“Peppa ‘a cannunera”, da Barcellona Pozzo di Gotto un’eroina siciliana del Risorgimento italiano.
di Michele Manfredi-Gigliotti
I fatti che ci accingiamo a narrare si riferiscono ai tempi del Risorgimento italiano; il teatro in cui essi sono avvenuti è rappresentato dalla Sicilia e, precisamente, da due sue località, di cui la prima è Barcellona Pozzo di Gotto, compresa oggi nell’ambito della Città metropolitana di Messina, e la seconda è la città più importante posta nella zona pedemontana dell’Etna, ossia Catania.
Nella città del Longano veniva alla luce una bambina alla quale la sorte aveva assegnato un destino particolare, tutt’altro che normale.
La Penisola era tutta pervasa da fremiti insurrezionali, irredentisti e unionistici, variamente interessanti le regioni già unificate e quelle ancora da liberare dai regimi forti e autoritari dei Borboni e del Papato che anelavano ad unirsi al tessuto politico dell’edificando Stato italiano.
In questo clima, che interessava ovviamente anche l’Isola di Sicilia quale parte integrante del Regnum ustriusque Siciliae, il giorno 19 marzo 1841 nasceva la bambina alla quale sopra si è accennato e subito fu chiaro che la sua vita non sarebbe stata del tutto agevole, soprattutto per lei. Infatti, appena venuta alla luce, la bimba venne dai genitori abbandonata e consegnata alla misericordia altrui mediante la collocazione nella cosiddetta Rota dei proietti o degli esposti, tanto che al momento della registrazione anagrafica il riferimento parentale venne dichiarato e ritenuto quale progenie di N.N. (Nescio Nomen). I suoi genitori non vennero giammai individuati. Per tale suo status, ella divenne destinataria dell’eccezionale ritualità normativa dei proietti o esposti o trovatelli, come risulta nell’atto di nascita del comune di Barcellona Pozzo di Gotto n. 121 dell’anno 1841, giorno 19 del mese di marzo.
Erano le ore 23, quando dinanzi al signor Giovanni Crisafulli, intervenuto nella vicenda nella dichiarata sua qualità di sindaco e ufficiale dello stato civile del comune di Barcellona Pozzo di Gotto, distretto di Castroreale, provincia di Messina, è comparsa Carmela Alosi di anni 54, domiciliata in quel comune, svolgente la professione, così qualificatasi, di ricevitrice di proietti (1), la quale recava con sé un esserino umano neonato, avvolto in miserevoli straccetti, di sesso femminile (come ha certificato, dopo essersene accertato de visu, il sindaco e ufficiale dello stato civile del comune, Crisafulli) e dichiarava di averla rinvenuta poco tempo prima abbandonata nella Rota degli Esposti o Proietti (2) e, quindi, era da ritenersi quale progenie di genitori ignoti. Ricevuta tale dichiarazione, Crisafulli, in applicazione della normativa vigente, disponeva che la neonata venisse affidata per la nutrizione a Santa Munafò di anni 25, di professione contadina, barcellonese di domicilio. Disponeva, altresì, che la neonata venisse annotata nell’elenco anagrafico degli esposti con il nome di Giuseppina Calcagno.
Prendendo l’abbrivo dalla sopra riportata attribuzione onomastica della neonata si ingenera il primo dilemma ancora irrisolto. Mentre nessuna incertezza deriva dal nome di battesimo, Giuseppina o Giuseppa, in quanto esso può benissimo spiegarsi tramite la coincidenza temporale della nascita con la ricorrenza della festa di San Giuseppe (19 marzo), al contrario non si è riusciti a comprendere la ragione per la quale venne scelto il cognome di Calcagno.
La maggior parte degli storici che si sono interessati della vicenda ritengono che il cognome fosse derivato da quello della persona a cui la bambina venne affidata.
