marmo con poche vestiggia d’iscrizione. Marina di Caronia nella località Baglio del Duca ». nell’inventario, al n. 425 dove è anche annotato il numero R.E. 1030 si legge: «Marmo, cippo di Tusa ». “ritengo che tutte queste indicazioni possano riferirsi al medesimo pezzo e, in questo caso, l’indicazione del R.E. molto dettagliata sarebbe da preferirsi per fissare il luogo di provenienza. Preferisco tuttavia lasciare l’indicazione data dal Mommsen perché la mancanza di indicazioni dl cippo impedisce di essere certi che i dati si riferiscano ad esso”. L. Bivona, cit., p. 58.
20 A. Salinas, in Notizie Scavi Antichità 1902, pp 472-473. Cfr. Bivona, op. cit., p.58, Tav. XXVIII, « Lastra di marmo locale rosso con venature bianche, rinvenuta nell’agosto 1902 durante costruzione di un acquedotto pubblico a Sant’Agata di Militello e propriamente « nella via S. Giuseppe…sotto la travata metallica della linea Palermo-Messina a km. 124+436». Cn(aeo Caninio/Aniceto/Terzius patri/ suo Feciit». Iscrizoni su quattri linee; 45 cm x43.
21 A. Salinas loc. cit. “Due teschi si conservano ancor più o meno danneggiati ed erano collocati nella stessa fila, uno con la testa a levante e l’altro con la testa a ponente, sicché i piedi venivano ad incontrarsi”. “Questa lapide, insieme al cranio di Caninio Anitceto, ad un frammento di embrice con bollo (testa di Ariete)? E ad altri frammenti fittili, fu da me recuperata pel museo nazionale di Palermo, grazie al gentile concorso di quella autorità municipale”. Cfr. A. Salinas art. cit. 472-473. Una ulteriore conferma di questa necropoli si ha ancora nel 1929 in via Cagni, dove durante i lavori per la messa in opera di nuove fognature si scoprirono alcune tombe che presentavano il medesimo andamento rettilineo. Una tradizione locale vuole che ivi esistesse anticamente un antico monastero. A. Salinas, art. cit. 437. Queste tombe per quanto da noi ipotizzato, dovevano essere poste lungo i margini della strada, potrebbero costituire un punto fermo per la ricostruzione dell’antico percorso in questo tratto.
22 per lo studio della viabilità antica, e in particolare per le analisi e le conclusioni B. Pace op. cit., I p. 469. In epoca moderna, la prima carta «topografica» di Sicilia, nella quale vengono riportati i percorsi delle antiche trazzere, anche se priva “di buon fondamento geometrico, con rilevazioni a vista dell’orografia e degli itinerari è quella del barone Samuele Schmettau, generale dell’esercito austriaco, edita nel 1720” e che ha avuto molte altre redazioni, cfr. B. Pace, op. cit. III, p. 103 nota 1. Noi ci riferiamo alla carta originale del 1720, che si conserva nell’Archivio Militare Segreto di Vienna.
Nello stesso archivio, ai segni n° Iq k.u.k-Kriegs Archiv, si conserva un manoscritto che descrive le coste della Sicilia e le loro fortezze. Parlando di Militello dice “seguendo il litto scoverto si gionge doppo il tratto di qualche due miglia il castello di Santa Agata con varie case, magazeni, e giardini attorno, et il suddetto è del Signor prencipe di S. Fradello, et è munito di tre cannoni di … e custodito da un castellano del medemo Prencipe, fatte poi altre due miglia e mezzo di lito scoverto, si arriva alla foce del fiume dell’Inganno fine del territorio di Militello”. Questo manoscritto mi è stato segnalato dall’amico Vlado Zoric che ringrazio.
23 Cicero, in Verr., V, 169. Per quanto riguarda la Consolare antica, un diploma di epoca normanna pubblicato da Spata, la designa ancora in quel tempo, con il nome di via Imperiale. G. Spata, Pergamene greche di Sicilia, Palermo 1864, p. 165 n. 50.
