San Leone Vescovo, protettore di Longi e Sinagra.
di Giuseppe Ingrillì
si ringraziano per la disponibilità e le preziose informazioni, Domenico Orifici e Calogero Castano.
Esistono territori non vicini che reclamano comuni esperienze religiose, tanto da poter essere accostati ad un unico sentimento spirituale ispirato ad un Santo. In provincia di Messina, rimanendo nel territorio d’ambito di questa ricerca, tre comunità, Rometta, Longi e Sinagra si affidano a San Leone, che li accompagna e protegge nel loro cammino di storia. Esiste una quarta città in Calabria presso Saracena (Cs), che citiamo per spirito di completezza. Chi è questo Santo e come si lega a questi territori e queste comunità?
Tralasciando le prime informazioni frammentarie riportate sul vescovo di Catania, che risentono di una certa censura funzionale postuma, il primo a fornire aspetti completi della sua vita è stato il gesuita e storico Ottavio Gaetani in “Vitae Sanctorum Siculorum”. Da esso apprendiamo gli episodi che accompagnarono Leone fin dalla sua nascita a Ravenna nel 710 d.C.. La famiglia, descritta come retta e devota nella fede del Signore, indirizza il figlio agli studi letterati e giuridici, comuni a quel tempo, scontrandosi però con la ferma volontà di Leone di voler studiare le Sacre Scritture, unita ad una crescente vocazione che lo spinse ad abbracciare la chiesa. A soli 23 anni, dopo aver approfondito lo studio della parola di Dio, fu ordinato sacerdote dal vescovo di Ravenna. Divenuto sacerdote e postosi al servizio e alla cura dei bisognosi, la sua missione però si scontra con una mutata percezione del suo animo, che aspirava ad una vita più contemplativa e di solitudine. Questo dilemma interiore lo spinse a ritirarsi in un convento benedettino nelle vicinanze di Ravenna, così da potersi sentire ancor più vicino a Dio. L’esperienza di strada, a contatto con le sofferenze umane, vissuta con la ricerca del dono dell’aiuto e del sollievo alle masse, gli valse il soprannome di “Taumaturgo”, riconoscimento da parte dei tanti sventurati che videro nell’aiuto del prelato un conforto e il segno tangibile di Dio. In convento, la vita ritirata e le lunghe giornate scandite da preghiere e meditazioni, fecero crescere dentro di lui l’assoluta convinzione di diventare strumento del Signore, votandosi nella missione di combattere l’eresia e l’idolatria, contribuendo alla salvezza delle anime. Sempre in convento, apprese che era forte la necessità di andare a combattere in Sicilia la crescente blasfemia, ponendo un freno alle schiere di demoni che i soli sei centri benedettini, fondati da Gregorio Magno, faticavano a contenere. Leone abbandona Ravenna di soppiatto e, senza avvertire nessuno dei familiari, intraprende il viaggio che avrebbe segnato la sua vita. Scendendo lungo la penisola, di passaggio in Calabria, viene affascinato dalle notizie, riportate dai frati, sulle virtù eccezionali del vescovo Cirillo, di come la vita da fervente credente e in odore di santità, fosse d’esempio per l’intera cristianità. Questa luce diventa per Leone un faro che illumina la sua strada verso Dio e, potente, allontana le tenebre e le tentazioni del demonio, tanto da spingerlo ad andare a Reggio per porsi sotto la sua guida spirituale. Cirillo, in lui, vede ardere la fiamma della parola di Dio e lo pone sotto la sua guida; con lo studio e la passione nelle Sacre Scritture, riceve la nomina alla carica di “Arcidiacono”, contribuendo ad infondere un rinnovato vigore nella prosecuzione dell’opera di