La battaglia di Brolo, 11 Agosto 1943
traduzioni e adattamento a cura di Nino Ravì.
Fresco da una tesa conversazione telefonica con il Gen. Truscott, il Gen. Patton salì su una jeep e si diresse ad est di Torrenova verso la 3ª divisione di fanteria.
Era già scesa la sera su quel dieci agosto 1943 e il generale con le pistole dall’impugnatura d’avorio sui fianchi, voleva agire.
Nonostante le perplessità dei suoi subordinati, voleva che l’operazione anfibia fosse programmata, come previsto, per quella notte.
“Maledizione Lucian“, urlò Patton, “Che ti prende? Hai paura di combattere?“. Truscott rispose a tono alla provocazione del suo capo, “Hai ordinato l’operazione e la stiamo portando avanti. Se non credi che io possa eseguire gli ordini, puoi dare il comando della divisione a chiunque tu voglia“.
Il problema, sottolineò Truscott, consisteva nel coordinare l’avanzata della fanteria con le altre forze di sbarco per evitare che la riorganizzazione delle difese tedesche li respingessero in mare.
Ma Patton restava risoluto nelle sue convinzioni. Ad un mese dall’inizio dell’Operazione Husky, la campagna degli Alleati per l’invasione della Sicilia, Patton stava spingendo al limite la sua settima armata nel tentativo di chiudere la via di fuga dell’Asse verso Messina.
Mentre a nord-ovest dell’Etna la 9ª Divisione americana contrastava la 15ª Divisione Panzergrenadier, a sud la 3a Divisione di Truscott respingeva la 29ª Divisione Panzergrenadier verso est, dalle colline lungo la litoranea costiera 113 e il Mar Tirreno.
A sud dell’Etna, intanto, l’8ª armata Inglese del Gen. Montgomery si stava dirigendo verso Messina, lungo la costa sudorientale disseminata di mine.
Patton desiderava catturare prigionieri e acquisire gli equipaggiamenti tedeschi ma allo stesso tempo voleva guadagnare riconoscimenti per il suo giovane esercito precedendo Montgomery nella “corsa” per Messina.
Le legioni dell’Asse del feldmaresciallo Albert Kesselring (anche se dall’inizio di agosto erano perlopiù tedeschi sotto il comando del Gen. Hans Hube) opponevano una strenua resistenza e, a malincuore, erano stati costretti, sulla formidabile Etna Line, a ritirarsi e riposizionarsi intorno a San Fratello.
Con l’aiuto logistico della Task Force 88 dell’ammiraglio Lyal A. Davidson, il 2° Battaglione del Ten. Col. Lyle Bernard (30° Fanteria), aveva scavalcato via mare il 7 e l’8 agosto, con un’incursione da far rizzare i capelli, proprio queste nuove posizioni della 29ª divisione Panzergrenadier tedesca, guadagnando ben 20 Km.
Confidando in un altro e forse migliore esito, Patton ordinò una nuova operazione anfibia per la notte tra il 9 e il 10 agosto.
Pianificò di superare le nuove posizioni difensive tedesche lungo le alture di Naso, sulla linea Capo d’Orlando – Randazzo, al fine di portare i soldati americani appena ad ovest della città di Brolo e, con un po di fortuna, la 3ª divisione di Truscott avrebbe magari fatto qualche prigioniero.
Ma dopo un primo rinvio dovuto al danneggiamento di una nave da sbarco (LST), Patton non era più dell’umore giusto per ascoltare le richieste dell’ultimo minuto sia di Truscott che del comandante del 2° corpo d’armata degli Stati Uniti – Gen. Omar Bradley – che avrebbero ritardato ulteriormente le operazioni.
Ancora una volta il grosso del lavoro toccò al 2° Battaglione (30° Fanteria), il gruppo di uomini che più di tutti rifletteva lo spirito del suo comandante.
Lyle W. Bernard aveva 33 anni, nativo dell’Idaho, era molto magro e sfoggiava un paio di baffi sul suo viso allungato.
Aveva l’aspetto di un professore universitario più che quello tipico di un comandante di fanteria (ebbe una carriera nell’insegnamento della matematica nel dopoguerra).
Con la sua immancabile pipa, più masticata che fumata, si riferiva a se stesso come “the old goat” (la vecchia capra), in realtà dalle file dell’esercito era riuscito ad entrare a West Point e per i nemici era sempre stato un “cliente” intelligente, tenace e forte.