Questa spiegazione, tuttavia, non regge in quanto il sindaco e ufficiale dello stato civile, seduta stante, affidò la neonata, per la nutrizione, a Santa Munafò, la quale risulta coniugata con Giorgio Bolognani anch’egli barcellonese. Di conseguenza, come si vedrà meglio più avanti, la spiegazione non trova una base logica su cui poggiare: Calcagno rappresenta un patronimico che non trova una collocazione interferente in questa vicenda, nella quale, infatti, non compare alcuna persona con tale cognome che, intersecata la vita di Giuseppina, possa giustificarne il riferimento a tale sua denominazione onomastica.
Se ci riferiamo alle origini dei cognomi in genere e, in particolare, di quelli dei trovatelli, (3) ci accorgiamo come essi derivino, con appostazioni statistiche prevalenti, per la prima categoria, da mestieri e professioni, ma anche da particolari fisici, mentre per la seconda categoria appare prevalente il riferimento alle origini ignote (tanto per citarne alcuni, Proietti, Spurio, Incerti, Essignoti [ex ignotis], Diotallevi, Diotiguardi). Orbene, che a Giuseppina sia stato attribuito il cognome di Calcagno potrebbe essere derivato da qualche sua particolarità fisica relativa al tallone, della quale tuttavia non si ha contezza storica. L’ipotesi testé prospettata sembra essere avvalorata dalla circostanza per cui solo successivamente, al primitivo patronimico di Calcagno, fu aggiunto l’altro di Bolognani o Bolognara (le fonti pervenuteci li tramandano entrambi e, a volte, in modo alternativo, ora l’uno, ora l’altro), anche se è evidente che Bolognara è errato e ciò in quanto, così come riporta il compianto Nello Cassata (Storia di Barcellona Pozzo di Gotto, voll. I, II, III, Ila-Palma, Palermo 1981), Giuseppina venne affidata, come abbiamo già accennato, a Santa Munafò, la quale era coniugata con Giorgio Bolognani. Ma quest’ultimo appare cognome postumo e non originario, ovverosia aggiunto successivamente in obbedienza alla normativa specifica, a quello coevo all’annotazione di nascita. Il problema, quindi, rimane insoluto. Ma quello a cui si è accennato non è la sola ed unica incertezza, in quanto le notizie attinenti alla biografia di Giuseppina sono alquanto sparute, quasi dosate con il contagocce.
Sappiamo, ad esempio, che Giuseppina non aveva ancora raggiunto l’età di quattordici anni quando cominciò a fare la spola come vetturina, dapprima tra Barcellona Pozzo di Gotto e Messina e, successivamente, tra il comune del Longano e, addirittura, Catania. Non si hanno, tuttavia, notizie certe di tali spostamenti quasi giornalieri, né si conoscono le motivazioni che li determinarono. Si presume, con un minimo di logica empirica, che tramite tali spostamenti ella guadagnasse il minimo vitale per potere andare avanti lei e la famiglia affidataria.
Anche sotto tale ultimo aspetto, mentre potrebbe non sorprendere la spola tra Barcellona Pozzo di Gotto e Messina, diventa assolutamente inspiegabile quella con Catania. Sembrerebbe che Giuseppina, in occasione di uno dei suoi viaggi a Catania, si sia innamorata di un giovane di nome Vanni, del quale si sconosce tutto, persino il cognome, tranne che svolgeva la professione di stalliere. Essendo più giovane di lei, Giuseppina, per tale convivenza more uxorio, fu destinataria dei pettegolezzi e della conseguente disistima sociali, da cui, per la verità, non fu contrariata in modo particolare, stante la sua natura decisamente anticonformista.
Sembrerebbe, anche, che fu proprio questo giovane catanese ad inculcarle i primi rudimenti patriottici di uguaglianza, libertà, giustizia e, come naturale conseguenza, un vero e proprio odio contro l’oppressore borbone.