24 altro punto fermo, nella ricostruzione di questo antico percorso, potrebbe essere costituito dal rinvenimento che si sarebbe verificato nel 1969 durante i lavori, in Torrenova per la costruzione di un ponte sul Torrente Platanà che scorre ad est di San Marco. Su ambedue le sponde le sponde, il che ci sembra un dato abbastanza significativo, a circa due metri di profondità, sarebbero venute in luce delle strutture murarie composte da grossi mattoni «posti uno sull’altro». I lavori ricoprirono tutto!
25 Anche per quanto esposto, a noi pare, che i resti del cosiddetto ponte romano ricordati dall’Holm, op. cit. vol. III 473, non siano da considerarsi di età romana, ma piuttosto di epoca rinascimentale, sia per il fatto che non possono essere riferiti, essendo posti molto più in alto, all’antico percorso, che in questo tratto doveva seguire la costa passando per Pietra di Roma, cosa del resto confermata dalla tradizione, che vede la località mantenere l’antica denominazione di fondaco, sia per la documentata analisi prodotta da G. Scibona, Il castello di Caronia, di Wolfgang Kronig, in Arch. Stor. Mess. Vol. 36°, 1978 434-436, e anche in base a quanto affermato dal ms. inedito citato alla nota 2 “Fu l’altro il ponte fatto sul fiume della Rosa Marina il quale oggi è impiedi et sta bene…”. Ancora, per quanto riguarda il ponte sul fiume Rosa Marina, vedi H. W. Smyth, Sicily and its blands, 1824, pp. 97-98, dove è anche scritto che in S. Agata è notevole la produzione di carbone dolce, e che vi è sul fiume Rosa Marina un massiccio ponte Romano che consiste in sette splenditi archi, di cui uno intiero. Infine, A. Dennis, Hanbook for travellers in Sicily, 271.
26 Siracusa, Museo Archeologico –inv. N. 21126 – altezza m. 0,103, provenienza: S. Agata di Militello. Si v..: P. Orsi, Piccoli bronzi e marmi inediti del Museo di Siracusa, in “Ausonia” VIII 1913, 57 fig. 5. I. Cafici, Sicilia Preistorica. Il problema delle origini, in “Paolo Orsi” Archivio Storico per la Calabria e Lucania 1935 84 s. Tav. VII n. 11; B. Pace, op. cit. vol. II 156, fig. 146. V. La Rosa, Bronzetti indigini di Sicilia, Catania 1968, 20-21 tav. VIII n. 11.
27 L. Bernabò-Brea, Che cosa conosciamo dei centri indigeni della Sicilia che hanno coniato monete prima dell’epoca di Timoleonte in Annali Istituto Italiano di Numismatica Suppl. al vol. 20, p. 14 Cfr. Archivio Soprintendenza Archeologica di Siracusa, Relazione in data 30-08-1955, dell’Ispettorato Onorario Ing. Domenico Ryolo.
28 Questa notizia mi è stata cortesemente fornita dalla contessa Maria Pia Lo Bue di Lemos, che vivamente ringrazio, la quale mi ha anche consegnato una scatola di frammenti ceramici e la lucerna. Questi materiali, come del resto tutti gli altri materiali recuperati dallo scrivente, sono stati concentrati nel deposito esistente nella zona archeologica di Alesa (Tusa, S. Maria delle Palate).
29 Le notizie riguardanti questo rinvenimento, mi sono state date dalla signora Maria Lipari Faraci, proprietaria del fondo.
30 Lo scavo effettuato dalla Soprintendenza Archeologica di Siracusa è stato condotto dall’assistente Tindaro Sidoti, il 21 e il 22 luglio 1979. Fra i materiali recuperati, si è anche rinvenuta della ceramica sigillata del tipo D, del II sec. d.C..