Era al comando di circa 650 uomini, il suo “provato” 2° battaglione era sostenuto da cinque carri armati medi del “756° battaglione di carri armati”, otto cannoni semoventi della “58° Artiglieria da Campo Corazzata”, i genieri del “10° Engineer Combat Battalion” e del “540° Amphibious Engineer Regiment”.
Li seguiva da vicino una squadra impressionante di giornalisti, guidati dai veterani “reporter da campo”: Don Whitehead dell’Associated Press, Jack Belden di Time and Life e Homer Bigart del New York Herald Tribune. Tutti lo ascoltarono mentre parlava dal ponte della nave alle truppe d’assalto prima dello sbarco.
“Non volevo fare questa operazione“, disse, “Non penso di avere abbastanza uomini, carri armati e tempo. Io, come voi, sono stanco“. “Quello che mi rassicura“, aggiunse, “è la presenza di tre cacciatorpediniere e dell’incrociatore Philadelphia a protezione della costa“. “Se prendiamo quel “bastardo” questa volta, saremo a Messina entro una settimana“.
L’obiettivo di Bernard era il Monte Cipolla, un’altura costituita da due colline che si estendeva per 500 metri dal Mar Tirreno, dal quale si dominava la strada costiera che conduceva al villaggio di Brolo, appena ad est.
Era tenuto da forze della 29ª Divisione Panzergrenadier del Gen. Fritz Polack affiancate da porzioni del 71° Reggimento Panzergrenadier che controllavano anche Brolo.
Per conquistarlo avrebbe realizzato una “testa di ponte” tra i bacini dei fiumi Brolo e Naso che fiancheggiavano l’altura. In seguito, dopo aver attraversato la statale 113, lo avrebbe occupato con due compagnie.
Si aspettava contrattacchi veloci e pesanti ma contava sull’assistenza del 7° e 15° reggimento di fanteria, sostenuti dai due battaglioni rimanenti del 30° Fanteria, che avrebbero combattuto rapidamente e superato la 29ª Divisione Panzergrenadier del generale Walter Fries (il 71° e il 15° reggimento Panzergrenadier) per arrivare fino alle aspre alture di Naso.
Sotto un cielo stellato e i rassicuranti cannoni del Philadelphia e delle sei cacciatorpediniere, la Task Force di Bernard fu trasbordata sulla spiaggia tra le 2:43 e le 3:30 del mattino dell’11 agosto.
Rallentata dal solo filo spinato, la compagnia “E” si posizionò ai fianchi del sito di sbarco, tra il ponte sul fiume Brolo ad est e quello sul fiume Naso a ovest.
Mentre i genieri si davano da fare per posizionare le barriere di protezione e l’artiglieria da campo, le compagnie “F” e “G”, rafforzate da mitragliatrici pesanti e dai mortai da 81 mm della compagnia “H” trasportati dal battaglione di Bernard, si lanciarono nell’entroterra.
Nella quiete e nell’oscurità che precede l’alba, la lunga fila superò il massiccio argine ferroviario, attraversò un esteso limoneto e si posizionò sopra un alto muro di pietra, pronta per attraversare la 113.
Le truppe restarono abbassate per lasciar passare un ignaro motociclista ma subito dopo sentirono un minaccioso cigolio metallico provenire dalla strada.
“Ci siamo ributtati dietro il muro di pietra“, ricorda il giornalista Bigart, “aspettando per un tempo che sembrò un’eternità. Il rumore si fece sempre più forte e alla fine si materializzò un semicingolato tedesco“.
Il veicolo pesante rallentò, gli americani innervositi fecero saltare in aria il suo autista con il fuoco di un fucile.
Quando pochi istanti dopo un ufficiale tedesco si fermò per capire cosa fosse successo, un soldato distrusse la sua auto con un colpo di bazooka.
“A quest’ora“, annotò Bigart, “i tedeschi a Brolo saranno completamente svegli.” I tedeschi appostati intorno a Brolo, sorpresi, iniziarono a sparare razzi luminosi e aprirono il fuoco sugli uomini di Bernard mentre si arrampicavano sul Monte Cipolla, un’altura pericolosamente ripida, dura come un mattone, sormontata da cespugli e disseminata di uomini del colonnello Polack.
Per i soldati tedeschi la quiete era finita e gli Americani, che nel frattempo avevano raggiunto le pendici, li misero in fuga, uccidendone diversi con il fuoco delle armi leggere, e alla fine, fuori dai giochi, batterono in ritirata dalla collina verso Brolo.
Gli uomini di Bernard, utilizzando anche i calci dei loro fucili come pale, iniziarono a scavare trincee e ad installare postazioni di mortaio, la Compagnia “F” si posizionò sulla prima collina e la “G” leggermente dietro e alla sua sinistra.