Riportiamo da Nello Cassata (cit.):
Era il 28 gennaio del 1860 quando la fanciulla intraprese per Catania l’ultimo viaggio ed ivi doveva intrattenersi sino al giorno che l’avrebbe resa famosa anche fuori d’Italia. Era quello un momento cruciale per Catania, che attraversava un periodo di incessante fermento rivoluzionario. A cominciare dal 7 gennaio vi erano state manifestazioni popolari antiborboniche. Si erano ripetute il 5 e il 15 febbraio. Quindi il 7 aprile, a tre giorni di distanza dalla eroica insurrezione palermitana della Grancia … Non si sa di preciso che attività abbia svolto Giuseppina nel periodo che va dal gennaio al maggio di quell’anno.
Aggiungiamo di nostro che quando Giuseppina decise di rimanere nella città etnea, ella contava appena quattordici anni e per potere sostentarsi aveva intrapreso il mestiere di lavandaia. Alcune fonti sostengono che aveva anche esercitato i mestieri di stalliera e postina. In poche parole, era una che non si arrendeva tanto facilmente di fronte alle avversità della vita.
Sembrerebbe, anche, che, oltre ai mestieri, per così dire, ufficiali, ella in quel periodo abbia svolto attività spionistica a favore dei rivoluzionari, in quanto risulta da varie fonti, soprattutto orali, che fosse riuscita a penetrare, con lo scopo precipuo di carpire notizie a beneficio dei patrioti locali, tra i ranghi dell’esercito borbonico in qualità di vivandiera tuttofare. Senonché, caduta in sospetto della polizia borbonica, venne arrestata e condotta dinanzi al generale Tommaso Clary, il quale, avuta conferma della fondatezza dei sospetti, la fece rinchiudere in carcere.
Si sconosce la durata della detenzione. Si sa, però, che Giuseppina, durante il tempo in cui venne privata della libertà personale, ad un certo momento, del tutto insofferente per tale privazione, chiede di conferire con il generale Clary, al quale offre la sua collaborazione finalizzata a fargli conoscere i piani e le strategie dei rivoltosi. Alla profferta di Giuseppina, il generale appare indeciso e titubante, non avendo la certezza che potesse fidarsi della donna. Decide, tuttavia, di accettare la sua collaborazione soprattutto per metterla alla prova. Ordina, quindi, la sua scarcerazione e le affida alcuni precisi compiti spionistici dai risultati dei quali il generale avrebbe avuto la prova del nove della lealtà o meno di Giuseppina nei suoi confronti. Così, Giuseppina riceve l’ordine di ritornare in mezzo ai rivoltosi, con la raccomandazione di fingere di manifestare l’antico ardore patriottico e, facendo credere di essere ancora dalla loro parte, dovrà fare in modo di concentrarli tutti in uno stesso punto della città in modo da consentire al comando delle truppe borboniche la loro cattura simultanea.
I fatti storici relativi al periodo trattato (si è nel mese di maggio 1860) non consentirono al generale Clary di vedere l’epilogo del suo piano. Infatti, il giorno 29 del mese di maggio, la notizia che Garibaldi era sbarcato con i suoi Mille a Marsala, volò come un’ ondata piroclastica coprendo il cielo dell’intera Sicilia, da un capo all’altro dell’Isola, facendo in modo che moltissimi paesi insorgessero in armi, e giungendo in un battibaleno sino alla città etnea, dove i patrioti catanesi non aspettavano altro che cancellare il fastidioso ricordo dei due falliti tentativi di insurrezione effettuati nei giorni 8 e 10 aprile e, non avendo a disposizione le armi per potere affrontare in campo aperto i duemila militari della guarnigione del Clary che presidiavano la città, preferirono abbandonare Catania dirigendosi verso Adrano, dove avevano l’intenzione di organizzare la rivolta unendosi ai picciotti del colonnello Giuseppe Poulet (4).
Da Adrano si spostarono a Mascalucia che registrava la presenza di altri patrioti guidati dall’avvocato Martino Speciale, mentre è proprio calendabile a quel momento l’insediamento ufficiale di un comitato insurrezionale con a capo il marchese Domenico Bonaccorsi Casalotto e il principe Gioacchino Biscari.