misericordia nei confronti degli ultimi e dei poveri. Non ci volle molto affinché la sua fama oltrepassasse lo stretto e raggiungesse la Sicilia. La vita intreccia e costruisce percorsi che vanno al di là della volontà dell’uomo, aprendo strade immaginate e poi dimenticate, così, nel 760 d. C. con la morte del vescovo di Catania Sabino, la volontà divina irrompe nella vita di Leone. La nomina del sostituto catanese, tardava ad arrivare, tanto da lasciare la sede vacante e alla mercé del maligno, che tramava oscuri inganni tesi alla conquista dell’ambito trono. La manifesta intromissione, fu respinta dal clero cittadino, con la scelta di indire tre giorni di digiuno e di preghiere per invocare la discesa dello Spirito Santo sui votanti e allontanarne la minaccia. L’illuminazione arrivò così il terzo giorno, con la scelta dell’Arcidiacono Leone alla guida di Catania. Una delegazione, formata da personalità religiose e dai rappresentanti del Senato catanese, si avviò per Reggio, pronta ad offrire la carica al “taumaturgo”, che però ebbe una titubanza- la sua bontà d’animo unita ad una modestia cristiana lo spinsero a rifiutare- era troppo gravoso l’incarico e non si riteneva degno. Ma al contempo, il suo diniego poneva l’anima di Leone davanti ad una scelta, impegnarsi a lottare contro il maligno lì dove c’era bisogno, o arrendersi e cedere strada al nemico combattuto con ore estenuanti di digiuno e preghiera? La fede in Dio e l’anima salda lo spinsero infine ad accettare, tanto che, anche le titubanze furono interpretate come l’ennesima intromissione del Diavolo che temeva la forza cristiana e la santità di Leone. Grande fu la gioia, nel 765, quando fu accolto a Catania, pronto a salire sul trono e diventare il XV vescovo della città di Sant’Agata. L’intera sua mandato cristiano è caratterizzato dalla lotta all’eresia e al demonio tentatore, adesso la sfida è accettata con il suo arrivo a Catania. Al vescovo, il demonio contrappose il mago Eliodoro, personaggio avido dal cuore egoista che si era dannato, offrendo la sua anima in cambio delle conoscenze magiche. Con la sua stregoneria, con l’inganno e il trasformismo turbava la popolazione, dannando anime e combinando sfracelli. Tutta l’esperienza catanese di Leone sarà incentrata nella lotta contro il mago, espressione terrena del maligno, tanto che anche l’imperatore di Costantinopoli, saputo delle trame ordite da Eliodoro, lo convoca per processarlo. Nella figura del male e nella sua iniziazione, possiamo leggere una ideologia eretica di fondo. La stessa figura di Eliodoro, ambizioso e geloso del prossimo, rinnega Cristo per lasciarsi tentare dalle lusinghe di un mago ebreo (figura che incarna il peccato della crocifissione del figlio di Dio) e attraverso un rito notturno (il momento propizio, quando il buio domina la luce e il demonio è quindi più forte) gli appare a cavallo di un cervo il diavolo in persona (il cervo simboleggia ogni credente che va alla ricerca di Dio, l’essere sottomesso dal demonio rappresenta la vittoria del male che domina la fede e l’individuo ). L’atto è compiuto, in cambio della sua totale devozione e obbedienza Eliodoro avrà tutto il potere che desiderava e la compagnia di Gaspare, una satanica creatura che doveva aiutarlo nelle sue stregonerie, ma che non viene più menzionato nei racconti stranamente. Lo scontro finale si compì durante la celebrazione della messa officiata dal vescovo Leone e che vide la presenza, come molestatore e sfidante, anche di Eliodoro che con animaleschi versi distraeva i fedeli dalla funzione. Raccoltosi in preghiera, Leone si avvicinò al mago esorcizzandolo con frasi inneggianti alla gloria di Dio e circondatogli il collo con la sua stola, lo trascinò in un luogo chiamato “l’Achilleo” dove, dentro una fornace lo bruciò “tenendolo con mano salda nel fuoco”. Il miracolo era avvenuto, la fede in Dio aveva scacciato e purificato nelle fiamme l’immondo demone, la città di Catania era