31 Queste strutture si sono rivelate delle fornaci di epoca moderna probabilmente del secolo scorso. L’attività della lavorazione dell’argilla, che a S. Agata sembra accertata dall’epoca antica fino ai nostri giorni, anche per la presenza di buoni giacimenti (cfr. Robillard, op. cit. 28-29), sembra essere stata una delle poche attività di tipo industriale di questo territorio, unitamente alla lavorazione del carbone dolce dovuto allo sfruttamento delle notevoli risorse boschive, delle quali si ha ancora riscontro nel 1700, come affermato dal Gaetani. “E adorno viene di un folto bosco tutto di quercie, di olmo, e di ogni altra forte di alberi felvatici, che apreffo quello di Caronia è da ruputarfi de i migliori di questo regno”. F.M.E. Gaetani, Della Sicilia Nobile, vol. II, Palermo 1757, p. 439. Risorse boschive che trovano un ulteriore conferma nell’apertura, nel 1836, di una trazzera denominata “Guerra”, dal nome di una ditta napoletana. Questa strada giungendo dalla spiaggia fino ai boschi consentiva il trasporto del legname del carbone via mare. Cfr. G. Zappalà, Sviluppo demografico e costituzione del Comune di S. Agata Militello. (manoscritto senza data). Anche la lavorazione del legname è attestata in S. Agata. “C’è una torre detta di S. Agata alla quale vi è un artificio d’acqua, che s’adopera a segar legnami”. C. Camilliani, Descrizione delle Marine del Regno di Sicilia 1584 manoscritto. Sta in B.S.L.D.S. vol. 26, ristampa Bologna 1974.
32 D/Busto di Faustina Junior volto a D. R/Aeternitas di profilo, guarda a sinistra e regge una torcia. Cfr. H. Cohen. Monnaies sous l’Empire Romain, Paris 1883, vol. III 135-136 n. 1. Il perioda di circolazione di questo denarino, che è stato rinvenuto all’altezza del primo binario dopo il dormitorio e a circa tre metri di profondità, risale al 150 circa d.C.. di una seconda moneta in bronzo rinvenuto nello scavo, non siamo in grado di dare, né lettura, né una datazione.
33 Chi scrive, è stato, dal 1971 fino ai primi anni 80, Ispettore Onorario della Soprintendenza Archeologica di Siracusa per la Provincia di Messina.
34 L’indagine di superficie ha permesso l’individuazione di alcuni resti di un abitato sotto la zona denominata Ciappa di Priolo, precisamente nel pianoro di Purrazzi.
35 Deposito di Alesa. Restauto di L. Ferrara, funzionario di zona della Soprintendenza.
36 Archivio della Soprintendenza Archeologica di Siracusa, relazione di G. Scibona in data 26-06-1977. Quasi tutte le ricerche su S. Agata sono state condotte in collaborazione con l’amico Giacomo Scibona.
37I lavori sono stati eseguiti il 7 giugno 1980.
38 La tradizione orale riferisce che fra glia nni 1930-40 in contrada Piana, nella proprietà del principe di Trabia, sarebbero venute in luce delle strutture murarie. Non ci è stato possibile effettuare un sopralluogo in questa zona. Ma vi è da dire, che non solo alcuni scrittori di storia locale, ma anche noti storici e viaggiatori del secolo scorso, raccontano di una città sita alla foce destra del fiume inganno, in territorio di Acquedolci, ed alla quale sarebbero da riferire le strutture rinvenute. Infatti, Francesco Mondello in un manoscritto del 1725 (Aluntiade) che si conservava nella biblioteca dell’ex convento dei frati Minori di S. Fratello, collocava Alunthium sul monte Vecchio, e poneva Apollonia nella località Buffone anticamente detta Pamplona, alla foce dell’Inganno.
