La Sigillata Italica nei centri dei Nebrodi e la produzione siciliana di Cn. Domitius
di Francesco Collura
La “Terra Sigillata”, termine con il quale si definisce una classe ceramica che ebbe diversi luoghi di produzione nel Mediterraneo e principalmente o almeno inizialmente la Penisola italiana (“Sigillata Italica”) caratterizza tutti i contesti archeologici la cui cronologia è compresa tra la seconda metà del I secolo a.C. e la metà circa del II secolo d.C. Dopo una fase principale di massima diffusione tra la fine del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C., la sua produzione si avviò progressivamente verso il declino soprattutto a causa dell’introduzione di una nuova classe ceramica, la cosiddetta “Sigillata Africana” prodotta in nord Africa, che comparve in Sicilia negli ultimi decenni del I secolo dell’era cristiana e divenne la classe ceramica dominante per diversi secoli, probabilmente perché più economica. La Terra Sigillata a sua volta ebbe un importante predecessore in alcune classi ceramiche del tardo ellenismo caratterizzate da vernice rossa, in particolare la “Sigillata Orientale A” prodotta in area sirio-palestinese e le produzioni di area pergamena, presenti già nel II secolo a.C. Le innovazioni introdotte da queste ceramiche ellenistiche a vernice rossa, quali l’ottima qualità delle tinture e la presenza di decorazioni a rilievo, assieme a un cambiamento nei gusti dei consumatori relativamente al colore del vasellame e probabilmente anche nelle stesse abitudini gastronomiche che portarono a preferire nuove forme vascolari, influenzarono la nascita di alcuni ateliers in area etrusca, in particolare ad Arezzo, dove si localizzano le prime produzioni di Sigillata negli anni successivi alla metà del I secolo a.C.
La Sigillata Italica (detta anche “Aretina”) così chiamata per la presenza di bolli sul fondo del vaso, fu una classe vascolare di grande qualità, che costituì una grande innovazione in una fase in cui le produzioni a vernice nera erano divenute sempre più scadenti. La caratteristica principale è costituita dalla vernice di colore rosso brillante, coprente, di consistenza quasi vetrosa (glanztonfilm). Queste caratteristiche ottimali si riferiscono alle produzioni soprattutto aretine, di grande pregio; varianti si osservano frequentemente a seconda delle fabbriche che sorsero nel corso del I secolo d.C., per cui la vernice, tendenzialmente rosso corallo, può presentarsi di colore tendente all’arancio o al bruno, meno coprente e più diluita, più opaca. Le forme sono quasi esclusivamente aperte, comprendendo una nutrita serie di piatti con bordo variamente foggiato, coppe e coppette, ciotole, calici. Soprattutto nel corso del I secolo era questo il servizio da tavola, usato per mangiare e per bere, qualitativamente inferiore solo alla preziosa suppellettile in metallo o in vetro, di cui talvolta imitava la forma. Si producevano vasi “lisci”, ovvero privi di decorazioni che non fossero semplici appliques sotto il bordo (piccoli fiori, motivi vegetali, animali, figurine umane o mitologiche, ecc.), e vasi decorati, solitamente coppe di grandi dimensioni e calici. Le decorazioni in questo caso erano le più varie, ma il ricorrere di alcuni motivi consente di distinguere i principali produttori, tra i quali ricordiamo N. Naevius Hilarius, M. Perennius, Rasinius e Cn. Ateius.
La Sigillata iniziò a essere prodotta in alcune officine di Arezzo poco dopo la metà del I secolo a.C. Si distingue una fase “arcaica”, fino al 20 a.C. circa, dove le nuove tipologie vascolari, ancora di numero ridotto, rivelano legami con le ceramiche a vernice nera tardoellenistiche per quanto riguarda le forme; caratteristica di questa prima produzione è la presenza di bolli radiali, ovvero impressi in più esemplari lontano dal centro del vaso. La fase “classica”, quella in cui si assiste alla nascita di un gran numero di ateliers e al moltiplicarsi delle forme, è compresa tra il 20/15 a.C. e il 35/40 d.C. In questi anni nascono fabbriche di Sigillata in varie parti della Penisola diverse dall’Etruria, ad esempio nel Lazio, nella Valle del Po e in Campania, nonché in Gallia e successivamente in Spagna. Innumerevoli i timbri dei ceramisti, con sempre nuove attestazioni che richiedono un aggiornamento dei cataloghi, il più completo dei quali è il Corpus Vasorum Arretinorum, giunto all’edizione del 2000 (OCK), che comprende oltre 33000 bolli. Dopo il 40/50 d.C. inizia la fase tarda della Sigillata Italica, in cui si assiste progressivamente ad uno scadimento della qualità dei prodotti e a una riduzione delle forme, ormai del tutto standardizzate. Le ultime produzioni non superano la metà del II secolo d.C. La diffusa presenza di questo tipo di ceramica in tutti i contesti altoimperiali ha favorito da lungo tempo una nutrita serie di studi, con un progressivo affinamento delle conoscenze, per cui ormai sono molti i riferimenti circa i siti di produzione e gran parte delle officine attive, soprattutto per i siti italici, di area tedesca e della Francia. La situazione è invece completamente diversa per ciò che riguarda la Sicilia, sebbene negli ultimi anni si stia tentando quantomeno di fare il punto della situazione in un panorama tuttavia estremamente scarso di dati editi.
La Sigillata, infatti, non è stata per lungo tempo tra le classi ceramiche che in Sicilia hanno meritato studi specifici. Nell’isola si sono tradizionalmente privilegiati, nel quadro delle attestazioni di cultura materiale, i manufatti ceramici di epoca greca dall’arcaismo all’alto ellenismo. Nei report degli scavi eseguiti con metodo scientifico in siti che ebbero continuità di vita da epoca greca a età romana imperiale, frequentemente non si fa cenno o ci si limita a pochi riferimenti per ciò che riguarda i materiali tardoellenistici e successivi. Peraltro, considerando tutte le indagini di scavo svolte in Sicilia nell’ultimo secolo, solo in pochi casi è stata data un’esaudiente edizione dei materiali ellenistico-romani rinvenuti (ad esempio a Morgantina, Monte Iato, Lipari).
Un primo tentativo di fare il quadro della situazione relativamente alle attestazioni di Sigillata in Sicilia è contenuto in un articolo di P. Pelagatti della fine degli anni ’60 del secolo scorso.1 Nel 1988 A. Mandruzzato cerca di riepilogare, dopo un lungo lavoro di ricerca bibliografica e presso i vari musei, tutti i rinvenimenti di Sigillata conosciuti, proponendo alcuni spunti di studio e ipotizzando anche una produzione siciliana di questo tipo di ceramica.2 Nel 2000 A. Polito pubblica un nuovo quadro aggiornato delle attestazioni3 e infine, nel 2004, D. Malfitana propone un elenco di tutti i bolli di vasai noti in Sicilia (editi e inediti).4 Nonostante questi tentativi di considerare il “fenomeno” Sigillata nel modo più sistematico possibile e di trarre conclusioni apprezzabili, è comunque evidente l’estrema frammentarietà dei dati, che non consente ancora oggi di trattare in maniera adeguata di tempi, modi ed entità della diffusione e distribuzione della Terra Sigillata nell’isola.
Se ad esempio esaminiamo la mappa dei bolli noti in Sicilia proposta da Malfitana, elaborata alla fine degli anni ’90, risultano subito evidenti una serie di incongruenze che, nonostante l’encomiabile sforzo dello studioso, rendono l’analisi poco attendibile già in partenza. Il sito che presenta più attestazioni non è identificabile con una delle principali città siciliane dell’alto Impero, ovvero Siracusa, Agrigento, Palermo o Taormina: è Ietas (Monte Iato) una cittadina dell’entroterra palermitano che ha avuto la fortuna di essere stata non solo indagata sistematicamente, ma di essere stata soprattutto pubblicata in tutti i suoi aspetti, compresi i rinvenimenti di materiali ceramici. A Monte Iato sono infatti attestati ben 259 bolli a fronte di 126 a Siracusa, il principale centro della Sicilia altoimperiale, e soprattutto di soli 35 a Catania, 14 ad Agrigento, 7 a Palermo e 1 sia a Messina che a Taormina. E se a Palermo e Termini Imerese sono attestati rispettivamente solo 7 e 12 esemplari, nella vicina e più piccola Solunto ne risultano 45. A Morgantina, dato molto significativo anche in considerazione della data di abbandono del sito, grazie ai decennali scavi della Missione Americana risultano attestati 70 bolli. Quasi del tutto sconosciute sono le presenze di Sigillata nell’entroterra, ad eccezione della citata Morgantina, di Troina (16), Centuripe (6) e Ramacca (5).
La mancata edizione dei ritrovamenti non solo di Sigillata, ma di tante altre classi di materiali recuperati nel corso di scavi nella gran parte dei siti archeologici siciliani rende praticamente sconosciuta non solo la cultura materiale, ma anche le dinamiche economiche e culturali dell’isola per un lungo arco di tempo, dal II secolo a.C. a tutta l’età romana imperiale, ovvero in una fase in cui più intensi furono gli scambi commerciali, nonché a più largo raggio. Rimanendo sull’argomento della Sigillata, colpisce il numero davvero esiguo di esemplari in centri che, in quel periodo storico, furono tra i più importanti e popolosi della Sicilia, come Messina, Taormina, Centuripe, Lilibeo (14), Tyndaris (6) e Halaesa (9). Pertanto, ogni tentativo di pervenire a conclusioni è estremamente azzardato, non è estendibile all’intera Sicilia e, tutto sommato, risulta povero di spunti significativi per comprendere il ruolo dell’isola nel più ampio contesto del Mediterraneo antico. D’altra parte, se non ci si limita ai riferimenti bibliografici ma si opera sul campo, anche semplicemente mediante ricognizioni di superficie in quelle che erano antiche aree urbane non ancora sottoposte a scavo sistematico, il quadro delle attestazioni di Sigillata risulta ben diverso da quello fin qui proposto. In siti quali Agrigento, Halaesa, Tyndaris, Calacte (Caronia) Siracusa, Megara Hyblaea e molti altri che ebbero fasi di vita contemporanee a quella di diffusione della ceramica di cui trattiamo, il numero di frammenti osservabili sul terreno, anche bollati o decorati, è talmente elevato da rendere gli studi, fin qui eseguiti quasi esclusivamente sulle edizioni, poco più che un indirizzo sommario e molto parziale. Peraltro, questa constatazione risulta avvalorata da quanto proposto in pubblicazioni successive anche al contributo di Malfitana del 2004, ad esempio per scavi o ricerche eseguite a Tyndaris, Calacte, Siracusa, Contessa Entellina, ecc. che hanno affrontato l’argomento delle ceramiche tardoellenistiche e romano imperiali.