stata liberata dal male. San Leone, protetto dalla fede uscì illeso dalla prova. Adesso bisognava andare alla radice del male, trovare il luogo pagano, il tempio maledetto e distruggerlo. Con l’aiuto della popolazione in processione per le vie di Catania, in religioso raccoglimento, si arrivò davanti al luogo malvagio, il centro del male, l’oscuro tempio dove albergano i seguaci del demonio. Con la devozione in Dio, e con la forza che scaturisce dalla sua parola, alzata la mano e tracciato il segno della croce, il tempio crollò. Il vescovo con animo ricolmo di gioia, piantò una croce sulle macerie fumanti affermando la potenza di Dio e la vittoria della luce sulle tenebre. La fine della lotta però, lasciò nell’animo del vescovo, la voglia di ritirarsi in preghiera nel convento fatto costruire fuori la “Porta di Aci”. Un momento di raccoglimento e di preghiera che durerà poco; le sue gesta arrivate all’orecchio dell’imperatore, lo costringono a fare vela verso Costantinopoli. L’imperatore lo chiama a corte, vuole conoscere quel Santo di cui tutti parlano e rendersi conto di persona della sua fede in Dio. Ed è in conseguenza del viaggio che il ritorno in Sicilia si trasforma in quella peregrinazione che lo porterà a fermarsi nei pressi di Rometta, in una grotta sotto la collina, che oggi è chiamata la collina di S. Leone. La scelta dell’eremitaggio, è comune alle esperienze ascetiche dei monaci basiliani, che riconosciuti e venerati in esperienze isolate in Sicilia, pone l’interrogativo dell’emulazione del racconto. Sembra che qui la storia si confonda con tutto il movimento anacoreta, costruendo un S. Leone vicino all’esperienza di santità “conosciuta”, che lo avvicinerà alla fine della sua vita alla santità “acclamata”. Non abbiamo altre informazione, il suo approssimarsi alla morte, da lui predetta per il 20 febbraio del 785, lo fa ritornare a Catania. Il giorno designato spirò e fu seppellito nella chiesa di S. Lucia da lui fatta costruire e sicuro rifugio per le sue meditazioni. La manifestazione della santità di S. Leone avviene già nel sepolcro, da dove cominciò a scaturire un olio miracoloso, capace di guarire ogni male. Stesso miracolo ma con un liquido ben diverso, avviene nella grotta in cui visse presso Rometta, una fonte di acqua purissima cominciò a sgorgare e risanare quanti giungevano per alleviare le proprie ferite. Nel 1222 vicino alla grotta sorse una chiesa dedicata al Santo con annesso convento, riconosciuto con bolla pontificia da Papa Clemente VII nel 1534. La sua santità fu per acclamazione dalla popolazione di Catania, così com’era costume all’epoca e confermata successivamente dal papato. Con l’invasione musulmana, le sacre reliquie furono sottratte alla furia delle profanazioni dal Generale Giorgio Maniace e trasferite a Costantinopoli. Da lì riportate a Roma nella chiesa di S. Martino ai Monti e confuse insieme alle ossa di altri Santi. Il percorso che lega il Santo a Longi e Sinagra è alquanto complesso, vuoi per la datazione nella storia, vuoi per la quasi mancanza di riferimenti diretti con le due comunità.
