Sulle origini di Kalè Akté – Calacte
di Francesco Collura
Secondo il racconto di Diodoro Siculo (12.8.2), Kalè Akté venne fondata da Ducezio intorno al 446 a.C. Racconta lo storico di Agira che Ducezio, esiliato a Corinto dopo essere stato sconfitto dai Greci di Sicilia, sostenendo di agire per ordine di un oracolo che lo invitava a fondare una città “nel bel promontorio” in Sicilia, ruppe quell’accordo che gli imponeva di stare lontano dall’isola e salpò verso di essa portando con sé un certo numero di coloni; alcuni Siculi, tra i quali era Archonides di Herbita, si unirono a lui, ed è così che avvenne la fondazione di quella città.
Tradizionalmente si è sempre ritenuto quindi che Kalè Akté sia nata a metà del V secolo a.C. e la sua identificazione con l’odierna Caronia è sicura solo da circa un secolo, sulla base dell’esatta interpretazione dell’opera topografica di Tolomeo, che la colloca tra Halaesa (Tusa) e Halontion (San Marco d’Alunzio) e soprattutto per via dei rinvenimenti numismatici, considerando il ripetuto e consistente recupero di monete di quella zecca (si conoscono ben 5 diverse emissioni calactine, di età compresa tra la seconda metà del III e la prima metà del II secolo a.C.). Circa l’esatto sito della fondazione di Ducezio, a lungo si è ritenuto che dovesse identificarsi con l’odierna Marina di Caronia, quindi sulla costa, fino alle prime scoperte avvenute negli anni ’70 del secolo scorso in collina, ad opera dello studioso messinese G. Scibona, a cui fecero seguito alcuni saggi di scavo nel corso degli anni ’90 che portarono in luce strutture abitative databili principalmente tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C.. In effetti, ipotizzare una fondazione tendenzialmente sicula, come lo era quella di Ducezio e Archonides di Herbita, sulla costa non doveva avere molto senso, se si pensa che tutti gli abitati siculi sorgevano su alture ben difese. Il contrario si sarebbe pensato nel caso di una fondazione greca, tipicamente e storicamente marittima.
La vicenda della fondazione di Kalè Akté, anche sulla base dei dati recentemente raccolti, può essere così ricostruita: nel corso della guerra tra Siculi e Greci di Sicilia, dovettero affiliarsi a Ducezio anche i Siculi del nord, quelli di area nebroidea, sebbene di essi non si faccia mai cenno. Si fa cenno di Herbita, potente città sicula ostile a Siracusa, ma solo qualche decennio più tardi in occasione della guerra tra Siracusa e Atene nell’isola. Recenti indagini condotte da chi scrive collocano Herbita a Monte Alburchia, presso Gangi, a non molta distanza dalle sue “sub-colonie” di Kalè Akté e Halaesa. Quando Ducezio decise di rientrare in Sicilia per fondare la sua ultima città, doveva conoscere bene i luoghi e soprattutto sapeva di potere contare sull’appoggio del dinasta di Herbita, Archonides. Quest’ultimo controllava un’ampia regione che comprendeva parte delle Madonie orientali e i Nebrodi occidentali, dove esistevano una serie di piccoli insediamenti indigeni qualificabili come abitati “satelliti” della stessa Herbita. La scelta della collina di Caronia non fu casuale, come vedremo in seguito.
Il rinvenimento sporadico sulla collina di Caronia di frammenti di ceramiche sia indigene che greche databili agli ultimi decenni del V secolo a.C. conferma la data della fondazione suggerita da Diodoro Siculo. E’ tuttavia probabile che la prematura morte di Ducezio, avvenuta nel 440 a.C., e la circostanza per cui Herbita fu impegnata contro Siracusa nei decenni immediatamente successivi, abbiano impedito lo sviluppo urbano dell’insediamento sulla collina, che pare avviarsi verso una certa crescita demografica solo a partire dagli ultimi decenni del IV secolo a.C., probabilmente nel quadro generale di ripresa indotta dalla venuta di Timoleonte in Sicilia.
Nel corso degli scavi archeologici condotti in c.da Pantano, a Marina di Caronia tra il 1999 e il 2005, sono stati rinvenuti materiali di molto precedenti la metà del V secolo a.C. Un’applique con testina in stile dedalico rinvenuta fuori contesto datava già alla fine del VII secolo a.C. la presenza greca nel sito. Altri frammenti dagli strati più profondi si datavano nel corso del VI secolo a.C. Ciò suggeriva l’esistenza di un insediamento greco precedente la fondazione di Ducezio, non si sa bene di che tipo e di quali dimensioni.