Qualcuno assegnò questo lavoro ad un gruppo di soldati tedeschi – trovati a fare il bagno in un fosso – che erano rimasti sorpresi dall’improvvisa battaglia.
Quando intorno alle 5:38, i cannoni del Philadelphia – occultato al nemico da una cortina fumogena – iniziarono a fornire fuoco di supporto, Monte Cipolla era al sicuro.
Preso alla sprovvista dallo sbarco americano, il Gen. Fries ordinò a Polack di organizzare un attacco contro la fragile “testa di ponte” di Bernard, che copriva un po più di 500 metri della spiaggia sottostante, e nello stesso tempo chiese che gli fossero mandati aiuti da ovest.
Si rivelarono essere a suo vantaggio le asperità del terreno di battaglia, che con i suoi profondi canali e gli alti muri di terrazzamento in pietra, avevano arrestato l’avanzata e di fatto immobilizzato, rendendoli inutili, tutti e cinque i carri armati M4 Sherman degli americani.
Nemmeno i cannoni semoventi da 105 mm di Bernard ebbero miglior fortuna a manovrare nell’area terrazzata sotto la statale, ed io loro equipaggi restarono bloccati nel limoneto sottostante.
Mentre il sole cresceva in un cielo senza nuvole sopra la roccaforte di Bernard in cima alla collina, gruppi di esploratori (Scout) tedeschi scesero dalla strada di Ficarra a ovest e dal letto polveroso del fiume Brolo a sud-est, avvistati dalla compagnia “G” furono annientati dal loro fuoco.
Poco dopo ad ovest, lungo il letto polveroso del fiume Naso, fu avvistata una compagnia del 15° Reggimento Panzergrenadier, gli uomini di Bernard li accolsero a colpi di mitragliatrice e di mortaio.
I tedeschi furono costretti ad una ritirata che costò comunque loro la perdita di circa 30 uomini. Verso le 9 del mattino, una colonna di camion che trasportava la 71a Panzergrenadier, scese rumorosamente lungo la statale 113 proveniente da Capo d’Orlando.
Dal ponte del Philadelphia, quella processione assomigliava ad una incerta fila di “anatre” in una enorme galleria di tiro a segno.
Contemporaneamente all’artiglieria di Bernard, posizionata sulla spiaggia, i cannoni da sei pollici dell’incrociatore aprirono il fuoco sul convoglio che fu spazzato via dalla strada tortuosa e i pochi superstiti cercarono di salvarsi gettandosi in mare.
In tarda mattinata, tuttavia, Bernard iniziò a preoccuparsi. Avrebbe avuto copertura aerea solo fino a mezzogiorno e il Philadelphia e la sua scorta di cacciatorpediniere erano già in rotta verso Palermo in cerca di acque più sicure.
I tedeschi falcidiarono i muli che trasportavano le munizioni alle postazioni americane sulla collina, tagliando di fatto la linea dei rifornimenti dai loro veicoli anfibi, costringendoli così a risparmiare sui colpi di mortaio.
L’erba su Monte Cipolla prese fuoco a causa delle schegge provenienti dalle esplosioni, i cavi telefonici bruciarono e le indispensabili e vitali comunicazioni diventarono precarie.
Come se non bastasse la situazione peggiorò ulteriormente dopo che il Col. Walter Krueger schierò le truppe della 71a Panzergrenadier lungo la costa per contrastare la fanteria di Truscott che avanzava.
Poco dopo le 11, arrivarono a sostegno di Polack anche due compagnie di fanteria motorizzate sostenute da una mezza dozzina di carri armati che inviò a schierarsi su Brolo.
Dal suo solitario quartier generale tra gli uliveti in cima a Monte Cipolla, Bernard osservò le “chele” dell’Asse richiudersi sulle sue postazioni.
Per richiedere aiuto, Bernard poteva appellarsi solo a Truscott, che con ansia stava monitorando gli sviluppi dal suo posto di comando.
Dalle 11:40, Bernard inizio a chiedere supporto aereo e navale oltre a quello dell’artiglieria. Truscott intanto puntò i Long Tom da 155mm della sua artiglieria su Brolo ed inoltrò a Patton le richieste di Bernard.
Riferendo dell’avanzata di Polack, intorno alle 12:30, Bernard trasmetteva: “Devo avere tutto!“. Man mano che il tempo passava e gli aiuti richiesti non si materializzavano, i suoi appelli alla radio diventarono sempre più disperati.