Il Roselli in altro manoscritto del sec. XVIII scrive: “Al di là poi dello scaro oggi detto Buffone nella stessa marina dell’Acquedolci verso le foci del fiume Inganno, vi sono altri monumenti dell’antichità, e spicialmenti mattoni, antiche…rovine di fabbriche, cementi e fosse bastanti a far congetturare d’esservi stata altra città. Alcuni credono che sia stata la città di Apollonia, poiché la contrada adesso chiamasi la Pamplona”. Benedetto Rosselli, Relazione storica e topografica dell’antica città di Alunzio che si presenta A. S. E. S. Duca di Serradifalco dal Prosecreto di S. Fratello D. Benedetto Roselli manoscritto senza data, ma 1840 circa. Non è chiaro se l’autore sia Roselli. Questo manoscritto si conserva nella Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 2q-II-148 n. 19. Infine A. Dennis: Handbook, op. cit. p. 270-271, afferma “in primo luogo della città non ancora determinata presso Acquedolci”, cfr. Holm, op. cit. III p. 473.
39 In contrada San Polito nel settembre del 1982 nel terreno preparata per l’impianto di un vignato sono affiorati in superficie resti ceramici forse attribuibili al periodo tardo romano-bizantino. Anche in contrada Contura si è rinvenuta ceramica bizantina. Si racconta che nei pressi della torre (?) siano state trovate delle monete di piombo (?), mentre in contrada Robinia sita in prossimità di Vallebruca la notevole quantità di tegolame, mattoni e ceramica fa, intuire la probabile presenza di qualche fattoria di epoca tarda.
40 Si risparmia il lettore della amplissima bibliografia esistente su queste tematiche. Si rinvia comunque, come bibliografia generale alla piena trattazione di S. Moscati-M. Napoli, Civiltà sul Mediterraneo, 1971, p. 41, e alle suggestioni in sede locale avanzate da O. Bruno, Alunzio l leggenda delle origini, in Arch. Stor. Sic. Ser III vol. XIV, Palermo 1968, pp 81-158.
41L. Bernabò-Brea, La Sicilia prima dei Greci, Milano 1958, p. 137, Carta VII n. 41.
42 Per le connessioni fra la fine dell’insediamento di Monte Scurzi e il sorgere nella zona di nuove poleis, cfr. F. Bianco, Ricerche Archeologiche nel territorio dei Nebrodi, «Bollettino Rotary Club di S. Agata Militello», giugno 1983
43 Archivio Soprintendenza Siracusa, 1955, 24 settembre, N°Prot. 3409. Ringrazio la dott. P. Pelegatti e il dott. G. Voza, succedutisi nella direzione della Soprintendenza di Siracusa per avermi fatto consultare i materiali d’archivio.
44 L. Bernabò-Brea, I centri…, cit. p. 14. Cf. Archivio Soprintendenza Archeologica di Siracusa. Relazione in data 30-08-1955, dell’Ispettorato Onorario Ing. Domenico Ryolo.
45 Carta Corografica delle strade comunali obbligatori d’Italia. Compartimento Sicilia. Situazione al 1 gennaio 1874. E’ presumibile che questa via, in epoca greca, servisse per il trasporto dei prodotti che gli indigeni di Scurzi, ma anche di altri insediamenti, scambiavano con le genti eoliani. Forse sarebbe lecito ipotizzare un punto d’approdo dislocato alla foce del Rosmarino probabilmente in territorio di S. Agata, approdo che doveva avere la funzione di emporio commerciale. Per completare il quadro sulla viabilità della zona cfr. B. Pace, cit., vol. I p. 482, il quale afferma che “un’altra trasversale va immaginata da Cesarò-Monte Sori-S. Fratello a S. Agata”. Per concludere, ricordiamo soltanto la fantasiosa ipotesi del Massocco, secondo cui uno dei vertici della Triskelis “rete viabile fondamentale dall’isola tracciata nella direzione degli omerici venti”, era posto in Agatirno- S. Agata Militello, Massocco, art. cit., 11.