Selezione di frammenti ceramici di età arcaica e classica da una discarica di terreno a Caronia Marina
Una conferma alle ipotesi che già si potevano fare circa la prima frequentazione greca in età arcaica della costa di Caronia è venuta dal rinvenimento casuale, sempre a opera di chi scrive, di molti materiali frammentari databili dalla prima metà del VI alla metà del V secolo a.C. in una discarica di terreno, probabilmente asportata dall’area di contrada Pantano alcuni decenni fa per la costruzione di una casa.
Il materiale ceramico rinvenuto comprendeva principalmente anfore da trasporto, tra le quali si annoveravano contenitori punici arcaici, anfore corinzie A, A’ e B, una probabile massaliota e soprattutto anfore greco-occidentali arcaiche e classiche. Tra le ceramiche fini si datavano alla seconda metà del VI secolo a.C. frammenti di vasellame corinzio, di coppe skyphoidi di tradizione ionica, di ceramiche egee e di coppe tipo Iato K480 di produzione imerese; tra la fine del VI e i primi decenni del V secolo a.C. si annoveravano frammenti di skyphoi attici a vernice nera di tipo corinzio, di kylikes attiche a vernice nera e di lucerne; alla prima metà del V secolo a.C. infine appartenevano, tra gli altri, molti esemplari frammentari di skyphoi attici a vernice nera e di uno o due crateri attici a figure rosse di ottima qualità. Evidentemente, lo scavo da cui proveniva il terreno di discarica aveva intaccato livelli molto profondi (erano presenti anche schegge di ossidiana, testimonianza di un insediamento dell’Età del Bronzo), raggiungendo gli strati di occupazione di VI secolo a.C.

Frammenti ceramici dalla discarica: porzione di kotyle corinzia (seconda metà VI secolo a.C.) e parti di bordo di cratere attico a colonnette a figure rosse (metà V secolo a.C. circa)
La tipologia dei materiali che è stato possibile recuperare e studiare, oggi conservati nei depositi della Soprintendenza di Messina, appare indicativa per comprendere quale fosse il contesto da cui essi provenivano. Assieme al vasellame fine, in buona parte d’importazione, alle lucerne, a parti di mortaria, a numerose vertebre di tonno, ossa animali semicombuste, strumenti in bronzo e piombo per attività legate alla pesca, una moneta in bronzo di Gela del 420 a.C. circa, ecc. la notevole quantità di anfore da trasporto induceva a pensare che dovesse trattarsi di un edificio destinato a funzioni commerciali, ovvero magazzino e luogo di rivendita. Di particolare significato è apparsa la presenza di diversi esemplari frammentari di anfore puniche databili alla prima metà del VI secolo a.C. Lo scavo aveva sicuramente intercettato strutture murarie ancora in situ, di cui erano testimonianza il numeroso pietrame da costruzione, le porzioni di mattoni crudi e soprattutto le tegole piane (solenes), che possiamo ipotizzare di produzione locrese o calabra per le caratteristiche dell’argilla, di colore beige molto chiaro con caratteristici inclusi, databili nel V secolo a.C.
Questi ritrovamenti restituiscono un nuovo quadro della presenza umana in età arcaica lungo la costa tirrenica della Sicilia e inducono a rivedere molti assunti riguardanti la colonizzazione greca nell’isola, che non si espresse solo nella creazione di grandi poleis dove insediare un gran numero di uomini, ma di una serie di insediamenti di vario tipo, dai phrouria agli emporia, i quali, insieme, consentivano ai coloni greci di controllare vaste aree principalmente vicino alle coste e nelle pianure che da esse si sviluppavano verso l’interno. I punti fermi da cui partire per ricostruire le vicende che interessarono la parte settentrionale della Sicilia sono costituiti da un lato dalle fondazioni greche di Zancle, Mylai e Himera, dall’altro dalla creazione degli insediamenti fenici di Solunto e Panormos e, insieme, dagli interessi commerciali di Greci e Fenici nel basso Tirreno.