Alle 13:05 Bernard riferisce: “La situazione è critica” e poco dopo, alle 13:40, ribadisce: “Il nemico contrattacca ferocemente. Fate qualcosa!“.
Alle 14:04 a dare un po di aiuto ci pensarono i cannoni del Philadelphia che era appena rientrato. Mentre i proiettili sparati dall’incrociatore si infrangevano sulla costa, arrivarono anche una dozzina di caccia-bombardieri A-36 a dare manforte con bombardamenti su Brolo.
Un secondo gruppo li seguì mezz’ora dopo. Purtroppo gli effetti di questo blitz “aria-mare” svanirono rapidamente.
L’ammiraglio Lyal Davidson, tradito da una temporanea perdita dei contatti radio e convinto che gli americani avessero nuovamente in pugno la situazione, ordinò al Philadelphia di allontanarsi nuovamente dalla costa.
L’improvviso vantaggio fu immediatamente sfruttato da Krueger che scatenò la sua artiglieria sulla fragile “testa di ponte” di Bernard, riuscendo a sfondare, con tre carri armati, il lato attestato a fianco del fiume Brolo. Portandosi rapidamente sui semoventi della batteria “B”, i carri armati di Polack ne distrussero due.
Un terzo equipaggio americano si lanciò in un duello con un carro armato tedesco, ma nello scontro successivo entrambi i veicoli andarono in fiamme.
Intanto la batteria “A” riuscì a colpire un secondo carro armato e ne respinse un terzo che rientrò in città, purtroppo dopo poco tempo tornò per far saltare quello che rimaneva dei semoventi della batteria “B”.
Osservando gli scontri sulla costa da Monte Cipolla coperto dal fumo, Bernard non appariva molto preoccupato. Don Whitehead scrisse in seguito che: “soffiava nella sua pipa spenta come se, ad un picnic della domenica pomeriggio, si stesse godendo le buffonate di un gruppo giocoso di bambini“.
Per rafforzare i fianchi della “testa di ponte”, Bernard mandò la compagnia “F” giù dalla collina al ponte sul fiume Brolo, per soccorrere i fucilieri assediati della compagnia “E”, i quali a loro volta si diressero ad ovest per raggiungere i loro compagni al ponte sul fiume Naso.
Poi all’improvviso la tragedia. Poco dopo le 16 erano giunti in aiuto a Bernard sei A-36 dell’aviazione, che sganciarono, erroneamente, tutto il loro carico di bombe sulle postazioni americane, uccidendo diciannove uomini e distruggendo tutti e quattro i cannoni da 105 mm della batteria “A”.
Molti piloti dichiararono in seguito che avevano difficoltà nel distinguere il colore giallo del fumo dei razzi di segnalazione dal fumo e dalla polvere che si alzavano dal terreno a causa delle bombe.
Purtroppo le vittime da “fuoco amico” saranno una tragica costante nella campagna d’Italia.
A Bernard non restava che valutare le poche opzioni disponibili e decise di consolidare la sua posizione sulle alture del Monte Cipolla, riunendo intorno a se tutte le unità superstiti.
“E’ molto probabile che questo sia il nostro ultimo aiuto al comandante Bernard“, disse un ufficiale, “Ci stringeremo in un cerchio sulla collina e la difenderemo a tutti i costi con i fucili“.
Finalmente, richiamato in campo dagli appelli di Bernard, intorno alle 16:31, il Philadelphia apparve sulla costa ed inizio a colpire obiettivi tedeschi sia su Brolo che sulla statale 113.
Dovette fronteggiare con i cannoni anche un primo attacco aereo tedesco, condotto da otto “Focke Wulf” FW-190, arrivati sull’incrociatore all’improvviso.
Altri FW-190 tornarono a colpire la flotta americana alle 17:35 ma furono respinti dal fuoco contemporaneo dell’incrociatore e della fanteria.
Alla fine furono abbattuti ben sette veivoli tedeschi ed il bilancio sarebbe stato ancora più favorevole alla marina degli Stati Uniti se il sistema radar “IFF” della nave – che consentiva di discriminare gli amici dai nemici – non avesse avuto un guasto.
Un altro capriccio della sfortuna, aveva rimesso in gioco il destino di Bernard e delle sue truppe.
Un ufficiale dei pompieri che si trovava a terra, doveva ispezionare il Philadelphia, nel tentativo di ripristinare i sistemi di comunicazione guasti.
Quando salpò con il suo mezzo anfibio verso la nave, altri quattro veicoli anfibi si accodarono.