Il suo legame con Longi è datato sicuramente a partire dal 1408, anno in cui è riportata in un documento di proprietà la presenza di una reliquia attribuita al Santo; gli innumerevoli miracoli avvenuti su Longi, ne determinano l’assoluta fede e la venerazione nella città. Ricca testimonianza sono le tante edicole votive innalzate sui luoghi dove il Santo ha dispensato miracoli. Certo è che dalla morte nel 785 alla prima testimonianza del 1408 intercorre un gran lasso di tempo. Potrebbe tornare utile alla comprensione del culto il possibile approdo attraverso il percorso della transumanza o gli scambi agricoli con la città e la piana di Catania e il conseguente spostamento di popolazioni o diritti di proprietà da signori feudali, è utile ricordare come poco discosta, più in alto, passasse un’importante via di comunicazione che metteva in contatto la piana di Catania con importanti realtà come S. Marco d’Alunzio e S. Filippo di Fragalà. Ed è proprio a quest’ultima che possiamo rifarci, tenendo in considerazione l’arrivo di monaci benedettini, che stanziatisi nelle vicinanze ne abbiamo tramandato la memoria, tanto da far cambiare la devozione originale da S. Michele Arcangelo, in S. Leone, interpretando così, l’arrivo del culto del santo benedettino Leone, come un’eco proveniente dalla vicina abazia di S. Filippo di Fragalà che su questi territori esercitava il diritto di proprietà, quest’ultima ipotesi sembra la più attendibile per il culto longese. La festività del Santo accompagna la ritualità dell’anno a Longi: il 20 febbraio si ricorda l’anniversario della sua morte, mentre per il 1°maggio si festeggia come intercessione per propiziare buoni raccolti, scongiurare la siccità e come gratitudine per le grazie ricevute – tutti momenti che caratterizzano il legame con la terra – come è giusto che sia – in un’economia prevalentemente contadina. Altro appuntamento è il 23 agosto momento in cui la vara di S. Leone si accompagna al SS. Crocifisso, dalle informazioni riscontrate la festività cadeva in passato la prima domenica di settembre, ma l’emigrazione massiccia e il conseguente ritorno solo nel periodo agostano dei tanti emigranti, spinsero la parrocchia ed il comitato ad anticipare la processione. I tre appuntamenti vengono vissuti in maniera differente, quello di agosto si caratterizza come momento solenne di allegria e festività, tanto da far convivere nella stessa processione il crocifisso e il santo, gli altri due festeggiamenti sono quelli più religiosi, con più sacralità e con la sentita partecipazione dei fedeli devoti in religioso raccoglimento. All’interno della processione notiamo la presenza costante, in chiave apotropaica, della spiga di grano, sia come decoro sulla vara, sia come vera e propria figura realizzata, grazie alla paziente arte dell’intreccio, dai contadini. Queste vengono offerte ai tanti fedeli. Siamo riusciti a vederne uno, apprezzandone la singolare forma; ad una prima lettura si coglie l’associazione con l’albero della vita, dall’asse centrale si ramificano in maniera simmetrica tre bracci per ogni lato, sei, a cui si aggiunge la spiga in alto, sette. Incominciamo a familiarizzare con una certa rappresentazione numerica esoterica. Sette è il numero dei giorni della settimana e il settimo è il numero di Dio e ne rappresenta la pienezza, l’abbondanza che in questo caso rappresenta il raccolto. L’asse centrale con il coronamento diventa così l’Axis Mundi, l’asse che sostiene il mondo, il collegamento tra il mondo umano e il mondo divino. Possiamo ancora coglierne nell’asse centrale il seme che piantato nella terra, diventa spiga elevandosi verso il cielo, tendendo così ad innalzarsi verso l’altissimo. E’ complessa la simbologia del numero sette e non vogliamo appesantirla troppo ma riferirla soltanto al culto di S. Leone. Nella rappresentazione del grano vediamo il rimando al culto di Demetra prima e Cerere poi, legate alla maternità della Terra e della fertilità, nume tutelari dei raccolti, dee della nascita perché tutti i fiori e la frutta erano ritenuti loro doni. In una comunità agro-pastorale come quella di Longi, posta su direttrici di penetrazioni montane, tali manifestazioni non possono stupirci. Continuando nella coreografia sacra della processione, le donne per fioretto seguivano mute la vara, e nella memoria orale alcune la seguivano nude, avvolte in pesanti mantelli di feltro per chiedere benevolenza al santo – una forte rappresentazione che avvicina la donna ad Eva, solo che qui la nudità rappresenta l’anima che viene messa a nudo agli occhi del santo. Alla vara vengono legate della corde dette “lazzuna” che servono alle donne per alleviare la fatica degli uomini contribuendo allo sforzo della processione. Questo è il quadro di una devozione molto suggestiva, permeata da richiami antichi e di interesse antropologico.