Confortato dalle notizie provenienti da Palermo, dove nel frattempo era giunto Garibaldi, accolto dalla popolazione in maniera a dir poco entusiastica, il comitato insurrezionale decide di rompere gli indugi e di entrare in azione.
Era l’alba del 31 maggio 1860, quando, preannunciati dal suono delle campane di tutte le chiese, i patrioti catanesi scesero in campo al grido di “Unità e Libertà”.
Lo scontro tra rivoltosi e truppe borboniche iniziò ai Quattro Canti di città, con violenza inaudita. A partire da queste prime schermaglie fu evidente immediatamente la disparità di uomini e di mezzi tra i due opposti schieramenti. Gli insorti avevano a disposizione pochissime armi, per giunta non idonee alla guerriglia urbana in quanto inadatte ad affrontare quelle militari dell’esercito borbonico del generale Clary. Anche le munizioni erano scarsissime e, in prevalenza, di tipo venatorio. A ciò va necessariamente aggiunto che, al contrario di quella frontestante, la schiera rivoluzionaria non possedeva alcun tipo di addestramento né tattico, né strategico per cui la disparità energetica militare finiva con l’essere abissale.
Dalla loro parte gli insorti potevano fare affidamento soltanto sul loro impeto e sul loro notorio e naturale ardore insulare, nonché, e vedremo che non fu cosa da poco, sul coraggio, sulla determinazione e sulla intraprendenza intuitiva di una ragazzina di diciannove anni, Giuseppina Calcagno Bolognani, che, da quel momento in avanti, divenne per tutti “Peppa ‘a cannunera“.
Peppa, infatti, non appena sentì aria di insurrezione, non ci pensò due volte e corse ad unirsi alla schiera degli insorti.
Intanto, a scimmiottatura numerica del contingente garibaldino sbarcato a Marsala, all’incirca mille rivoltosi provenienti da Mascalucia, tra cui si contavano i fuorusciti da Catania, raggiunsero Porta Aci. Gli insorti avevano a disposizione un solo cannone che essi avevano occultato nelle pertinenze di casa Dottore, precisamente in un pozzo, sin dal 6 aprile 1849. Il pezzo di artiglieria venne tirato fuori dal locale ipogeo e, tramite un carretto siciliano, venne portato sino all’Ogninella e occultato nell’atrio del palazzo Tornabene, ossia alle spalle dei Borbonici. Chiuso il portone del palazzo, nessuno avrebbe potuto immaginare che dietro a quell’entrata di una elegante casa di abitazione fosse piazzato un pezzo di artiglieria. I Borboni non avevano alcun sospetto, anche perché, sembra oramai accertato, la cavalleria borbonica stava dirigendosi verso l’Ogninella proprio dietro una inverosimile e fantasiosa soffiata di Giuseppina, delegata dal generale Clary quale sua informatrice.
Quando la cavalleria venne avvistata in lontananza, fu a questo punto che Peppa venne fuori dal palazzo Tornabene e fece ai soldati borbonici, che erano in attesa nel piano di Sant’Agata, il segnale convenuto con il generale Clary, di avanzare per catturare i rivoltosi. A tale segnale, la truppa si mosse. Peppa rimase in attesa che la distanza fosse quella ideale per aprire il fuoco e quando reputò che fosse giunto il momento, ordinò di spalancare repentinamente il portone del palazzo Tornabene e fece fuoco con il cannone ad alzo zero.
I cavalleggeri borbonici, colti inaspettatamente di sorpresa, caddero a decine. I superstiti, presi dal panico e non potendo valutare lì per lì la vera consistenza del nemico si diedero a precipitosa fuga, dirigendosi, attraverso le vie della Loggetta e Mancini, alle barricate che erano state erette tra l’Università e il Municipio, abbandonando sul luogo dell’imboscata un pezzo di artiglieria.