46 Tracce d’insediamento, che dai resti ceramici possiamo datare fra la media e la tarda età del bronzo, «sembrerebbe questo sito il più antico per quanto riguarda S. Agata», sono riconoscibili in contrada Lia, non lungi da Monte Scurzi. Lo sfruttamento di una cava, ne ha sensibilmente ridotto l’estensione, che comunque, per quanto oggi è visibile all’indagine di superficie (ricognizione del 22 settembre 1979), appare più consistente nella zona soprastante la cava e gli immediati dintorni. Frammisti alla ceramica preistorica, a residui di lavorazione di ossidiana e a resti di macine, si rinviene, senza una precisa stratigrafia, anche ceramica di età classica, età in cui alcune di queste aree, dovevano ospitare piccoli insediamenti rurali. Devo la datazione dei materiali rinvenuti a Lia e Giacomo Scibona.
47 Cresta del Pollicino “oggi Bicucca” è la roccia soprastante il Rosmarino, lato Torrenova. Sulla sua sommità si sono rinvenuti cocci di ceramica preistorica simili a quelli di Monte Scurzi, ed anche alcune lamette di ossidiana.
48 In questa contrada, oltre a ceramica di epoca bizantina, sono stati rinvenuti (maggio 1975) frammenti di ceramiche ad impasto preistorico, lamette di ossidiana e un disco fittile.
49 Itinerarium Antonini, 92, 5.
50 Bernabò-Brea, Centri, art. cit. p. 13. L’autore opta per la località di San Pietro di Deca. Ma a noi sembra più verosimile che una mansio potesse essere l’insediamento di Pietra di Roma, per il fatto che esso è posto lungo il probabile percorso della via Consolare. C. Filangeri si è occupato dei problemi connessi a Pietra di Roma in un contributo ancora inedito.
51 G. Scibona Nota a I. G. XIV, 2395.7, in Kokalos XVII, 1971, p. 24 n. 12.
52°. Salinas, art. cit. p. 473 “pertanto finché altri monumenti non verranno alla luce, non si potrà determinare se in questo posto sorgesse, nel periodo romano, un vero e proprio abitato, o solo uno scalo marittimo dipendente dalle città soprastanti”.
53 A, Holm, cit. vol. II 236.
54 Diod. XIV 6,2 cit. O. Gaetani, Vitae S.S. Siculorum, vol. I, p. 104, il quale indica una Alesa situata a mezzo di Tauromenio.
55 Diod., XIV 16, 1-4.
56 E. Pais, Sulla storia e sull’amministrazione della Sicilia durante il dominio romano, Arch. Stor. Sicil. Anno XIII serie I 1880 p. 213 n. 3 “Dopo abbiamo le piccole pertiche di Calacte e Apollonia. Solo dopo queste città, vi era un vasto territorio ove erano Agathyrna, che non pare abbia avuto rem publicam e Tyndaris, dopo la quale comincia la pianura di Mylae. Trattandosi di una città marittima quale Halaesa e romani poterono forse accordarle, o in tutto, o in parte il territorio di qualche città punita ed ivi situata, come Agathirna o come Abacaenum. Il Pais ipotizza (p. 210) che un’altra Halaesa, oppure dei territori posseduti dagli Alesini, si trovassero in prossimità di Mylae.
57 1 gennaio 1957. Cfr C. Zappalà ms cit. foglio 7.
58 Carte comparée de la Sicile avec la Sicile au XII siecle. D’apres Edrisi et d’autres geographes arab, Paris 1859.
59 M. Amari, Biblioteca Arabo Sicula, Torino e Roma 1880 (vol. I, cap. VII, p. 128 e nota 2). Per la collocazione di Alquamarah su Acquedolci. Cfr. G. Otto, Dizionario Toponomastico Siziliano Arabo-Normanno, Vienne 1977 (manoscritto).
60 L. B. Brea, I centri op. cit. p. 3.
61 T. Spannocchi, Descrition de las marinas se todo el reino de la Sicilia, dedicato nel 1596 a Filippo II, Manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Madrid. WS 788. PXLVIII 78v (Torre di Sta gata lontana dal trappeto tre miglia). Più recentemente S. Boscarino, Progetto di restauro e di riutilizzo a sede comunale di S. Agata di Militello. Gennaio 1982, pp. 12 e seg. (inedito).