Zancle venne fondata nel 730 a.C. circa; intorno al 715 a.C. dovrebbe collocarsi lo stanziamento della subcolonia zanclea di Mylai; Himera, altra subcolonia di Zancle, venne fondata intorno al 648 a.C. Incerta rimane invece la data di fondazione di Solunto e Panormos: Tucidide (6.2.6) racconta che i Fenici originariamente abitavano le coste della Sicilia in tutti i suoi lati, occupando promontori e isolette, ma all’arrivo dei Greci nell’isola abbandonarono i precedenti stanziamenti e si raccolsero nella parte occidentale di essa, in particolare nei siti di Mozia, Solunto e Panormus. Solo a Mozia si sono rinvenuti materiali che ne datino l’occupazione nell’VIII secolo a.C., mentre negli altri due siti non si sono finora rinvenuti segni di presenza umana antecedenti la seconda metà del VII secolo a.C. Si può ritenere, anche interpretando le parole di Tucidide, che Solunto e Panormos fossero state appositamente create per contrastare l’avanzata greca verso occidente dopo la fondazione di Himera.
La prima frequentazione del sito di Kalè Akté dovrebbe collocarsi all’epoca in cui gli Zanclei si spingevano verso ovest alla ricerca di un luogo adatto alla fondazione di una nuova città, quindi già intorno alla metà del VII secolo a.C. epoca a cui risale la fondazione di Himera. Non si può infatti pensare che le navi partite dalla città dello Stretto si siano spinte direttamente e senza scali intermedi verso la piana di Buonfornello, a una distanza di circa 150 km, in un territorio controllato da Sicani e Fenici. Se si osserva il litorale tirrenico nel tratto compreso tra le due colonie greche, o meglio tra Mylai e Himera, sono in verità molto pochi i siti adatti alla creazione di un abitato esteso che disponesse di un buon approdo. La piana che si estende subito a ovest dell’odierno abitato di Marina di Caronia, ampia oltre 70 ettari, che si sviluppa con un promontorio sul mare, un tempo ancora più proteso, formando una baia ben protetta, dovette subito colpire l’attenzione degli esploratori zanclei a bordo delle loro navi. La conformazione di questo luogo è in effetti molto favorevole per una occupazione estesa secondo i canoni urbanistici greci: alle spalle della vasta piana costiera si eleva un altipiano di circa 20 ettari e, dietro di questo, una collina di 300 metri d’altezza che costituiva un’acropoli naturale. Complessivamente lo spazio abitabile superava i 100 ettari.
Non sono finora stati rinvenuti materiali databili alla metà del VII secolo a.C., sebbene si debba considerare che quasi nulla è stato pubblicato dei reperti provenienti soprattutto dai recenti scavi in contrada Pantano antecedenti il III secolo a.C., ancora in fase di studio da parte della Soprintendenza di Messina.
Himera tuttavia, sebbene a una distanza maggiore, venne fondata in un sito che offriva alcuni vantaggi che il sito di Marina di Caronia non garantiva, in particolare un retroterra di più agevole controllo e occupazione a scopi agricoli, nonché una favorevole conformazione delle alture che consentiva un’agevole espansione verso l’entroterra, attraverso ampie vallate fluviali. Al contrario, il sito di Kalè Akté era caratterizzato dalla presenza di monti che si elevano repentinamente fino a 1400 metri e oltre, con poche vie naturali di penetrazione verso l’interno. Ad una ottima localizzazione per l’impianto dell’area urbana non si accompagnava, in sostanza, un favorevole retroterra agricolo; inoltre le alture creavano una sorta di barriera che non consentiva un’espansione su tutti i lati. Non è da trascurare la circostanza per cui Himera fu creata su una piana costiera e un altipiano retrostante, esattamente le caratteristiche del sito di Kalè Akté, a prova del fatto che i coloni forse volevano applicare in entrambi i luoghi lo stesso progetto di città.