Gli insorti, più che altro sorpresi per l’inaspettato esito dell’imboscata e per il fatto che quella prima conclusione a loro favorevole fosse ascrivibile ad una adolescente di appena diciannove anni, si precipitarono sull’affusto abbandonato dal nemico allo scopo di impadronirsene per impiegarlo contro di esso, ma vennero subito fermati dai ripetuti tiri di archibugi dei cecchini nemici che erano appostati defilati dalla loro vista. Dissuasi, tornarono sui loro passi. Dopo un breve intervallo di riflessione, tentarono nuovamente di impadronirsi del cannone, ma senza alcun risultato utile. A questo punto, intervenne la lucida e duttile intraprendenza di Peppa, la quale, valutata la situazione nel suo complesso, si fece portare dai suoi compagni d’avventura una fune e, dopo avere praticato alla stessa un nodo scorsoio a guisa di un lazo, quasi fosse un’arma da getto dei gauchos argentini e uruguaiani, lanciò l’attrezzo verso il cannone, rimanendo sempre nella sua posizione riparata e protetta dal fuoco nemico. Quando il lazo riuscì ad avvinghiarsi attorno all’affusto, fu agevole, aiutata dagli altri, tirare il cannone a sé ed impadronirsene.
L’episodio testé riportato, tramandato dagli storici che si sono occupati del problema con minime variazioni che, in ogni caso, non intaccano la sostanza espositiva, non fu l’unico atto eroico della giornata.
Infatti, lo storico Vincenzo Finocchiaro (Un decennio di cospirazione in Catania, 1850-1860) ha effettuato la seguente, altra ricostruzione storica di un ulteriore episodio eroico:
Era già mezzogiorno e gli insorti avevano quasi esaurito le munizioni, sicché il loro attacco incominciò a infiacchire; di ciò si accorse il generale Clary, che cercò con una carica di cavalleria per la via del Corso di aggirare i suoi avversari sulla destra. Proprio in quel momento un gruppo di insorti, con alla testa Giuseppa Bolognani, sboccava in piazza San Placido dalla cantonata di casa Mazza, trascinando il cannone guadagnato ai borbonici, per cercare di condurlo sul parterre di casa Biscari e da lì potere lanciare qualche palla contro la nave da guerra che già bombardava la città. Appena però quei popolani sboccarono sulla via del Corso, videro in fondo a piazza Duomo due squadroni di lancieri che si apprestavano alla carica. temendo di essere presi scaricarono all’improvviso i loro fucili, abbandonando il cannone già carico; ma Giuseppa Bolognani restò impavida al suo posto e con grande sangue freddo improvvisò uno stratagemma dando nuova prova del suo meraviglioso coraggio. Sparse della polvere sulla volata del cannone e attese tranquilla che la cavalleria caricasse; appena gli squadroni si mossero, essa diede fuoco alla polvere e i cavalieri borbonici credettero il colpo avesse fatto <<cilecca>>.
In seguito a tale episodio, vi fu un momento di stasi da parte di entrambi i fronti. I Borboni erano ancora sconvolti per via delle perdite subite a seguito dell’agguato di palazzo Tornabene, mentre gli insorti attendevano l’arrivo dei rinforzi promessi da Nicola Fabrizi (5) che però tardavano ad arrivare.
Tenendo presenti le forze in campo assolutamente impari per numero di uomini e strumenti bellici impiegati, nonché la particolare situazione dei luoghi, dalla quale i soldati borbonici risultavano avvantaggiati, l’opinione comune propende per ritenere che questa volta la manovra di aggiramento effettuata dalla cavalleria borbonica avrebbe avuto esito favorevole e gli insorti sarebbero stati presi proprio sul fianco destro che era quello meno guarnito, se la prontezza di spirito di una giovane adolescente di appena diciannove anni, cresciuta ad una scuola di stenti e privazioni, sin dalla nascita orfana di fatto di padre e di madre, educata naturalmente, in maniera autodidatta, a trovare una sua soluzione per ogni ostacolo che la vita aveva frapposto sul suo cammino, non avesse avuto quella brillantissima idea di far credere ai cavalieri borbonici che il cannone fosse scarico.