Per meglio comprendere le dinamiche e le caratterizzazioni della festa, abbiamo volto il nostro sguardo anche a Sinagra dove, grazie alla competenza del Prof.re Domenico Orifici, studioso di storia locale, ci siamo fatti accompagnare nei luoghi del Santo. La storia qui assume nuova connotazione, mantiene la stessa impostazione della vita del santo conosciuta e varia solo il motivo del viaggio a Costantinopoli del Vescovo Leone, che diventa un mandato di cattura per aver disatteso l’ordine dell’Imperatore d’Oriente che voleva la distruzione delle immagini sacre (iconoclastia) contro il volere del Papa di Roma che le sosteneva. Leone non ubbidì all’imperatore e sposò il volere del papa. La cosa infastidì l’imperatore da cui dipendeva la Sicilia e quindi anche Catania. Il Giuffrida scrive: “Un giorno l’imperatore lo volle a Costantinopoli perché rendesse ragione del suo operato in netta opposizione all’editto da lui emanato e venisse punito. Ci dicono gli storici che l’imperatore fu talmente soggiogato dalla spiccata e incisiva personalità del vescovo catanese che lo rimandò illeso nella sua città; capì, anzi, che al minimo sgarbo che gli si fosse fatto avrebbe potuto provocare un’autentica sommossa popolare”. ( T. Giuffrida, op. citata.) E’ in conseguenza del mandato di cattura, che Leone come un eremita si nascose sotto le mura di Rometta, per poi spostarsi in un bosco vicino, dove più tardi fu eretta una chiesa. L’arrivo nelle terre sinagresi dipese dalla necessità di scampare alle ricerche, e così Leone si rifugiò in un posto più sicuro e tranquillo, a Sinagra, nel vallone d’Orecchia in una grotta ai cui piedi sgorgava una sorgiva di limpida acqua. Come si vede ancora una volta le storie si sovrappongono e si mischiano, tanto da funzionalizzare in ogni luogo la figura del Santo, onde poterlo assimilare. Come il racconto del Gaetani, i luoghi di Rometta qui vengono trasposti a Sinagra, con i medesimi rimandi, la grotta, la sorgente d’acqua e come prima assistiamo alla santificazioni di quei luoghi con la costruzione di un luogo di venerazione. Nello stesso posto fu eretta una chiesa che nel 1091 era suffraganea al convento basiliano di Raccuia motivo per cui, scrive il Pirri, il conte Ruggero la cedeva col territorio di Sinagra, Ficarra e Piraino a quel monastero. Il suo successore, Ruggero II, nel 1143 confermò quanto fatto dal padre. Qui il vescovo Leone, avrebbe avviato il processo di evangelizzazione dei territori che sarebbero rimasti devoti nei secoli. Interessante a questo punto a differenza di Longi notare come nel territorio di Sinagra le tracce della presenza del Santo siano più tangibili, tanto da retrodatare il culto già nell’anno1000 d.C.. Una labile tradizione orale vuole che, essendosi il vescovo attardato troppo a rientrare, i catanesi abbiano mandato dei giovani per riportarlo indietro, anche con la forza. Leone voleva completare l’opera di evangelizzazione iniziata e si mostrò restio al rientro. Alla fine convintolo, il gruppo, la sera stessa partì alla volta della città etnea, stranamente però al primo chiarore dell’alba seguente si trovarono al punto di partenza, Sinagra! Spaventati rinunciarono alla loro azione e se ne tornarono senza il loro vescovo. Le tracce del passaggio di Leone a Sinagra si scorgono anche nella tradizione contadina che vogliono attribuita al santo una croce incisa su una pesante pietra, in contrada “gorghi”. La leggenda tramanda che sia stata la mano di Leone a scolpirla, proprio nel punto dove avrebbe incontrato il Diavolo e, per scacciarlo per sempre, avrebbe lasciato una croce incancellabile, sigillandone il passaggio. Per tale ricorrenza, ogni anno, l’otto maggio, la statua del Santo viene portata a quella pietra al grido di “ Viva San Leone”. Anche qui rileviamo la presenza di una reliquia del Santo, custodita in un cofanetto dove è riportata la data del1584. Riteniamo pertanto che fu in quell’epoca che San Leone sia stato proclamato protettore di Sinagra anche se la devozione, come dimostra l’esistenza della sua chiesa, sia retrodatata dalla sua permanenza in questi luoghi. Verso la metà del 1300 si tramanda un miracolo in favore di Margherita Lancia, ragazzina affetta da un male incurabile; i suoi si