In questa sede si intende proporre un aggiornamento delle attestazioni di Terra Sigillata relativamente all’area dei Monti Nebrodi, in cui ricadevano diversi centri a continuità di vita da età ellenistica almeno fino al I-II secolo a.C. In questo ambito geografico, se fino a qualche anno fa si conoscevano esemplari esclusivamente da Halaesa, Tyndaris e Troina, recenti pubblicazioni e ricerche effettuate da chi scrive propongono un notevole incremento delle attestazioni e nuovi siti inspiegabilmente ignorati in passato, quali ad esempio Calacte, Haluntium o Gangi, che hanno restituito numerosi esemplari di bolli e in genere di frammenti, talvolta anche decorati. Il quadro che se ne ricava per questa microregione dell’isola, che ebbe un ruolo strategico tra il tardo ellenismo e la prima età imperiale proprio per la sua posizione rivolta verso la Penisola, è quello di una serie di cittadine, soprattutto quelle costiere, in cui transitavano merci provenienti da ogni parte del Mediterraneo. Anche qui si diffuse dappertutto il raffinato vasellame italico (e non solo) a vernice rossa, presente non solo in città ma anche nei siti rurali, ovunque in quantità significativa. Il dato offerto non è trascurabile e anzi mira a stimolare nuove e più approfondite ricerche in altre parti dell’isola meno periferiche di questa, partendo dalla rivisitazione dei materiali da scavo rimasti per troppo tempo relegati nei depositi e mai pubblicati.
I dati che si possono trarre dalle attestazioni di Sigillata nei centri dei Nebrodi possono, d’altra parte, servire a comprendere il fenomeno su un’area più ampia, che è quella compresa tra la parte centro-orientale delle Madonie a ovest e la cupide nord-orientale dell’isola a est, comprendendo Messina, Taormina e Centuripe. Si tratta infatti di una parte della Sicilia che appare caratterizzata da legami e scambi culturali e commerciali di lunghissima data, grazie alla presenza di naturali vie di comunicazione: a nord il mare e la strada costiera, all’interno una serie di vallate fluviali che partendo da quella dell’Alcantara e dell’alto Simeto si ramificano verso nord. Questi rapporti sono resi evidenti, tra l’altro, dalla significativa presenza di monete di centri ionici e dell’area etnea (Messina, Taormina, Katane, Centuripe) pressoché in tutti i centri dei Nebrodi settentrionali, evidenza di contatti, non solo commerciali, nel corso dell’intera età ellenistica. Persone e merci percorrevano secolari sentieri naturali consentendo peraltro l’arrivo all’interno della Sicilia di prodotti sbarcati nei porti sul Tirreno e in quelli delle città affacciate sullo Ionio. La Sigillata Italica attestata nelle città dell’entroterra, da Centuripe a Troina fino a Morgantina, riteniamo, non proveniva solo da Siracusa come tradizionalmente si afferma, ma da una serie di centri identificabili come tappe intermedie, con percorsi che in parte sono rintracciabili attraverso le evidenze numismatiche: ad esempio, monete di Kale Akte – Calacte sono state rinvenute a Cerami, Monte Alburchia e Morgantina, così come monete di Centuripe sono diffuse ad Halaesa, Calacte o Tyndaris.
Iniziamo la disamina partendo da Cefalù, centro che pur non rientrando propriamente nell’odierno distretto nebroideo, nell’antichità faceva parte di una regione ben definita nella quale ricadevano diversi centri, compresi tra Madonie e Nebrodi (Halaesa, Kale Akte, Amestratos, Herbita) con legami attestati anche a livello epigrafico. Mandruzzato riferiva di rinvenimenti di Sigillata italica nel corso di saggi nell’area del Duomo e successivamente Polito precisava che si trattava di frammenti di piatti di forma Conspectus 12 e Conspectus 20. Non sono mai stati segnalati frammenti con bolli. Una breve ricognizione eseguita da chi scrive nei terreni liberi alle spalle del Duomo ha consentito di accertare la presenza in superficie di una grande quantità di ceramiche frammentarie databili a partire dal IV secolo a.C., riferibili a un quartiere periferico a nord-est dell’antica Kephaloidion-Coephaledium. Discretamente attestata è risultata la Terra Sigillata e tra i frammenti esaminati si menziona un fondo di coppetta con bollo in planta pedis in cui si riconosce chiaramente una O centrale, probabilmente da riferire al fabbricante C. O () (n. 1305 OCK) attivo dopo il 15 d.C., che al momento costituisce l’unico noto per Cefalù.
Halaesa visse una fase di grande prosperità soprattutto dopo la conquista romana della Sicilia e almeno fino alla metà del II secolo d.C., sebbene sia stata definitivamente abbandonata solo in occasione della conquista araba. Le attestazioni note di Terra Sigillata risalgono alle pubblicazioni di F. Carettoni che vi svolse scavi tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60.5 Importanti indagini archeologiche sono state svolte a partire dagli anni ’70 fino al primo decennio del 2000, senza che tuttavia abbiano aggiunto nuovi dati in quanto si è dedicata maggiore importanza all’edizione delle strutture portate in luce nonché delle numerose iscrizioni e dei complessi statuari. Pertanto, dopo i resoconti di Carettoni, poco o niente è stato pubblicato relativamente alle ceramiche. Relativamente alla classe ceramica di cui parliamo, una semplice visita nel sito consente di identificare un gran numero di frammenti di Sigillata Italica, oltre che di Sigillata africana, in ogni parte dell’antica area urbana e non solo: ricognizioni eseguite nei declivi circostanti, in primis quelle che hanno consentito a Burgio di redigere una Carta Archeologica,6 evidenziano come questa pregiata classe ceramica fosse in uso anche presso le fattorie o ville rustiche sparse nel territorio. Halaesa peraltro si presenta come un insediamento in cui ebbe grande diffusione la Sigillata Africana, lasciando intuire come si trattasse di un centro in grado di intrattenere importanti flussi commerciali in entrata per molti secoli. Ciò è da riferire al ruolo politico che rivestì già all’indomani della nascita della Provincia romana siciliana (fu “civitas libera atque immunis”) e che conservò per molto tempo grazie alla presenza di un importante scalo portuale.
In Malfitana 2004 ad Halaesa sono elencati 9 bolli, tutti provenienti dagli scavi Carettoni della metà del secolo scorso. Si tratta principalmente di workshops di Arezzo e centro-italici appartenenti all’intero I secolo d.C. Si distinguono bolli rettangolari della fase “classica” tra il 10 a.C. e il 15 d.C. e bolli in planta pedis della fase successiva. Qui è segnalato per la prima volta un bollo circolare di Cn. Domitius, ignoto fino allora in qualsiasi contesto esplorato nel Mediterraneo, che ha fatto supporre si trattasse di un fabbricante attivo nell’isola, rappresentante quindi di una produzione siciliana di Sigillata che è stata più volte ipotizzata. Gli scavi Carettoni interessarono, mediante saggi più o meno estesi, vari settori della città, tra cui l’agorà-foro, una casa a peristilio a valle di questa, tratti di strade, un santuario in cima alla collina e le mura. Lo studioso menziona più volte i rinvenimenti di sigillata, compresi i frammenti bollati o decorati. Tuttavia non sappiamo se quanto da lui riportato nei resoconti corrisponda a tutti i materiali significativi recuperati o sia solo una selezione. Negli anni ’70 a cura di Scibona si ampliò l’area di scavo dell’agorà-foro mettendo in luce una serie di ambienti allineati sul lato ovest della piazza. Nei resoconti di quegli interventi non si fa però cenno dei materiali mobili, ma si approfondiscono una serie di importanti iscrizioni ivi rinvenute. Nuovi estesi scavi sono stati eseguiti negli anni 2000, quando è stata liberata l’intera parte occidentale dell’agorà, un tratto del decumano a sud della piazza, il proseguimento della strada basolata principale verso nord e, in seguito, ampi tratti del sistema stradale del settore meridionale della città con la messa in luce di diversi fronti di case. Purtroppo si attende la pubblicazione di gran parte di questi interventi e degli abbondantissimi materiali raccolti.
Come accennato, una visita al sito consente di individuare una grandissima quantità di frammenti ceramici sul terreno inquadrabili su un lungo arco di tempo, con prevalenza di materiali di età imperiale e, per quanto ci interessa, anche di Sigillata prevalentemente liscia. I terreni in pendio esterni alle mura orientali, dove è stata riversata nel tempo una grandissima quantità di vasellame frammentario di ogni tipo, offrono un campionario interessantissimo di ceramiche soprattutto di epoca ellenistica e altoimperiale, con molti esemplari di vasi in Terra Sigillata anche in discreto stato di conservazione, che meriterebbero di essere recuperati, sebbene non riferibili a precisi contesti ma in quanto testimonianze utilissime per ricostruire la cultura materiale di Halaesa nel corso dei secoli.
In attesa di un’edizione dei materiali dagli scavi eseguiti dagli anni ’70 in poi, al momento i bolli noti per Halaesa possono essere sinteticamente così elencati7:
I riferimenti per Halaesa sono quasi tutti contenuti nella prima relazione degli scavi di Carettoni del 1959, nella quale l’archeologo si sofferma nell’elencazione di molti materiali mobili rinvenuti, comprese le ceramiche, precisazioni che non sono invece contenute nella seconda relazione del 1961. Nella prima, sono menzionati anche frammenti di Sigillata aretina con decorazioni a rilievo. Appare comunque evidente che Carettoni si limita a fare cenno solo dei bolli leggibili nitidamente, a fronte di molti altri frammenti con stampigli da lui definiti “illeggibili”. Pertanto, occorrerebbe rivisitare prima di tutto la mole del materiale ceramico recuperato nel corso delle due prime campagne di scavo ad Halaesa, anche perché a quell’epoca le conoscenze riguardo alla Terra Sigillata non erano paragonabili a quelle attuali. Da segnalare infine la presenza di frammenti di Sigillata menzionati da Burgio9 in diversi siti del territorio, che provano una diffusione di questo vasellame fine anche in fattorie o unità rurali in vita nel corso del I secolo d.C.