Fu un colpo d’occhio e Peppa ‘a cannunera impresse nella mente il quadro panoramico della situazione. Quando i due squadroni di lancieri borbonici stavano apprestandosi ad effettuare la carica, Peppa, coadiuvata dagli altri, trascinò il pezzo d’artiglieria sottratto al nemico sistemandolo nel giardinetto interno di palazzo Biscari. I suoi compagni si posero in salvo, ma Peppa restò accanto al suo cannone e qui mise in atto la sua fervente genialità. Capì che era necessario attirare la cavalleria allo scoperto verso il punto in cui aveva piazzato il cannone. Fu così che, pur non avendo mai ricevuto una didattica di tatticismo e strategia bellici, attuò la sua idea, cospargendo la bocca del cannone di polvere pirica, alla quale contemporaneamente appiccava il fuoco. La fiammata che ne seguì venne interpretata dai Borboni, secondo la stessa, speranzosa previsione di Peppa ‘a cannunera, come un colpo senza gittata in dipendenza ed a causa di una cilecca del pezzo di artiglieria. Questo provocò la immediata reazione dei Borboni, i quali, ritenendo di cogliere gli insorti di sorpresa, prima che riuscissero a ricaricare il pezzo, fecero partire la carica dei due squadroni di lancieri verso la postazione nemica.
Questo era proprio quello che Peppa si augurava che facessero!
Quando ritenne che la distanza fosse quella giusta, Peppa, questa volta, sparò davvero una cannonata che fece una vera e propria strage di cavalieri.
Malgrado il valore, l’abnegazione e la prontezza di spirito profusi da Peppa, la giornata si concluse non apportando alla causa dei rivoluzionari alcun esito positivo, tanto più che il colonnello Poulet fu ferito e fu costretto ad ordinare, dopo circa sette ore di combattimenti per le vie di Catania, la ritirata. Durante gli scontri, perse la vita, Vanni, il giovane convivente di Peppa, la quale sentì profondamente la sua perdita, tanto che, ad unificazione avvenuta, cominciò a darsi all’alcool, frequentando bettole malfamate, giocando a carte, dedicandosi al tabagismo e, a quanto pare, cadendo nelle grinfie di usurai. Finì con il vestire in maniera trasandata, anzi non indossò mai più abiti femminili, preferendo un paio di pantaloni, sempre lo stesso, giorno per giorno, per tutti i dodici mesi dell’anno.
I Borboni e il loro comandante, generale Clary, non poterono in ogni caso gioire del successo. Infatti, avuta notizia che Giuseppe Garibaldi era oramai vicino a Messina, precisamente a Milazzo, ed era molto probabile che avrebbe potuto puntare su Catania, ove ve ne fosse stata necessità, Tommaso Clary preferì evitare lo scontro e lasciare la città etnea.
Le gesta compiute da Peppa ‘a cannunera ebbero una certa risonanza non solo per i media della penisola, ma anche per la carta stampata estera, come, ad esempio per il quotidiano francese L’illustration, Journal Universal de Paris che, nell’edizione del 7 luglio 1860, tramite l’articolo titolato L’Heroine de Catane, si sofferma con encomiastica ammirazione sull’eroina siciliana, la cui coraggiosa impresa induce l’articolista all’evocazione di figure leggendarie e mitologiche di donne guerriere, come Clorinda di Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso e Bradamante di Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (da Nello Cassata, op. cit.):
On sait que Catane a été dans ces derniers temps le théatre d’une lutte sanglant entre les troupes napolitaines et les habitant. Or on nous a envoyé de Sicile le portrait d’une femme; Josephine de Barcelone, qui s’est comportée comme une Clorinde et une Bradamante; aprés s’étre battue à l’arme blanche pendant une partie de la journée, elle parvint à s’emparer d’une piece de canon et la servit avec adresse mitraillant l’ennemi. Cette fille martiale est connue aujourd’hui sous le nom d’Heroine de Sicile.