rivolsero al “Taumaturgo San Leone” e per sua intercessione avvenne la guarigione. Verso la metà del 1700 il Di Marzo scrive che la chiesa filiale più importante a Sinagra era quella di San Leone, costruita accanto alla grotta con limpida sorgente ed era curata da eremiti. Più tardi questa chiesa fu travolta da una frana e ricostruita poco distante. La festa principale del protettore San Leone cade l’otto di maggio, preceduto da messe di preparazione nei giorni prima della solenne consacrazione, arrivando così al giorno della celebrazione delle ore 11:00, momento culmine dei festeggiamenti religiosi, a conclusione dei quali, la statua viene portata poi nella chiesa del Crocifisso, da dove alle 16 riparte in processione, fermandosi però al “Canapè” per poi ripartire con una spettacolare corsa fino alla piazza. Poi la processione si ricompone e gira per le strade del paese. Verso le 18 viene portato alla pietra di San Leone per il rituale saluto e poi rientra in chiesa. Ma lo si festeggia anche la domenica successiva al 4 del mese di novembre, momento in cui la statua sempre in processione dalla chiesa madre viene portata a quella di campagna, nell’omonima contrada del Santo. La notte di Pasqua dopo la messa alla chiesa di campagna, all’imbrunire, accompagnata dai fedeli, su un pesante fercolo portato dai giovani del luogo, il santo viene riportato in processione notturna molto lenta (quasi due passi avanti e uno indietro) alla chiesa madre, in uno spettacolo di luci e di colori. E’ in questo momento di gioia che simbolicamente la vara con il santo attraversa il ponte dove è stata preparata una spettacolare scenografia con giochi d’artificio. E’ il momento topico della festa, in cui il Santo e i fedeli partono di corsa verso la piazza al grido di “Viva San Leone”. Al termine la processione riprende il cammino verso la chiesa Madre dove avviene la benedizione che chiude la festa. La lotta di S. Leone contro il male finisce nella fornace accesa, che grazie al fuoco della fede arde e brucia, rappresentando la volontà di non cedere alle tentazioni terrene, e viene qui espressa con la purificazione dell’intera comunità che affronta il passaggio della vara e dei suoi fedeli dentro il fuoco purificatore di corsa, rivivendo simbolicamente in perpetuo quanto accaduto a Catania. In conclusione non possiamo non sottolineare come nelle due comunità devote al Santo ci siano significative differenze rituali, con una primogenitura più forte a Sinagra rispetto a Longi, ma questo non toglie che il legame con questo santo e la devozione dopo più di mille anni rimane immutata.
Bibliografia Ottavio Gaetani “Vitae Sanctorum Siculorum” riproduzione anastatica Vita dei Santi, voce “San Leone il Taumaturgo”, ed. Città del Vaticano 1890 e successive ristampe. Wikipedia, San Leone Vescovo San Leone protettore di Longi di F. Lazzara 1994 “Il Fuoco, simbolismo e pratiche rituali” I. E. Buttitta, ed. Sellerio 2002 “Il linguaggio simbolico dell’esoterismo” M. Centini-M. Leone Tipheret 2014 “Sinagra e Martini, la Fagli e la Storia” AA. VV. Comune di Sinagra, Assessorato dei B. C e A. e della P.I. 2010 “Regie Trazzere, I sentieri di un tempo” Consorzio Arte 2006