I dati disponibili non consentono quindi di farsi un’idea precisa della presenza di Sigillata ad Halaesa. Non sono registrati bolli di produttori puteolani né tanto meno gallici, mentre sembrano prevalenti le importazioni dall’Etruria e dal Centro Italia, a partire dagli ultimi decenni del I secolo a.C. e fino al 70 d.C. circa. Ribadiamo l’estrema parzialità dei dati e possiamo solo confermare, da quanto osservato in situ, come questo tipo di vasellame ebbe una notevole diffusione nel centro, sebbene sfugga del tutto quale sia stata la fase di maggiore afflusso, probabilmente da riferire alla fine del I a.C. – prima metà I secolo d.C. come sembra potersi ipotizzare in alcuni centri limitrofi quali Calacte e Haluntium.
Figg. 1-3. Halaesa. Coppetta in Sigillata di produzione non definibile di rinvenimento sporadico dall’area fuori le mura sud orientali.
Potrebbe aggiungere qualche dato l’esito di una breve ricognizione eseguita da chi scrive in un terreno incolto posto poco a valle dell’angolo sud-orientale delle mura su una superficie di circa 700 mq. Qui si è riversata una grande quantità di materiale frammentario proveniente dall’area urbana distante solo 30 metri, inquadrabile cronologicamente soprattutto tra il tardo ellenismo (Campana A e B, ceramiche a vernice rossa, anfore rodie tra gli altri) e l’alto Impero.10 Sono stati censiti ben 31 frammenti di Terra Sigillata di varie dimensioni e 5 di Sigillata Africana A. Solo un frammento conteneva un bollo in planta pedis molto parziale e non interpretabile; nessuno presentava tracce di decorazione e la forma più rappresentata era il piatto, sebbene sfugga in genere l’esatto inquadramento nel Conspectus (sembra diffusa la forma 20).
Non distante da Halaesa si trovava la cittadina greco-romana di Kale Akte – Calacte, le cui origini risalgono almeno alla fine del VII secolo a.C. e che venne (ri)fondata da Ducezio a metà del V secolo a.C.11 Questo centro, articolato in due quartieri principali posizionali l’uno in collina e l’altro sulla costa, visse la fase di maggiore sviluppo tra il III-II secolo a.C. e il I secolo d.C. I dati delle ricerche suggeriscono un abbandono quasi totale del sito collinare verso la fine del I secolo d.C., sebbene la presenza di Sigillata africana A, seppure non in grandi quantità, attesti una persistenza abitativa almeno fino alla prima metà del II secolo d.C. Riferimenti al rinvenimento di Terra Sigillata sono contenuti nei reports degli scavi condotti a Marina di Caronia tra il 1999 e il 2005 (contrada Pantano)12 mentre non si hanno notizie per il centro collinare, dove pure sono stati condotti scavi negli anni ’90 del secolo scorso.13 Chi scrive ha condotto per molti anni ricognizioni in quella che fu l’area urbana collinare di Calacte e i risultati preliminari sono contenuti in un volume monografico del 2016.14 Un capitolo è dedicato proprio ai rinvenimenti di Sigillata nella collina di Caronia, con edizione dei frammenti più rappresentativi raccolti, bollati o decorati.15 Pertanto, oggi abbiamo un quadro abbastanza significativo della presenza di questo vasellame a Calacte, potendo considerare sia i rinvenimenti da scavi sistematici (editi) che quelli da ricognizione di superficie.
Da semplice ricognizione, ad oggi sono stati censiti oltre 1600 frammenti di Sigillata Italica (con esemplari anche di Sigillata sud-gallica e di una più che probabile produzione siciliana) e l’area ispezionata è quasi esclusivamente un settore della città collinare, quello orientale, su una superficie complessiva di poco più di 2 ettari. Esemplari sono comunque presenti in tutti i settori della città antica, sia in collina che nell’abitato marittimo. Peraltro frammenti, tra cui alcuni bollati, sono stati rinvenuti anche nei numerosi siti rurali in vita nell’alto impero in quello che fu il territorio di Calacte. Nel numero complessivo dei frammenti censiti sono compresi esemplari con bollo, purtroppo in diversi casi conservato solo parzialmente, decorati e molti pezzi diagnostici ai fini del riconoscimento delle forme. La Sigillata risulta presente a Calacte dal 20 a.C. circa fini ai primi decenni del II secolo d.C. La cronologia dei bolli suggerisce, al momento, una fase di massima presenza intorno alla metà del I secolo d.C. e nei primi decenni successivi. Prevalgono le fabbriche dell’Etruria e centro-italiche, ma esemplari sono da riferire a produzioni campane, galliche e probabilmente anche della Valle del Po.
I bolli al momento noti, alcuni dei quali purtroppo non interpretabili, sono quelli elencati nella tabella che segue:
Tra i 42 stampigli interi o parziali al momento attestati, di cui solo 21 trovano corrispondenze nell’OCK, solo 6 provengono da scavi regolari: i nn. 13 e 35 dai saggi in c.da Telegrafo a Caronia del 1992; i nn. 28-30 dagli scavi 2003-2005 in contrada Pantano a Marina di Caronia; i nn. 31-32 dai primi scavi 1999-2001 nella stessa area di contrada Pantano. Il n. 34 è sporadico sempre da contrada Pantano; il n. 11 proviene da una fattoria in contrada Lineri, poco a sud della città collinare. Tutti gli altri provengono dal versante orientale della collina di Caronia e sono stati recuperati nel corso di ricognizioni da chi scrive.
Fig. 4. Calacte (Caronia, ME). Esemplari frammentari di Sigillata Italica decorati e con bollo (da Collura 2016)
Come si può osservare dalla tabella, prevalgono i bolli in planta pedis (19 su un totale di 42) con un numero significativo (5) della fabbrica tardoitalica di L. Rasinius Pisanus, nome che figura su ceramiche prodotte dalla metà del I secolo d.C. fino al 120 d.C. probabilmente da fabbricanti diversi che usarono per circa 70 anni lo stesso marchio. E’ interessante che siano di Rasinius Pisanus gli unici bolli noti dai territori di Halaesa (vedi supra) e Calacte, attestando probabilmente una diffusione di questo tipo di vasellame nei siti rurali in età molto avanzata dopo una prima fase in cui la preziosità di queste ceramiche le destinava principalmente ai ceti più abbienti in città. Mancano del tutto sia i bolli radiali della primissima fase, ovvero fino al 20 a.C. circa, sia quelli semilunati dell’ultimo periodo. Si può quindi ipotizzare una fase di maggiore diffusione della Terra Sigillata tra il 20-10 a.C. e la metà del I secolo d.C. o poco dopo. D’altra parte, a Calacte questo tipo di vasellame dovette essere accolto molto favorevolmente grazie all’esperienza della Sigillata Orientale A, giunta qui probabilmente verso la fine del II secolo a.C., e che dovette coesistere con la Sigillata Italica e simili nel corso del I secolo d.C.
Come sappiamo, la fine delle produzioni italiche di Sigillata coincide con la diffusione delle Sigillate Africane, che in Sicilia sembrano essere giunte negli ultimi decenni del I secolo d.C. per diventare la classe dominante di ceramiche fini da mensa nel corso del II secolo. In proposito si segnala un dato importante acquisito tramite l’esame quantitativo comparato delle due categorie di Sigillata, Italica e Africana, rinvenute nella collina di Caronia. Qui è presente in discreta quantità la Sigillata Africana A,23 mentre sono quasi del tutto assenti le classi successive delle produzioni nordafricane, presenti invece in grande quantità nell’insediamento marittimo di Calacte. Il dato è molto importante poiché suggerisce la cronologia dell’abbandono del quartiere collinare, che comunque non fu improvviso né totale. L’esame dei materiali ceramici, comprese le Sigillate, fissano tra il 70 d.C. circa e i primi decenni del II secolo d.C. il graduale spopolamento della collina; a metà di quest’ultimo secolo, l’altura risulta solo sporadicamente frequentata, mentre una modesta ripresa abitativa si registra nel corso del IV secolo d.C.
Quasi tutti da ricognizioni sono i frammenti che conservano parti di decorazioni applicate: ad oggi si contano poco più di 50 pezzi decorati, alcuni dei quali troppo piccoli perché si possa interpretare sia il motivo decorativo che la forma del vaso. Per la maggior parte si tratta di produzioni centroitaliche, ma non mancano frammenti di esemplari puteolani e gallici.24 Il numero di circa 50 pezzi, appartenenti molto probabilmente ad altrettanti vasi, non è trascurabile, in un panorama siciliano in cui prevale ampiamente la Sigillata liscia e priva di decorazioni. Tra gli esemplari decorati, menzioniamo alcuni frammenti di calici attribuibili agli ateliers di P. Cornelius, M. Perennius Bergathes, Rasinius e M. Perennius Tigranus, tutti di età augustea. Frequenti sono le piccole appliques poste sotto il bordo di piatti e coppette, raffiguranti rosette, doppie spirali, grappoli d’uva, foglie d’edera, animali (cane, lepre, delfino, testa di leone, ecc.).
L’analisi macroscopica dei frammenti mostra una certa disomogeneità sia nelle caratteristiche dell’argilla che in quelle delle vernici, circostanza che suggerisce come, pur risultando costanti le forme, si debba pensare a diversi centri di produzione, probabilmente non solo italici. Le argille presentano colorazioni che variano dal giallo-rosa al rosato o all’arancio, talvolta compatte e altre volte porose e friabili. Anche le vernici variano da quelle a colorazione rosso scuro a quelle a colorazione rosso vivo, rosso-marrone e rosso-arancio, talvolta lucide e coprenti, altre volte più opache, saponose o tendenti a scrostarsi. I dati forniti dai bolli d’altra parte confermano l’arrivo a Calacte di produzioni dall’Etruria, dal Centro Italia, da Pozzuoli o dalla Valle del Po, nonché dalla Gallia.