. Porzioni di anfore arcaiche e classiche dalla discarica. Dall’alto in basso: bordo di Corinzia A, frammenti di puniche arcaiche, bordi di greco-occidentali arcaiche e classiche, bordo di Corinzia A’ e puntale di Corinzia B
Non bisogna comunque pensare che siano stati solo i Greci a frequentare queste contrade in epoca arcaica. Dobbiamo invece credere che anche i Fenici, nel corso del VII e VI secolo a.C., dovevano raggiungere abitualmente questi luoghi per svolgere i loro commerci con gli insediamenti indigeni delle alture prossime alla costa. Effettivamente contatti precoci tra i Greci di Zancle e i Fenici dell’occidente isolano sono ampiamente attestati dalla presenza di ceramiche fenicie di VII secolo a.C. a Messina, dove sono stati rinvenuti anche manufatti locali di imitazione fenicia. Anfore fenicie di VII-VI secolo a.C. sono state recuperate nella necropoli arcaica di Mylai. In quale luogo venissero scambiati questi manufatti non è chiaro e si potrebbe anche ipotizzare la presenza stabile di un gruppo levantino all’interno della città dello Stretto. Se ciò fosse vero, nulla potrebbe escludere che piccoli insediamenti fenici esistessero anche lungo la costa tirrenica, di cui non è rimasta traccia visibile per il fatto che quelle comunità vivevano in tenda e non in case in muratura, mentre indagini sistematiche dovrebbero cercare e sapere identificare prodotti ceramici di quella cultura nei siti indiziati di occupazione umana in epoca arcaica, compresa Marina di Caronia. Al momento i materiali fenici più antichi rinvenuti a Caronia sono costituiti da frammenti di anfore da trasporto classificabili nella tipologia Ramòn 10.1.2.1, che vennero prodotte fino alla metà del VI secolo a.C., presenti anch’essi nella discarica di cui parlavamo e che in quel contesto non si accompagnano, peraltro, a ceramiche greche altrettanto antiche. Appare probabile che tra VII e VI secolo a.C. presso Marina di Caronia esistesse un piccolo insediamento frequentato sia da Greci che da Fenici con lo scopo di scambiare ognuno merci con i centri indigeni di questo settore dell’isola.
Ad un incremento di materiali ceramici a partire dall’ultimo terzo del VI secolo a.C. potrebbe corrispondere un’evoluzione di quell’insediamento, in particolare la sua trasformazione in emporion. A questo induce a pensare la presenza di molto vasellame d’importazione dalla Grecia e soprattutto di anfore commerciali. L’esistenza di una postazione mercantile a Kalè Akté in effetti è plausibile, per la sua stessa collocazione geografica: a metà strada tra Zancle e Himera, dotata di un ottimo approdo, assolveva alla funzione di punto di sosta per le navi impegnate in quella lunga tratta marittima e costituiva un importante nodo di scambio tra i mercanti greci e le popolazioni sicule delle alture circostanti.
Il controverso cenno contenuto in Erodoto 6.22-23 circa la mancata fondazione di una colonia ionica a Kalè Aktè, riferito ai primi anni del V secolo a.C., troverebbe una spiegazione proprio nell’esistenza di un insediamento greco ben conosciuto da tempo, controllato da Zancle, pronto in quell’occasione a trasformarsi in vera e propria polis. Ricordiamo come gli Zanclei invitarono gli Ioni in rivolta a venire in Sicilia per fondare una loro colonia, proprio a Kalè Akté, e che ciò non avvenne solo perché quelli (Samii ed esuli di Mileto) preferirono stanziarsi nella stessa Zancle, approfittando del fatto che i suoi uomini erano impegnati in una guerra, forse finalizzata ad avere il pieno controllo dell’area in cui si trovava il promontorio calactino. Venuti a conoscenza del fatto che la loro città era stata occupata, gli Zanclei vi tornarono precipitosamente, chiedendo l’aiuto di Ippocrate di Gela, nelle cui mani, peraltro, Zancle si trovava. Ippocrate incolpò Scite, re di Zancle, per l’accaduto e lo esiliò; permise agli Ioni di rimanere in città ma in cambio si assicurò il possesso del suo territorio. Non sappiamo con sicurezza se in questa occasione il controllo gelese si fosse esteso fino alla postazione zanclea di Kalè Akté sul Tirreno, circostanza che potremmo anche ipotizzare considerando la situazione politica che si era venuta a creare in Sicilia con le conquiste di Ippocrate.