Una volta scacciati i Borboni da Catania, Peppa non solo rimase assieme ai rivoluzionari, per i quali, era diventata una vera e propria virago (alla maschia Giaele, l’avrebbe paragonata Alessandro Manzoni), svolgendo le mansioni di vivandiera, quanto partecipò attivamente alla battaglia per la liberazione di Siracusa che era rimasta sotto i Borboni.
Realizzata l’Unità d’Italia, Giuseppina Calcagno Bolognani fu decorata, per meriti di guerra, con la concessione da parte dello Stato italiano della medaglia d’argento al valore militare, divenendo titolare, allo stesso tempo, di una pensione di 9 ducati mensili, di cui godette soltanto per due anni consecutivi a far tempo dal giorno della concessione; poi, opinando che non vi fosse più bisogno di lei, qualcuno pensò bene di revocargliela. Il comune di Catania, riconoscente per quanto ella aveva fatto, le attribuì un conguaglio, una tantum, di 216 ducati, intestandole anche una via cittadina per ricordare ai posteri la sua impresa. Impressa sulla targa toponomastica, è tuttora possibile leggere la seguente scritta: “VIA PEPPA LA CANNONIERA – (Eroina del 1860)”. Contemporaneamente la città etnea ha curato l’ esposizione al Museo Civico di quel cannone che fu strumento e testimone del suo intrepido coraggio. Anche Barcellona Pozzo di Gotto, la città in cui Peppa ebbe i natali, ha inteso ricordarla erigendole una stele commemorativa.
Sconosciamo la data nella quale Giuseppina Calcagno Bolognani, detta Peppa ‘a cannunera, lasciò per sempre questo mondo. Alcuni storici sostengono che fosse l’anno 1900, mentre altri pensano al 1876, che risulta essere l’anno in cui si perse, realmente, ogni traccia della sua esistenza.
In conclusione, possiamo affermare che siamo rimasti affascinati dalla intelligenza intuitiva (appercettiva, secondo il linguaggio filosofico di Emanuele Kant) di Giuseppina Calcagno Bolognani, la quale agiva come se, per ogni frangente eccezionale che le si presentasse, avesse già pronta la soluzione nella tasca: non doveva fare altro che tirarla fuori e applicarla alla realtà esterna.
Basti pensare che sino al 31 maggio 1860, in cui gli accadimenti insurrezionali di Catania, la misero violentemente alla prova, Giuseppina non aveva mai visto un’arma da fuoco portatile (figuriamoci un cannone!) e per questo non ne aveva mai usata una. Peppa ‘a cannunera, da sola e senza alcuna esperienza precedente, dimostrò una competenza di combattimento talmente efficace e risolutiva come se fosse la veterana di una squadra di esperti guastatori e avesse alle spalle anni ed anni di azioni da commando in territori nemici.
Che oggi non sia ricordata nelle scuole, che sono le officine dove vengono costruite le strutture architettoniche dell’amore verso la propria Patria delle generazioni che sono destinate a darci il cambio, rappresenta qualcosa di estrema inciviltà ed ingratitudine.
Non posso fare altro che augurarmi che questo pezzo venga letto dal maggior numero possibile di giovani, precisando che questo augurio non è per la mia gloria, ma per il loro esclusivo vantaggio.