Per quanto riguarda le forme attestate, si è osservata una notevole presenza di piatti delle forme Conspectus 18-19-20 e di coppette Conspectus 22-23. Tuttavia si riconoscono numerose altre forme quali, ad esempio, il piatto di forma Conspectus 4, la coppetta Conspectus 24 e poi le forme Conspectus 7, 11, 12, 14, 21, 28, 33 e 34, nonché calici. Un indizio utile è inoltre costituito dal piede dei vasi, molto spesso l’unico indizio per comprendere forma e cronologia: numerosi i piedi a profilo rettangolare molto ampio o trapezoidale, ma la quantità più consistente si riferisce a piedi più o meno alti a profilo triangolare, da riferire a produzioni più tarde delle prime, diffuse soprattutto in età augustea.
Merita una menzione il rinvenimento di tre bolli identici di Cn. Domitius, un fabbricante ignoto nel corpus delle iscrizioni e presente solo in Sicilia: un primo esemplare fu rinvenuto a Halaesa e un secondo a Morgantina. Al momento sono queste le uniche attestazioni di questo bollo. Il nome del fabbricante è inserito a ruota all’interno di un bollo circolare e al centro è presente una figura di Nike, ben distinguibile nei tre stampigli calactini e secondo un stile non comune nella Sigillata. Gli esemplari ceramici da Caronia23 Le forme maggiormente attestate di Africana A sono Hayes 2 e Lamboglia 1a-b, diffuse la prima dal 90 al 150 d.C. e le seconde nel corso del II secolo d.C. presentano tra loro caratteristiche analoghe: argilla di colore arancio relativamente porosa e vernice tendente a scrostarsi di colore rosso-arancio. Queste caratteristiche, come vedremo in seguito, sono state osservate in un discreto numero di frammenti rinvenuti nella collina di Caronia, riferibili soprattutto a piatti e coppette. E’ chiaro che l’esistenza di questo bollo solo in Sicilia induca a concludere che Cn. Domitius fosse un fabbricante siciliano, mentre la presenza di tre bolli sui cinque conosciuti a Caronia e uno a Halaesa suggerisce che il suo atelier potesse essere attivo in quest’area. Quanto alla cronologia, potrebbe essere d’aiuto, oltre alla forma circolare del bollo e alla presenza della figura al centro, anche la forma dei vasi su cui sono presenti due dei tre bolli calactini, ovvero una coppetta emisferica con piccolo piede ad anello conservata solo nella parte inferiore, che sembra richiamare la forma Conspectus 22 e quindi rimandare all’età augustea, ed un piatto con piede ad anello la cui cronologia è relativamente ampia.
La polis di Apollonia sorgeva in cima al Monte Vecchio, poco a nord dell’odierna cittadina di San Fratello. I rinvenimenti sia da scavi regolari che da ricognizioni datano l’abitato a partire probabilmente dagli inizi del IV secolo a.C., epoca compatibile con i riferimenti letterari antichi che la menzionano come centro di non trascurabile importanza soprattutto all’epoca di Timoleonte e di Agatocle. Il centro appare abbandonato già dopo i primi decenni del I secolo d.C. Estremamente ridotta è la presenza di Sigillata Italica nel sito, contandosi pochi frammenti,25 rinvenuti soprattutto nel cosiddetto “Saggio E” degli scavi eseguiti sull’acropoli,26 riferiti dagli archeologi a “produzioni aretine e pisane (sigillata “italica tarda”)”. Qui si segnala il ritrovamento di un bicchiere frammentario simile alla forma Conspectus 50.3.1. In effetti, nel sito sono rari i materiali sicuramente riferibili all’età imperiale e la loro presenza testimonia solo una frequentazione dell’altura a scopi strategici o di sfruttamento agricolo-zootecnico. Non sono stati rinvenuti frammenti con bollo.
Più a est di Apollonia, presso l’odierna San Marco d’Alunzio, sorgeva la città di Haluntium, le cui origini sono antichissime. Il periodo di massima fioritura corrisponde ai secoli III a.C. – I d.C. Nel II secolo il sito appare quasi disabitato per essere rioccupato solo in età medievale. Degli scavi eseguiti in area urbana nella seconda metà del ‘900 abbiamo solo sintetici resoconti che non comprendono una esaudiente descrizione dei materiali rinvenuti. Nel locale Museo sono esposti alcuni dei materiali provenienti sia da scavi che da recuperi fuori contesto, compresi alcuni esemplari di piatti in Sigillata. Questi furono rinvenuti alla fine degli anni ’90 nel corso dell’esplorazione di un contesto abitativo tardoellenistico – altoimperiale in Vico II Farinata, comprendente una serie di ambienti allineati sullo stesso livello facenti parte di un’insula posizionata sul pendio settentrionale. Sono segnalati tre piatti, due con bollo PHILO e uno con bollo CAE:27
I tre esemplari bollati da Haluntium, rinvenuti insieme nello stesso contesto, si inquadrano cronologicamente nello stesso periodo, ovvero tra gli ultimi decenni del I secolo a.C. e i primi due del successivo. Anche il fatto che due piatti siano dello stesso produttore suggerisce che essi siano stati acquistati forse contemporaneamente in quell’arco di tempo e quindi siano pervenuti in citta con lo stesso carico di merci. Peraltro il bollo Philo non risulta al momento attestato in altri siti siciliani, mentre piuttosto raro sembra essere l’altro bollo CAE.
La presenza di Sigillata Italica ad Haluntium è comunque nota per via della sua presenza tra i materiali di superficie laddove i terreni non sono stati ancora urbanizzati, ad esempio lungo il pendio orientale. Del resto, la città, nel corso della prima età imperiale mostra segni di notevole prosperità e prestigio, confermati anche dall’esistenza di iscrizioni latine in onore di importanti personaggi di Roma, compreso Augusto. Tuttavia non è possibile formulare ipotesi quantitative e stabilire se anche qui questo tipo di ceramica ebbe la stessa diffusione accertata nei centri vicini come Calacte e Halaesa. I dati degli scavi fin qui condotti datano l’abbandono dei contesti abitativi esplorati generalmente intorno alla metà del I secolo d.C. o poco dopo.
Tyndaris, assieme ad Halaesa, fu probabilmente il centro più importante del comprensorio nebroideo nella prima età imperiale. Fondata nel 396 a.C. occupò un’area piuttosto estesa in cima a uno promontorio ed era dotata di un grande porto. Negli scavi condotti nei primi anni ’60 del secolo scorso da B. Brea e M. Cavalier, nella messa in luce dell’insula IV e nello svuotamento dei canali di drenaggio sottostanti le strade che la circondavano furono recuperate grandi quantità di Sigillata, con esemplari vascolari talvolta quasi interamente ricomponibili.29 Numerosi i frammenti decorati a rilievo, assieme ad alcuni esemplari con bollo. Alcuni sono attualmente esposti nel locale Antiquarium, tra cui un calice in gran parte ricomposto. Di quei rinvenimenti troviamo riferimenti in Mandruzzato 1988 e in Polito 2000, che segnala la diffusa presenza delle forme Conspectus 14, 22-23, 27 e 36.
Nuovi importanti dati sono scaturiti dalle ricerche svolte nel settore occidentale della città, i cui esiti sono stati raccolti nel volume Tyndaris 1 a cura di R. Leone e U. Spigo. Per prima cosa sono stati identificati 26 nuovi bolli, equamente distribuiti tra rettangolari e in planta pedis e un solo bollo semilunato. Abbastanza numerosi i nomi di fabbricanti, prevalentemente di Arezzo e del centro Italia. Pochi e non significativi i frammenti decorati, non riferibili a nessuno dei nomi noti.
In base alle forme riconosciute, la Terra Sigillata è attestata a Tyndaris praticamente per il suo intero arco di vita, dai primi esemplari aretini fino alla metà del II secolo d.C. Sono presenti ad esempio i primi piatti delle forme Conspectus 1, 2 e 5 e coppe forma 8, prodotti tra il 40 a.C. e la fine di quel secolo. Ampia diffusione hanno, come altrove, le forme lisce di coppe e piatti. Nel complesso è stata accertata la prevalenza delle ceramiche etrusche e centroitaliche, come altrove in Sicilia, anche se non mancano attestazioni campane e norditaliche. Non si fa invece cenno di Sigillate Galliche.
Anche a Tyndaris i dati raccolti circa il vasellame in Terra Sigillata possono fornire utili informazioni per la conoscenza della cultura materiale locale, i commerci e soprattutto la cronologia. In città erano attive fabbriche ceramiche a partire da età ellenistica, che probabilmente continuarono a produrre anche in età imperiale. In proposito si è anche ipotizzato che là esistessero laboratori per la produzione di una Terra Sigillata d’imitazione. Tuttavia al momento non si conoscono in questo centro bolli con nomi di fabbricanti siciliani, ad esempio lo stesso Cn. Domitius di cui sono noti esemplari a Halaesa, Calacte e Morgantina. Tyndaris disponeva di un grande porto molto attivo. Si può pensare che qui giungessero navi provenienti dalla Penisola, forse dopo aver fatto sosta a Lipari, e che da qui parte del carico venisse smistato verso i centri vicini e verso l’entroterra. E’ quindi prevedibile che assieme ad altre merci, giungessero a Tyndaris in buone quantità anche i vasi in Sigillata.
All’epoca in cui furono svuotati i canali di drenaggio lungo le strade dell’insula IV fu rinvenuto al loro interno una grande quantità di materiale principalmente di I secolo d.C., soprattutto Sigillata e vetri. Ciò dimostrava che a quell’epoca la manutenzione della rete fognaria non veniva più eseguita regolarmente, fino a quando questa venne completamente dismessa. Il I secolo segna quindi una cesura abitativa forse dovuta a un evento che determinò l’abbandono, seppur temporaneo, delle insulae di questo settore della città. Gli esemplari decorati e i bolli rinvenuti in quel contesto sembrerebbero porre il momento di crisi intorno alla metà di quel secolo. Tuttavia, i nuovi rinvenimenti nel settore occidentale dimostrano una continuità di vita pressoché ininterrotta fino al secolo successivo, sebbene i ritrovamenti di Sigillata provengano in buona parte da terreno rimaneggiato e non da precisi livelli di frequentazione.