Su questi mezzi c’erano le scorte di munizioni destinate a Bernard che così andarono perse. Alle 17:35 la sua situazione era tragica: “Dobbiamo avere la marina e l’aviazione su 702504 (coordinate) immediatamente o siamo persi!“, così l’aiutante di Bernard comunicò per radio a Truscott.
La mancanza della necessaria copertura aerea non consentiva più al Philadelphia di restare in zona e alle 18:25 si allontanò definitivamente dalla costa.
L’oscurità e la nebbia scesero su Monte Cipolla, mentre le compagnie “E” ed “F” si affrettavano a ritirarsi sulla sommità della collina.
L’operazione fu resa difficile dal terreno scuro e dal fuoco tedesco. Riuscirono comunque ad accamparsi nelle tende in prossimità della cima del monte.
Questi uomini riuscirono in questo modo ad ampliare il risicato dominio del territorio conquistato fino a quel momento da Bernard.
Difesero questa nuova postazione a colpi di mitragliatrice e granate. I bagliori dei traccianti tagliavano l’oscurità del paesaggio come lucciole in volo ordinatamente in fila. Jack Belden testimoniò che le pallottole nemiche rimbalzavano “contro il terreno duro e turbinavano per la collina, brulicante di figure che correvano, imprecavano e cadevano“. Gli scontri cessarono.
Nel silenzio gli uomini di Bernard sentivano i tedeschi scendere verso lo stradale sottostante; le voci e i passi del nemico risuonavano nelle colline circostanti.
Alle prime luci dell’alba, Bernard oramai pronto a tutto, disse ai suoi uomini che si dovevano preparare ad uscire dalle trincee e cercare di raggiungere le posizioni di Truscott.
All’ultimo momento, la fortuna sorrise finalmente a Bernard. Il giorno prima, il Gen. Hube aveva attuato il piano di evacuazione tedesca dalla Sicilia.
La 15ª Divisione Panzergrenadier di Fries aveva ricevuto l’ordine di ritirarsi immediatamente verso est. Aggirando la forza di opposizione americana, le truppe furono caricate sui camion e si diressero verso Messina lungo la statale 113, il cui fondo stradale fu devastato e i ponti furono fatti saltare.
La 3ª divisione di Truscott nel frattempo era arrivata sulla costa nelle postazioni di Bernard proveniente dalle alture di Naso.
Alle 13:30 del 12 agosto, il 1° battaglione, le truppe del 30° fanteria si ricongiunsero con il 2° battaglione. “Grazie a Dio,” disse il sergente Jack Dailey, “noi siamo riusciti a scendere dalla collina. Ma molti ragazzi sono rimasti lassù“.
Dei 650 uomini di Bernard, 177 rimasero feriti ed almeno 40 furono i morti.
Quella mattina, salutando un Truscott finalmente risollevato, Bernard disse: “Generale, non sai quanto sono contento di vederti“.
Patton arrivò più tardi in mattinata, incedeva trionfante tra i corpi carbonizzati sparpagliati sul bagnasciuga della spiaggia, per il successo dell’operazione.
Alcuni dei giornalisti presenti non erano dell’umore giusto. “Tutto ad un tratto“, scrisse Whitehead, “questo “teatrino” mi ha disgustato“. Alla fine se le navi fossero sempre state disponibili a sostenerlo, e se la forza d’assalto fosse stata più consistente, Bernard avrebbe intrappolato gran parte della 29a divisione Panzergrenadier.
In effetti solo la sua grinta, la raffinata artiglieria del Philadelphia e l’ordine di evacuazione dalla Sicilia di Hube, avevano impedito l’esito scontato dell’annientamento della sua Task Force.
Quando Patton arrivò a Messina il 17 agosto, le chiatte avevano traghettato verso la terraferma italiana attraverso lo stretto, circa 40.000 soldati tedeschi e 10.000 veicoli.
Bibliografia:
- “An American amphibious operation during the Sicily campaign ran into trouble from the start.” di Eric Ether;
- “With utmost spirit – Allied naval operations in the Mediterranean, 1942-1945” di Barbara Brooks Tomblin;
- “History of the Third Infantry division – 75th Anniversary Edition”, Rock of the Marne;
- “Sicily and the Surrender of Italy”, World War II 50th Anniversary Commemorative Edition;
- “War department classifield message center, Incoming Message”, Agosto 1943;
- “The Seventh Army in Sicily”, Settembre 1943;
- “Amicicide: The problem of friendly fire in modern war”, di Lt. Col. Charles R. Shrader, Dicembre 1982.