I materiali ceramici rinvenuti a Marina di Caronia confermano l’esistenza dell’emporion calactino all’epoca cui si riferisce il racconto di Erodoto e, considerato che non fu possibile darvi la veste di polis, esso continuò a svolgere questa funzione prettamente commerciale per tutta la prima metà del V secolo a.C. e fino alla fondazione della città di Ducezio. Come detto prima, la scelta del sito per questa ktisis non fu casuale, ma dettata da ragioni di convenienza sia politica che economica. A metà del V secolo a.C. l’area di alture boscose ai margini delle quali esisteva l’emporion marittimo si trovava sotto il controllo della città sicula di Herbita. Insediamenti indigeni che riteniamo funzionali ad un controllo strategico herbitense di questo versante dei Nebrodi, si trovavano a poca distanza dalla postazione commerciale greca (Pizzo Cilona, Contrada Aria e probabilmente anche contrada L’Urmo, erano occupati da abitati già nella prima metà del V secolo a.C.). Ciò che ipotizziamo per questa delicata fase storica è che i Siculi di Herbita avessero accettato la presenza greca sul loro territorio, a condizione che un tale insediamento non si evolvesse in vera e propria polis con conseguente necessità di occupare sempre maggiori aree agricole. E’ probabile che all’epoca in cui invitava gli Ioni a fondare una città nel “bel promontorio sul mare”, Zancle fosse entrata in conflitto con i Siculi di quelle contrade, che tuttavia riuscirono ad impedirle di dare sviluppo alla postazione emporica in vista di una vera e propria colonizzazione, che fino ad allora non si era compiuta.
Non è ancora chiaro se la collina di Caronia fosse sede di un seppur modesto abitato siculo prima della fondazione di Ducezio. I pochi frammenti di produzione indigena, sia decorati a motivi geometrici, sia di ceramica grezza, rinvenuti finora in maniera sporadica, sembrano piuttosto attestare l’esistenza della città duceziana negli ultimi decenni del V secolo a.C. Oltretutto, se un villaggio siculo doveva preesistere, doveva trovarsi nella parte più alta della collina, occupata irrimediabilmente dall’abitato medievale e moderno. Sicuramente la collina era abitata tra la fine dell’Età del Bronzo e la prima Età del Ferro, come provano le schegge di ossidiana e selce che si rinvengono lungo il versante nord-orientale.
Ducezio, in accordo con Archonides di Herbita e altri Siculi di cui non ci è stata fornita la provenienza, scelse quel sito già conosciuto e molto favorevole per prendere possesso di una parte di Sicilia che era rimasta in qualche modo fuori dalle mire espansionistiche delle potenze greche, altamente strategico per la sua ubicazione di fronte al Tirreno, ben noto nel quadro dei traffici commerciali per l’esistenza dell’emporion greco a pochissima distanza. In questo modo, Ducezio avrebbe voluto dare nuova vita al movimento autonomista siculo, scegliendo un luogo che, sia la conformazione fisica dei luoghi, sia l’esistenza di potenti centri indigeni dell’interno che impedivano la risalita verso nord di Siracusa, Gela o Akragas, rendeva una sorta di regno siculo indipendente all’interno di una Sicilia quasi interamente greca. La sua morte nel 440 a.C. dovette essere un duro colpo per le aspirazioni dei Siculi nebroidei, sebbene lo spirito indipendentistico di questo popolo sopravviva sino alla fine di quel secolo nei caratteri di alcuni insediamenti fortificati e in particolare, per quanto ci hanno tramandato le fonti, con Herbita che si oppose strenuamente all’espansione siracusana in queste contrade e anzi creò nel 403 a.C. una nuova sub-colonia a non molta distanza da Kalè Akté, ovvero Halaesa.
Le origini di Kalè Akté sono di complessa lettura, non solo per la cronologia solo recentemente e in parte chiarita, quanto per l’avvicendarsi nel tempo di interessi espressi da più parti. Scoperto il luogo all’epoca in cui Zancle si spingeva lungo la costa tirrenica per fondare una nuova colonia, l’originario piccolo insediamento divenne una postazione commerciale in piena epoca coloniale, condivisa probabilmente da Greci e Fenici con l’approvazione dei Siculi di queste contrade. La fondazione di Ducezio non sarebbe altro che una “rifondazione”, come fu quella di Paliké ad opera dello stesso capo siculo, con lo stesso nome che il sito vantava già da due secoli: kalh akth, ovvero “il bel promontorio”. Quella funzione prettamente commerciale del quartiere marittimo fu assolta anche dopo la fondazione sulla collina, nel corso dell’età ellenistica e oltre. Il porto di Calacte, nome latinamente trasformato, fu uno dei più attivi dell’isola per molti secoli, fino alla dismissione nel tardoantico a seguito di disastrosi eventi sia naturali che sociali.
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