Un elenco aggiornato dei bolli rinvenuti a Tyndaris è contenuto nella tabella che segue:
Ricordiamo che a Tyndaris, Lamboglia32 ipotizzò una produzione locale non solo di coppe megaresi ma probabilmente anche di Terra Sigillata per via della similitudine dell’argilla di alcuni frammenti con quella di produzioni ritenute locali. L’esame dei bolli attestati mostra la netta prevalenza di importazioni dall’Etruria (Arezzo e Pisa), con presenze anche di fabbricanti centroitalici e campani, mentre due bolli dalla Valle del Po sono significativi in considerazione dell’esiguità di vasellame di produzione norditalica in Sicilia. Per il resto, i nomi attestati ricorrono quasi tutti nel resto dell’isola e inquadrano Tyndaris nei canali commerciali generali, senza particolari eccezioni.
Nel territorio dell’odierna Gangi (PA), a cavallo tra le catene montuose dei Nebrodi e delle Madonie nell’entroterra, insistono due siti importanti, Monte Alburchia e Gangi Vecchio. Il primo ospitò una città indigena ellenizzata in vita da epoca arcaica fino al IV-V secolo d.C, che si potrebbe identificare con l’importante centro di Herbita noto dalle fonti.33 Il secondo fu anch’esso occupato da un abitato ancora di incerte dimensioni e cronologia: se i materiali più antichi rinvenuti nell’area si datano già ad epoca greca, è tra il I e il V secolo d.C. che esso ebbe la sua fase principale e fu forse sede di una villa romana.34
A Monte Alburchia, noto per le sue evidenze archeologiche fin dal ‘700, le ricerche sono state assai limitate: saggi di scavo furono eseguiti negli anni ’50 del secolo scorso e, a quanto pare, portarono al rinvenimento di strutture murarie molto tarde, così datate per il rinvenimento di sigillate africane. Invece gli scavi condotti nell’area di necropoli posizionata subito a nord dell’altura portarono al rinvenimento di sepolture databili principalmente in età ellenistica. Recenti indagini lungo il costone di nord-est hanno invece portato alla scoperta di un santuario caratterizzato dalla presenza di numerose nicchie nella roccia di diverse dimensioni frequentato in età ellenistica che, per la sua posizione, lungo la strada che dalla città scendeva verso la necropoli, potrebbe essere stato dedicato ai defunti eroizzati.
I materiali presenti in superficie datano la frequentazione e/o occupazione di Alburchia almeno dal VII secolo a.C. al tardoantico. Per l’epoca che ci interessa, sono presenti frammenti di Sigillata Italica, come anche di Sigillata Africana.35 Relativamente ai primi, si segnala la presenza di decorazioni frammentarie e di un fondo forse di piatto con bollo in planta pedis I. PPID36 non meglio interpretabile. Se effettivamente la città di Herbita occupava la cima di Monte Alburchia, bisogna pensare che quest’ultimo ospitasse una vera e propria area urbana in epoca altoimperiale, considerato che Plinio cita Herbita tra le città stipendiarie dell’entroterra siciliano. Tuttavia, la quantità di Sigillata presente in superficie non è in grado di confermare l’esistenza di una vera e propria città piuttosto che di un modesto abitato.
Cospicuo è invece il rinvenimento di Terra Sigillata nel sito di Gangi Vecchio, da qualche anno interessato da indagini sistematiche che hanno consentito di accertare l’esistenza di un insediamento dalla lunghissima vita, ben oltre l’età classica. In attesa di una edizione completa degli esiti di queste ricerche, alcuni esemplari frammentari di Sigillata sono stati esposti presso il Museo Civico di Gangi. Essi comprendono sia vasellame liscio che decorato e 4 interessanti fondi di coppette con bolli tutti in planta pedis (vedi tabella a seguire). I frammenti che conservano parti di decorazioni sono da riferire sia a produzioni italiche che galliche. Segnaliamo una serie di semplici appliques sotto il bordo di coppette e piatti con motivi a doppia spirale, a rosetta, a giglio, a foglia, a cerchio puntinato, a figura animale, ecc.; alcuni frammenti si riferiscono a parti di calici o coppe in cui si riconoscono decorazioni complesse, tra cui una figura femminile danzante, festoni con rosette, motivi fitomorfi, ecc. che coprono l’intero I secolo d.C.
Figg. 5-6. Gangi (PA). A sinistra, frammenti di sigillata italica di rinvenimento sporadico da Monte Alburchia (da Farinella cds); a destra, fondi di coppette con bollo in planta pedis da Gangi Vecchio
In attesa di sistematiche ricerche nel sito di Monte Alburchia che chiariscano l’esatta cronologia della città che vi sorgeva, possiamo presumerne l’esistenza nel corso dell’età imperiale sulla base della presenza di frammenti di Sigillate sia italiche che africane, di strutture murarie e di una necropoli da cui provengono alcune lastre iscritte ancora a caratteri greci. Tuttavia, il notevole sviluppo che registrò nella stessa fase l’abitato di Gangi Vecchio, distante solo pochi chilometri verso nord-est, suggerisce che il centro sull’Alburchia subì un decremento demografico all’inizio dell’età imperiale con uno spostamento di popolazione verso l’insediamento di Gangi Vecchio.
I bolli attestati nei due siti del territorio di Gangi sono i seguenti:
La rocca di Troina ospitò una città greco-romana di cui tuttavia sfugge ancora il nome nonostante le numerose proposte di identificazione. La sua frequentazione si protrae almeno dal V secolo a.C. fino al III secolo d.C., sebbene il sito non sia mai stato abbandonato, con continuità di vita fino ad oggi. Le notizie sui rinvenimenti di Sigillata risalgono quasi esclusivamente agli scavi condotti alla fine degli anni ’50 del secolo scorso da E. Militello39 per conto dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Catania, con un resoconto molto dettagliato pubblicato nel 1961 nelle Notizie degli Scavi di Antichità. Diversamente da molti altri studiosi, Militello prestò attenzione ai materiali di età romana. Relativamente alla Terra Sigillata, segnalava le tipologie formali più importanti rinvenute, comprendenti coppe, coppette, tazze, piatti, descrivendo alcuni bei frammenti decorati, tra cui una larga porzione di coppa con figurazione di riquadri inframezzati da foglie a squama in cui compaiono rispettivamente un cacciatore con cane al guinzaglio e una lepre che fugge, con intorno fregi a festoni e ad archi di cigni volanti, attribuita a Passienus. Sono segnalati 16 bolli, quasi tutti in planta pedis, la cui interpretazione non consente tuttavia di riconoscerli sempre nel Corpus dei sigilli noti. Segnala infine la presenza di lettere graffite in alcuni frammenti, tutte greche, a testimoniare ancora una volta una persistenza della lingua parlata greca nel corso del I secolo d.C.
L’elenco dei bolli noti, tratto quasi per intero dalla pubblicazione di Militello, è il seguente:
Gli scavi della metà del secolo scorso interessarono alcune strutture abitative disposte sul pendio meridionale alle spalle delle fortificazioni ellenistiche. La data di occupazione di queste case è stata fissata tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C. ma la stessa area appare frequentata almeno dal V secolo a.C., come dimostrato dalla presenza di ceramiche indigene nello stile di Licodia Eubea e poi da frammenti a figure rosse. La fase imperiale è invece caratterizzata dalla presenza di Sigillate, sia italiche che africane, di lucerne anche della fabbrica di Proklos Agyrios, nonché di monete. La ricognizione nel terreno libero compreso tra le mura di fortificazione e l’odierno abitato effettivamente testimonia una frequentazione a partire dalla tarda età ellenistica, con diffusa presenza di frammenti di Sigillata. In una pubblicazione del 1980,41 Scibona fece un resoconto delle ricerche svolte a Troina che interessarono sia le fortificazioni ellenistiche che alcuni contesti abitativi venuti in luce in varie parti dell’odierna cittadina, ma non menzionava la Sigillata Italica rinvenuta, quanto piuttosto presigillata e Sigillata Africana, per cui il quadro delle conoscenze che abbiamo su Troina è sostanzialmente fermo alle notizie degli scavi degli anni ’50. In proposito, si osserva una presenza di Sigillata soprattutto di età classica e tardoitalica, che potrebbe anche essere indizio di un diffusione di questa classe ceramica più tarda, come a Gangi, rispetto ai centri nebroidei affacciati sulla costa tirrenica.
Polito segnala alcune delle tipologie vascolari attestate a Troina, tra cui piatti, coppe e bicchieri delle forme Conspectus 20, 21, 22, 27 e 36.42 Di un certo interesse la presenza di piatti con bordo svasato o a tesa di produzione tardo-padana appartenenti alle forme Conspectus 39-40, molto poco diffuse in Sicilia, oltre a frammenti di piatti e coppe con piccole appliques sotto il bordo (cane in corsa, stella, volatili che reggono un festone). Il quadro che se ne ricava, in attesa di un’edizione completa dei rinvenimenti, è quello di una presenza di Sigillata Italica molto prolungata, fino a tutta la prima metà del II secolo d.C., contrariamente a diversi altri siti che in quella stessa fase mostrano importanti contrazioni abitative e, per questo motivo, una rarefazione delle attestazioni di questa classe ceramica.