Note
- (1) La ricevitricedi proietti, più correttamente la piaricevitrice di proietti, era la persona che per prima prelevava il neonato dall’apposita rota, introducendolo all’interno della Casa d’accoglienza. Dopo il ricevimento, la pia ricevitrice si sarebbe interessata per il disbrigo delle pratiche anagrafiche e, inoltre, della collocazione del trovatello presso famiglie disponibili alla accoglienza o, in mancanza, presso il brefotrofio più vicino. La Rota deiProietti, destinata a trasferire i neonati che venivano abbandonati dalla strada all’interno del centro destinato alla loro accoglienza, era (è tuttora) costituita da un cilindro, rotante su se stesso e dotato di una apertura normalmente rivolta all’esterno, la quale, dopo che il cilindro è stato fatto ruotare, si presenta con l’apertura rivolta all’interno consentendo, così, al personale addetto di trasferire il neonato all’interno dell’edificio;
- (2) Uno dei primi esempi di centro predisposto per l’assistenza ai neonati abbandonati era costituito dalla romana Columna lactaria predisposta ad hoc nel Forum holitorium;
- (3) Il grande avvocato arpinate fu chiamato Cicerone a motivo di una grossa verruca che aveva sul naso, mentre Publio Ovidio si vide affibbiata l’ ingiuria di Nasone a causa della pronunciata prominenza del suo naso;
- (4) Il colonnello Giuseppe Poulet si era posto a capo di alcune formazioni indipendentiste, da quando, convertito alla causa unitaria, aveva disertato dall’esercito regio. Per la sua dedizione all’idea di unire gli stati della penisola sotto un unico governo, aveva accettato di ricoprire la carica di ministro della guerra in seno al governo provvisorio siciliano del 1849. La storia annota la sua presenza a Bronte, allorché i fratelli Lombardo si misero alla testa dei rivoltosi al fine di rovesciare l’amministrazione locale di indirizzo e stampo, naturalmente, borbonici. Poulet, tramite i suoi modi diplomatici, era riuscito a sedare i moti senza colpo ferire, ma questo risultato non piacque al console inglese a Catania che, pretendendo misure decisamente più forti e decise, inviò sul posto Nino Bixio che sistemò le cose in modo risolutamente sbrigativo;
- (5)Nicola Fabrizi, nato a Modena nel 1804 e morto a Roma nel 1885, fu un uomo politico e patriota, che per le sue idee indipendentiste, subì la carcerazione assieme ai fratelli, Luigi e Paolo, a causa della partecipazione alla congiura di Ciro Menotti. uando la rivoluzione prese il sopravvento. Quando la rivoluzione ebbe a Modena il sopravvento, fu nominato capitano della Guardia Nazionale. Quando, però, la rivoluzione fu sopraffatta, fu costretto a riparare in Francia, ove aderì alla Giovane Italia. Nell’anno 1849 partecipò alla difesa di Roma. Venne arrestato nel 1862 con l’accusa di avere aiutato Garibaldi. Uscito di prigione, partecipò alle campagne di Garibaldi del 1866 e del 1867. Fu eletto come deputato nella VIII legislatura,
Fonti Scritte
- Jole Calapso, Donne ribelli:un secolo di lotte femminili in Sicilia, 1980;
- Pietro Carollo, Echi del passato-Garibaldi e le donne, Messina 1955;
- Nello Cassata, Storia di Barcellona Pozzo di Gotto, voll. I, II, III, Ila-Palma, Palermo 1981-Pagg. 177-197;
- Elena Doni, Donne del Risorgimento, 2011;
- Antonietta Drago, Donne e amori del Risorgimento, 1960;
- Vincenzo Finocchiaro, Un decennio di cospirazione in Catania, 1850-1860, pag; 89 e segg;
- Giovanna Fiume, Giuseppa Calcagno (Peppa la cannoniera) in Eugenia Roccella, Lucetta Scaraffia (a cura di), Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2004;
- Giuseppe La Farina, Storia d’Italia, Milano 1861;
- Salvatore Lo Presti, Memorie storiche di Catania;
- Filippo Rossitto, La città di Barcellona Pozzo di Gotto, pag. 454 e segg.;
- Raffaele Villari, Cospirazione e rivolta, Messina 1881;
- Archivio storico siciliano, Società siciliana per la storia patria, 1909;
- Archivio storico per la Sicilia orientale, Vol. VI, La Società, 1909;
- L’Illustration, Journal Universal de Paris, edizione del 7 luglio 1860;
- Gazzetta del Sud, edizione del 7 agosto 1959;
- Giornale d’Italia, edizione del 13 agosto 1959;
- Il Borghese, edizione del 9 marzo 1956;
- Giornale di Palermo, edizione del 18 giugno 1860;
- Gazzetta del popolo, edizione dell’11 giugno 1860;
- L’Eco dell’Etna, edizione dell’ 1 giugno 1860.