Al termine del resoconto delle attestazioni di Terra Sigillata nei centri di area nebroidea, possiamo fare alcune considerazioni. La prima riguarda la mortificante lacunosità dei dati a disposizione, che nella maggior parte dei casi non consentono di avere una conoscenza puntuale del fenomeno Sigillata non solo nella microregione nebroidea, ma nell’intera Sicilia. Pensiamo al fatto che per Halaesa e Troina, ad esempio, le notizie che abbiamo sono ferme ai primi anni ’60 del secolo scorso e che nulla è stato aggiunto in occasione dei vari interventi di scavo condotti nei decenni successivi. Qualche notizia più affidabile e aggiornata la possediamo per Calacte e Tyndaris, nel primo caso per una serie di rinvenimenti sporadici fuori da contesti di scavo recentemente pubblicati,43 e nel secondo caso grazie all’edizione delle ricerche svolte negli anni ’90-2000 nel settore occidentale della città.44 Mancano del tutto notizie circa la presenza di Sigillata in alcuni siti antichi nebroidei quali Amestratos (Mistretta), Capo d’Orlando (antica Agathyrnon?), Abakainon (Tripi), Nicosia (Engyon?) e Cerami (Imachara?). Limitate ricognizioni eseguite da chi scrive hanno comunque accertato la presenza di frammenti nei primi tre siti, ma non è possibile ipotizzare, per la limitatezza delle ricerche, in quale entità e in che forme questo tipo di vasellame sia qui pervenuto e fosse in uso. Soprattutto costituisce un grande handicap la mancata edizione dei materiali recuperati nel corso degli scavi dell’ultimo cinquantennio ad Halaesa, che ci privano concretamente di importanti conoscenze sulla cultura materiale, gli scambi commerciali e il reale status dei suoi cittadini, che i soli monumenti e le sole iscrizioni descritti non bastano a spiegare. Halaesa fu una delle più importanti città siciliane tra la fine dell’età ellenistica e la prima età imperiale e dobbiamo immaginare che lo status politico-economico privilegiato che le fu riconosciuto abbia favorito incrementi di ricchezza ed una grande propensione all’importazione di beni di lusso. Ciò peraltro ne dovette fare un centro cardine sotto l’aspetto culturale su un’ampia area, da Cefalù fin quasi a Tyndaris e verso l’entroterra nebroideo.
Le attestazioni di Sigillata note nei Nebrodi, sulla base dei bolli esaminati e delle forme riconosciute, confermano la sua presenza pressoché nell’intero arco di vita di questa produzione, con un picco tra la fine del I secolo a.C. e la metà circa del I secolo d.C. Tuttavia, la diffusa presenza di marchi di ceramisti tardoitalici suggerisce che questo tipo di vasellame continuò ad essere apprezzato anche successivamente e che solo le vicende demografiche dei diversi centri possono avere condizionato una contrazione nelle importazioni dopo il 50-70 d.C. In effetti, le ricerche eseguite hanno dimostrato un progressivo abbandono di alcuni siti tra la seconda metà del I e la prima metà del II secolo d.C., ad esempio a Calacte, Haluntium e, in parte, anche ad Halaesa, talvolta con riprese abitative dopo molto tempo. Le cause di questi spopolamenti non sono note e potrebbero essere ricondotte sia a eventi naturali che danneggiarono le strutture abitative, sia a mutate condizioni sociali ed economiche che determinarono spostamenti di popolazione nei quartieri marittimi che molte di queste città possedevano, fin qui poco indagati.
Nelle città nebroidee ricorrono i nomi di alcuni ceramisti tardoitalici che operarono dopo il 50 d.C. e in alcuni casi ancora nella prima metà del II secolo. I più attestati sono L. Rasinius Pisanus (a Halaesa, Calacte e Tyndaris) e C() P() Pi(sanus) (a Calacte, Tyndaris, Gangi e Troina), entrambi attivi fino al 120 d.C. circa. Presenti sono anche Sex Murrius Pisanus, Sex Murrius Festus e Cn. Ateius Mahes, che continuarono a produrre nella seconda metà del I secolo. Questi nomi ricorrono frequentemente in altri siti siciliani e fanno pensare a una sorta di monopolio di pochi fabbricanti per quanto riguarda le esportazioni in Sicilia dopo la fase classica della produzione, non sappiamo bene dovuta a quali ragioni. Di un certo interesse è inoltre la presenza di un bollo di L. Nonius Fl(orentinus) a Troina, rarissimo in Sicilia, che operò nella prima metà del II secolo. Sembra quindi confermata la tesi di Polito45 circa una persistenza della fase più tarda della produzione limitata alla sola parte nord-orientale dell’isola mentre si diffondevano i prodotti nord-africani.
La studiosa infatti osserva come l’avvio delle produzioni di Sigillata Africana, di ottima qualità e a prezzi concorrenziali, negli ultimi decenni del I secolo d.C., avesse ben presto determinato la fine delle importazioni di Sigillata Italica in Africa e questo trend sembra abbia coinvolto, nel giro di pochi decenni, anche la Sicilia, con parziale esclusione solo dei centri nord-orientali dove le due fabbriche, italica e africana, coesistettero quantomeno nel primo terzo del II secolo.
Ovviamente non basta elencare i bolli noti nelle città dei Nebrodi per farsi un’idea della presenza e circolazione di Terra Sigillata in questa micro-regione, ma occorre inquadrarla in un contesto più ampio quale è l’intera isola, cercando spunti per utili confronti almeno con i siti in cui questo materiale ceramico è stato studiato in maniera più approfondita. L’area dei Monti Nebrodi era per sua natura “periferica” rispetto ai principali centri siciliani dell’antichità e questa circostanza favorì attardamenti e lo sviluppo di una cultura materiale per certi versi originale, con dinamiche evolutive autonome. E’ dopo la conquista romana della Sicilia che essa acquisisce una maggiore vitalità e si apre alle innovazioni, inserendosi inoltre in maniera significativa nei canali commerciali che interessavano il Mediterraneo e in primis negli scambi intercorrenti con la Penisola. Una conferma in tale senso è il rinvenimento di materiali d’importazione solitamente presenti nei siti, soprattutto costieri, che furono più vivaci commercialmente; non ci riferiamo solo al vasellame in Campana A italico, che peraltro ebbe imitazioni ovunque, ma a tutta una serie di manufatti provenienti da regioni lontane, quali ad esempio le anfore rodie, le Sigillate orientali, la ceramica iberica, alcune produzioni di area pergamena, ecc., solitamente assenti nei centri a bassa propensione commerciale. A maggior ragione, quindi, si deve pensare a una notevole quantità di vasellame in Sigillata che tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C. arrivò in queste località, essendo divenuto il tipo di vasellame fine di moda a quell’epoca in tutte le regioni influenzate da Roma.
Nella frammentarietà dei dati a disposizione sulla diffusione della Terra Sigillata in Sicilia, una mole di dati importante è costituita dai ritrovamenti fatti a Monte Iato nell’entroterra palermitano. Qui, grazie agli scavi sistematici in corso fin dagli anni ’70 a cura dell’Università di Zurigo, che hanno portato in luce ampie porzioni della città greco-romana, è stata recuperata una grandissima quantità di Sigillata con un numero molto rilevante di bolli, oltre 260. Il dato è importante se si pensa che Ietas non sorgeva sulla costa ma nell’entroterra e qui i prodotti d’importazione dovevano arrivare dai porti sul Tirreno, soprattutto Panormos e Termini Imerese. In considerazione di questo appare già evidente come il vasellame in Sigillata ebbe diffusione capillare in tutta l’isola, probabilmente non limitata ai ceti più abbienti ma estesa all’intera popolazione. La gran parte dei bolli di Monte Iato si riferisce a fabbricanti di Arezzo, di Pisa e dell’Italia centrale; pochi nel complesso le attestazioni dalla Campania e dalla Valle del Po, mentre non è chiaro se siano attestati fabbricanti gallici. Tra i nomi più ricorrenti citiamo Cn. Ateius, Cn. Ateius Xanthus, C. Gavius, M. Perennius Saturninus, Rasinius. Alcuni dei fabbricanti noti a Monte Iato sono attestati anche nelle città dei Nebrodi: Cn. Ateius (Tyndaris), C() P() Pi(sanus) (Calacte, Tyndaris, Gangi, Troina), C. Avilius (Calacte), Camurius (Halaesa, Troina), M. Perennius Tigranus (frammento di calice da Calacte), C. Rasinius (Tyndaris), Q. Sertorius (Tyndaris), L. Tettius Samia (Tyndaris), L. Titius (Calacte), C. Vibienus (Tyndaris), ecc.
Interessanti confronti in proposito si possono fare con un altro centro dell’entroterra, Morgantina, dove si sono registrate molte più corrispondenze con i bolli noti nelle citta dei Nebrodi. A Morgantina i bolli più antichi si datano nell’ultimo terzo del I secolo a.C. mentre i più tardi non superano la metà del I secolo d.C., circostanza che conferma l’abbandono del sito in quella data. In questo centro, che sopravvisse dopo la conquista romana del 211 a.C. e altri eventi avversi occorsi prima dell’età imperiale, ritroviamo infatti diversi nomi attestati in area nebroidea: C. Annius Eros, C. Arvius, Ateius, Cn. Ateius, Zoilus, P. Cornelius, Cn. Domitius, Hilarus, Rasinius, L. Tettius Samia e L. Titius, che insieme costituiscono quasi un terzo di quelli attestati a Morgantina. Questa constatazione non passa inosservata se consideriamo la posizione di questa città, alle spalle dei Nebrodi e a metà strada con gli importanti mercati di Siracusa e Agrigento, nonché i rapporti che dovettero intercorrere per molti secoli con i centri di area nebroidea.
E’ inevitabile cercare corrispondenze anche con l’importante mercato di Siracusa, rimasto il principale della Sicilia per tutta l’età classica. Una buona parte delle navi provenienti dalla Penisola era infatti diretta a Siracusa, sebbene il ruolo di questa città faccia in genere passare in secondo piano i porti di altri città della Sicilia settentrionale e orientale che accoglievano anche in via diretta le navi italiche. Tra i bolli siracusani che trovano confronti nei centri nebroidei ricordiamo Q. Arvius, Ateius, Cn. Ateius Ma(), Zoilus, Avilius, Camurius, P. Cornelius Anthus, Sex Murrius Festus, Optatus, C() P() Pi(sanus), Rasinius, L. Rasinius Pisanus, Q. Sertorius, L. Tettius Samia e C. Vibienus Faustus. Occorre comunque tenere conto del fatto che l’edizione dei rinvenimenti di Terra Sigillata a Siracusa rimane estremamente lacunosa: sono noti infatti solo 126 bolli, un numero irrisorio se si tiene conto del volume delle importazioni immaginabili in questa metropoli dell’antichità.
Infine, accenniamo ai risultati di un’approfondita ricerca sulla Sigillata Italica ad Agrigento recentemente condotta da Polito,46 che offre interessanti spunti di studio in considerazione dell’importante ruolo economico svolto da quella città nell’alto Impero. Più precisamente, viene analizzata la Terra Sigillata proveniente dagli scavi eseguiti in passato nel cosiddetto “quartiere ellenistico-romano”, che proprio nel corso del tardo ellenismo e nella prima età imperiale appare molto vitale. Ad Agrigento, prima che in altre aree dell’isola, si assiste al declino di questa produzione a causa del precoce arrivo della Sigillata Africana negli ultimi decenni del I secolo d.C. L’esame dei bolli attestati evidenzia il ruolo primario di Arezzo nella fase di introduzione e di massima diffusione della Sigillata Italica, prima di un ampliamento delle aree di produzione a Pisa e nel centro Italia. I nomi censiti nello studio della Polito, ben 71, provengono infatti esclusivamente da quelle aree; non sono attestati produttori campani né della Valle del Po. L’assenza di ceramisti nord-italici è significativa in considerazione del fatto che essi, seppure non in quantità rilevante, sono invece attestati in altre parti dell’isola, inducendo a ritenere che il commercio della Sigillata rispondesse a logiche di mercato che davano la preferenza a certe aree di produzione piuttosto che ad altre. Le conclusioni a cui perviene la studiosa accostano Agrigento alla parte occidentale della Sicilia, raggiunta da navi provenienti dall’Etruria o da Ostia che probabilmente erano dirette fino all’Africa settentrionale; la parte centro-orientale dell’isola, invece, sembra inserita in canali commerciali in parte diversi, come suggerisce anche la più frequente presenza di fabbricanti campani e padani: una tale differenza potrebbe essere dovuta al fatto di trovarsi lungo la rotta che dal centro-Italia portava verso l’Oriente.
Più in generale, gettando lo sguardo sulle attestazioni note nell’intera Sicilia, non si osserva una maggiore comunanza delle attestazioni di Sigillata nei Nebrodi con le città della Sicilia centro-orientale rispetto a quelli della Sicilia occidentale. Questo significa non solo che, nella prima età imperiale, le città dei Nebrodi condividevano canali commerciali comuni al resto dell’isola, ma che in realtà i fabbricanti italici esportavano indistintamente ovunque la loro merce fosse richiesta e che l’arrivo dei prodotti dell’uno piuttosto che dell’altro nelle diverse città rispondeva allo svolgimento di micro-scambi interni una volta che il vasellame fosse stato sbarcato nei porti.
Ritornando alla raccolta dei bolli noti in area nebroidea,si osserva la presenza in più esemplari nello stesso centro dei prodotti di alcuni fabbricanti: ad esempio, il tardoitalico L. Rasinius Pisanus è presente con ben 5 bolli a Calacte e in questa città, come detto, il raro Cn. Domitius risulta attestato in tre esemplari su un totale conosciuto nell’intero Mediterraneo di 5 (tutti in Sicilia); Cn. Ateius è attestato 3 volte a Tyndaris; Philo è presente a Haluntium con 2 bolli su un totale di soli 3 noti da quella località. Alcuni bolli risultano poi ricorrenti tra vari centri nebroidei. L. Rasinius Pisanus è attestato soprattutto a Calacte ma anche a Tyndaris; come detto, C() P() Pi(sanus) è presente a Calacte, Tyndaris, Troina e Gangi Vecchio; Camurius è attestato a Troina e Halaesa; il siciliano Cn. Domitius è noto a Calacte e Halaesa. Molti dei bolli ad oggi noti nelle città dei Nebrodi, d’altra parte, sono attestati in diverse altre località della Sicilia e sembrano quindi avere avuto un certo apprezzamento nell’isola, sebbene non si possa conoscere quali strade abbiano percorso questi prodotti una volta giunti nei principali porti siciliani per poi essere smistati altrove. Ad esempio, Cn. Ateius47 è noto anche a Siracusa, Morgantina, Gela, Agrigento, Lilibeo, Erice, Segesta e Monte Iato; Zoilus anche a Siracusa, Melilli, Morgantina, Lilibeo, Erice, Partinico, Solunto e Lipari; L. Rasinius Pisanus anche a Siracusa, Centuripe, Agrigento, Castagna (nei pressi di Eraclea Minoa), Monte Iato, Lilibeo, Trapani, Erice, Lipari e Panarea; C() P() Pi(sanus) anche a Siracusa, Taormina, Catania, Castagna, Lilibeo, Solunto, Termini Imerese, Lipari e Monte Iato.
Concludiamo discutendo della ipotizzata produzione siciliana di Terra Sigillata, cui accennò per prima Mandruzzato48 richiamando alcune osservazioni fatte da Lamboglia49 sui materiali dagli scavi di Tyndaris. In effetti è molto probabile che anche la Sicilia, terra di produzioni ceramiche secolari che continuarono per lunghissimo tempo, anche nel corso dell’età imperiale abbia avuto propri ateliers che imitavano le nuove classi vascolari che si andavano diffondendo nell’Impero. La Sigillata infatti nacque ad Arezzo ma ben presto venne prodotta anche in altre regioni, sia italiche (Etruria, Italia centrale, Valle del Po, Campania) che fuori dalla Penisola (Gallia, penisola iberica, nord Africa). In proposito vogliamo aggiungere un contributo alla discussione prendendo spunto dai più volte citati bolli a firma di Cn. Domitius
50 noti esclusivamente in Sicilia. In origine, per le caratteristiche dei frammenti su cui era presente questo bollo (argilla e vernice) si pensò ad una produzione campana (“Produzione A della Baia di Napoli”). Tuttavia, questo ceramista è sconosciuto fuori dalla Sicilia e ciò induce di per sé a riferire con una certa sicurezza il suo nome ad una fabbrica attiva nell’isola.
I tre bolli di Cn. Domitius da Calacte, che abbiamo avuto la possibilità di esaminare attentamente, aggiungono qualche prezioso dato in più. Essi sono apposti sul fondo di vasi caratterizzati da argilla di colore arancio scuro (Munsell 2.5YR4/8), ruvida e porosa, ricca di piccoli inclusi di pietrisco, in particolare di colore bianco ben visibili in superficie, assenza di materiale vulcanico e pochissima mica. La vernice è di colore rosa-arancio (Munsell 10R3/10), non vetrificata ma di consistenza saponosa, semilucida, tendente a scrostarsi. Queste caratteristiche sono tipiche di ceramiche prodotte nel medio e tardo ellenismo nella stessa Calacte e più in generale in diversi siti della costa settentrionale siciliana. Il bollo, d’altra parte, è molto particolare: di forma circolare, presenta le parole CN e DOMITI, separate da puntini, attorno alla figura di una Nike alata stante con il braccio sinistro proteso forse a reggere una lancia. I tre bolli da Calacte sono identici e provengono da uno stesso punzone. L’immagine disponibile nell’OCK per i due bolli da Halaesa e Morgantina sono assai simili a questi ultimi, sebbene non sia chiara l’immagine posta al centro.
Va detto che Terra Sigillata con caratteristiche simili alla Produzione A della Baia di Napoli, in Sicilia viene in genere riferita tout court a quest’ultima. Questa produzione apparve in passato estremamente simile alla cosiddetta “Tripolitan Sigillata” da Berenice,51 tanto da essere confusa per molto tempo con quest’ultima: indagini archeometriche hanno in seguito suggerito che in buona parte la cosiddetta “Tripolitan Sigillata” rinvenuta in nord Africa fu effettivamente prodotta in Campania.52 La tipologia delle vernici di molti frammenti esaminati da chi scrive ad Halaesa e soprattutto nel sito di Calacte, molto diversa da quella della Sigillata aretina e centro-italica, li potrebbe riferire a prima vista a produzioni campane.53 Le forme sono molto simili ma non uguali a quelle aretine, ma si osserva una qualità complessiva dei manufatti più mediocre. Limitandoci al caso di Calacte, la quantità non trascurabile di frammenti con queste caratteristiche, che d’altra parte sono molto simili a quelle delle ceramiche ellenistiche di cui ipotizziamo una produzione locale o nell’area dei Nebrodi settentrionali, fa dubitare che potesse esserci stata una così rilevante importazione di vasellame dall’area di Napoli e induce piuttosto a pensare che esistesse in loco una produzione autonoma che per qualche tempo si affiancò ai prodotti importati. Gli esemplari con bollo di Cn. Domitius avvalorano una simile ipotesi.
Il sito di Calacte, sottoposto a ricerche sistematiche da parte di chi scrive da oltre 20 anni, con una particolare attenzione ai materiali abbondantemente sparsi sui terreni non urbanizzati, va rivelando peculiarità fino ad oggi sconosciute per un piccolo centro di periferia. Una produzione locale di manufatti in argilla è suggerita di per sé dall’ampia disponibilità di risorse naturali (acqua, banchi d’argilla, legname) che favorì lo sviluppo di fabbriche di laterizi e ceramiche su un lungo arco di tempo. Si sono ben presto riconosciute le caratteristiche di queste produzioni locali, identificabili sia dal colore della terra che in cottura assume un tipico colore rosso-arancio per la presenza di ossidi di ferro, sia per la quasi totale assenza di mica che invece contraddistingue altre produzioni siciliane, sia per il ricorrere di specifici inclusi sabbiosi, in particolare quarzite. Queste caratteristiche sono note fin dalla scoperta di una fornace tardoimperiale di anfore e altre ceramiche sulla costa, poco distante dall’odierna Marina di Caronia (c.da Chiappe),54 nonché dal rinvenimento di scarti di fornace e ipercotti di età ellenistica sulla collina di Caronia. Si sono riconosciute alcune tipiche forme vascolari che non trovano puntuale riscontro in altri siti siciliani, tra cui una coppa emisferica su piede modanato troncoconico e anse orizzontali, simile alle coppe concavo-convesse rientranti nelle cosiddette “Produzioni dello Stretto”,55 che tuttavia hanno costantemente anse verticali. Queste coppe, in genere verniciate di colore rosso-arancio, sono attestate in numerosissimi esemplari a Caronia e ne sono state osservate anche ad Halaesa e soprattutto nella vicina Apollonia.
Figg. 7-9. I tre esemplari di bolli di Cn. Domitius da Calacte. Il primo è di rinvenimento sporadico dal versante orientale della collina di Caronia, il secondo e il terzo provengono dagli scavi 1992 in contrada Telegrafo a Caronia
Ceramiche a vernice rossa con le caratteristiche dei frammenti su cui sono presenti i bolli di Cn. Domitius sono piuttosto frequenti sulla collina di Caronia. Dallo scavo di alcune unità abitative in contrada Telegrafo nel 1992,56 ad esempio, oltre ai due esemplari bollati, provengono numerosi frammenti di questo tipo che, a prima vista, per via delle forme riconoscibili, sembrano appartenere al tardo ellenismo più che avvicinarsi al repertorio morfologico delle Sigillate Italiche. Ciò pone questioni circa la cronologia di queste produzioni che solo per il fatto di essere bollate con lettere romane possono rientrare nella classe delle tradizionali Sigillate. I dati acquisiti suggeriscono di localizzare l’atelier di Cn. Domitius nella stessa Calacte o nei dintorni, ad esempio ad Halaesa (Apollonia venne abbandonata già all’inizio del I secolo a.C.), sebbene il dato relativo alla presenza dei tre bolli su cinque conosciuti ci spinga a confermare Calacte.
Le conclusioni cui siamo pervenuti, inaspettate, inducono ad approfondire ulteriormente gli studi ipotizzando una serie di produzioni parallele alla Sigillata Italica in Sicilia tra la fine del I secolo a.C. e tutto il successivo. In effetti, esaminando già nella sola Caronia le caratteristiche dei frammenti riconducibili alla classe della Terra Sigillata, si osserva, accanto alla prevalenza di ceramiche con vernici tipiche della Sigillata (colore rosso corallo o rosso-marrone, lucentezza, ottima qualità), la presenza di numerose varianti, ad esempio vernici meno lucenti, meno spesse, di colore variabile dall’arancio al vermiglio, che se non fosse per il fatto che in effetti si riconoscono forme tipiche della Sigillata, si sarebbe indotti a riferire a produzioni rientranti nella categoria della red slip ware ellenistica.
Figg. 10-11. Esemplari di Sigillata di produzione siciliana probabilmente riferibili all’officina di Cn. Domitius dallo scavo 1992 in contrada Telegrafo sulla collina di Caronia
Per quanto riguarda la cronologia della Sigillata siciliana, quanto meno della produzione di Cn. Domitius, potrebbe essere un riferimento importante quella stabilita per la stessa “Produzione A” campana: si è osservato che i bolli presenti su questa non comprendono esemplari in planta pedis, stampigli questi che si diffondono solo dopo il 15 d.C. Si è quindi ritenuto che quella produzione, avviata intorno alla metà del I secolo a.C., si sia estinta dopo i primi decenni del secolo successivo, quando effettivamente si fece molto più consistente la presenza di Sigillata prodotta in alcuni centri specializzati quali Arezzo, Pisa o Pozzuoli. Un tale trend potrebbe avere caratterizzato anche il destino della produzione siciliana, sebbene siano necessarie ulteriori e più approfondite indagini. Nata come produzione di piccole officine, con un raggio commerciale relativamente limitato, anche la produzione siciliana dovette capitolare nel giro di pochi decenni di fronte all’arrivo massiccio di prodotti italici realizzati con tecniche standardizzate e a minor costo, circostanza questa che dovette realizzarsi già alla fine dell’età augustea. Il contesto di scavo da cui provengono due dei tre bolli calactini è stato datato intorno alla metà del I secolo. Nell’OCK il bollo di Cn. Domitius è datato successivamente al 30 d.C. sebbene gli stampigli circolari fossero diffusi quasi esclusivamente nella media e tarda età augustea.
La questione di una Sigillata siciliana resta aperta in attesa di più approfondite indagini, anche di tipo archeometrico. L’esperienza di chi scrive acquisita nello studio delle ceramiche tardoellenistiche e altoimperiali nel sito di Calacte spinge a non pervenire a facili conclusioni. La presenza di ceramica a vernice rossa, in buona parte di probabile produzione locale, è talmente elevata e le sue caratteristiche così diversificate che non può non ipotizzarsi in questa parte dell’isola una produzione parallela a quella della Sigillata Italica quantomeno nei primi decenni in cui questa si diffuse in Sicilia. La coppetta sul cui fondo è presente il bollo di Cn. Domitius proveniente da scavi sistematici presenta caratteristiche identiche, sia formali che materiali, con altri esemplari vascolari a vernice rossa, provenienti sia da scavo che da ricognizione, tra cui un’altra coppetta parzialmente conservata in cui non è presente alcun bollo: uguale l’argilla e uguale il tipo di vernice, molto usurata in tutti i casi. Entrambe le coppette, inoltre, si avvicinano a forme analoghe catalogate nel Conspectus ma ne differiscono significativamente, tanto da farle considerare produzioni artigianali autonome. La conclusione sull’argomento non può che essere l’auspicio di studi più approfonditi sulle ceramiche tardoellenistiche e altoimperiali siciliane e una rivisitazione dei materiali provenienti dagli scavi condotti in passato quantomeno nei siti indiziati di avere ospitato pur modeste officine che produssero questo vasellame, a nostro parere ricadenti nella parte centro-settentrionale della Sicilia.
Note
1 Pelagatti 1969-1970.
2 Mandruzzato 1988.
3 Polito 2000.
4 Malfitana 2004.
5 I rinvenimenti di Sigillata sono descritti in Carettoni 1959.
6 Burgio 2008.
7 Da Malfitana 2004. Il bollo n. 10 è riportato in Burgio 2008 (UT 32).
8 Per semplicità riconduciamo il tipo (forma) di bollo alle seguenti categorie principali: rettangolare, circolare, ovale, planta pedis e semilunato. Per semplicità consideriamo rettangolari anche i bolli che si avvicinano alla forma quadrata, di solito usata quando il nome è riportato su due o tre registri.
9 Burgio 2008.
10 Sembra degno di essere menzionato il rinvenimento di una scheggia di selce e di un semilavorato di ossidiana, che suggerisce una frequentazione del sito già in età preistorica.
11 Collura 2016.
12 Lentini, Goransson, Lindhagen 2002; Lindhagen 2006; Bonanno 2008.
13 Bonanno 1993-1994 e 1997-1998; Lentini, Goransson, Lindhagen 2002; Lindhagen 2006.
14 Collura 2016.
15 Cascella, Collura 2016.
16 Da n. 1 a n. 26: Cascella, Collura 2016.
17 Sporadico da c.da Pantano a Marina di Caronia (Collura 2016, Tav. XIV).
18 Da n. 28 a n. 30: Bonanno 2008.
19 Da n. 31 a n. 33: Lentini, Goransson, Lindhagen 2002.
20 Lindhagen 2006
21 Proveniente dagli scavi 1992 in contrada Telegrafo a Caronia. Inedito.
22 Da n. 36 in poi: rinvenimenti sporadici inediti.
23 Le forme maggiormente attestate di Africana A sono Hayes 2 e Lamboglia 1a-b, diffuse la prima dal 90 al 150 d.C. e le seconde nel corso del II secolo d.C.
24 Collura, Cascella 2016.
25 In Bonanno 2009: 3 frammenti nel “Saggio A”, 2 nel “Saggio B” e 17 nel “Saggio E” (pag. 53).
26 Un sintetico resoconto è contenuto in Bonanno 2009.
27 Bonanno 2000 e Bonanno, Arcifa 2009.
28 Il bollo Philo è stato riferito dagli archeologi che hanno condotto gli scavi probabilmente a Philositus Titi di Arezzo o alla sua bottega e in uno dei due esemplari presenta PH legati. Tuttavia, di solito il bollo di L. Titius Philositus (OCK 2230) presenta due registri: PHILOS(I)/LTITI, diverso da quello citato nell’edizione.
29 Brea, Cavalier 1965.
30 Da n. 1 a n. 6: Malfitana 2004 (da Mandruzzato 1988).
31 Da n. 7 a n. 33: Tyndaris 1.
32 Lamboglia 1959.
33 Collura 2017.
34 I materiali presenti nel soprassuolo comprendono anche tessere di mosaico e lastrine marmoree, che fanno presumere l’esistenza di un complesso residenziale di lusso.
35 Le notizie qui fornite sono tratte da Farinella c.d.s.
36 Sic in Farinella c.d.s.
37 Proveniente da Monte Alburchia.
38 Da n. 2 a n. 5: provenienti da Gangi Vecchio ed esposti presso il Museo Civico di Gangi.
39 Militello 1961.
40 Polito 2000, p. 78.
41 Scibona 1980.
42 Polito 2000, pp. 78-79.
43 Cascella, Collura 2016.
44 Tyndaris 1.
45 Polito 2000 e 2010.
46 Polito 2009.
47 Va osservato che Cn. Ateius ebbe numerosi lavoranti che produssero aggiungendo il proprio nome a quello principale, per cui abbiamo, ad esempio, Cn. Ateius Mahes, Cn. Ateius Arretinus, Cn. Ateius Chrestus, ecc.
48 Mandruzzato 1988, p. 442 e ss.
49 Lamboglia 1959.
50 Il bollo “Cn. Domiti” è catalogato nell’OCK al n. 748. L’esemplare da Morgantina è presente su un piatto di forma Conspectus 20.4, quello di Halaesa su una coppetta.
51 Kenrick 1985.
52 In un recente lavoro, McKenzie-Clark usa il termine “vesuvian sigillata” per definire la Sigillata prodotta nell’area vesuviana, compresa la Produzione A della Baia di Napoli.
53 In particolare sono state confrontate le caratteristiche di alcuni frammenti da Monte Iato con quelle della Produzione A della Baia di Napoli, risultando identiche. Cfr. Soricelli 1994.
54 Scibona 1987.
55 Spadea 1987.
56 Bonanno 1993-1994.
Draft – Preprint 6-2019
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