Un ascensore per il monte
di Giuseppe Ingrillì con il contributo di Giovannino Milio
La comunità orlandina ha sempre fatto riferimento, per l’espressione della sua spiritualità, alla collina che ne sovrasta l’abitato “u munti da Madonna” come tutti affettuosamente lo chiamano.
Esposto com’è, alle tempeste e alle intemperie, nel periodo invernale è difficilmente raggiungibile mentre il restante periodo dell’anno solo i circa 320 gradini separano la chiesa e il sagrato da quelle affezionate persone che si dividono tra fedeli, sportivi e turisti.
Il monte, restituisce tracce di frequentazioni antiche e fu utilizzato in maniera certa dal 1200 come sede di un castello federiciano, che svolgeva funzione di controllo e di segnalazione. Dal 1598, anno dell’apparizione miracolosa di S. Cono sul colle è scelto anche come luogo di fede. Risale al 1600 la costruzione di una chiesa in conseguenza degli eventi miracolosi e che sin da subito fu eletto a Santuario e, dedicato a Maria SS. di Capo d’Orlando. Per la difficoltà della sua salita la chiesa non fu accessibile a tutti e quindi nel 1885, vista la poca frequentazione in inverno e nel periodo autunnale e considerate le difficoltà per gli anziani e gli infermi a raggiungerla, si decise di costruirne una alla marina. Tale chiesa denominata di Porto Salvo, fu realizzata con i fondi a disposizione della chiesa del Santuario e questo determinò l’abbandono del monte e dei suoi locali da parte del clero, con la chiusura totale in alcuni periodi dell’anno. Fu in conseguenza del forte sisma del 1978 e del successivo nel 1981 che la chiesa che già versava in stato di degrado fu dichiarata pericolante e inagibile. L’Arciprete del tempo padre Francesco Manzella rettore della chiesa al monte, non accettando il destino che già si figurava per la chiesa e in considerazione del grande amore che nutriva verso la Madonnina, si prodigò in tutti i modi per trovare i fondi necessari per salvare la chiesa. L’interessamento personale del parroco e le sollecitazioni alla Curia di Patti, i viaggi all’Assessorato e alla Soprintendenza permisero nel 1982 di approntare un progetto di recupero restituendo all’intera comunità orlandina l’amato colle. Questo però non soddisfaceva pienamente il parroco, che si prodigava a cercare una soluzione per un più comodo accesso al monte per tutti, stimolato anche da soluzioni e da idee che provenivano da fuori.
A partire dal 1955 Capo d’Orlando, con la sua fervida vita culturale che ruotava attorno alla mostra “Vita e Paesaggio di Capo d’Orlando”, attraeva artisti e innovatori che contribuivano a veicolare e proporre opere e idee che arricchivano e suggestionavano la mentalità cosmopolita degli orlandini. Qualcuno di loro si era prodigato a ipotizzare progetti e soluzioni, si fantasticava di smontare la chiesa per poi ricostruirla in pianura, qualcuno la immaginava sollevata da angeli per salvarla dall’abbandono, tutte soluzioni che fornivano una fantasiosa soluzione ad un problema sentito e reale (era il periodo in cui in Italia si cercavano le stesse soluzioni per salvare Venezia dall’acqua alta e dal degrado). Altri affrontavano il problema proponendo una soluzione stile Tour Eiffel, oppure un collegamento tra il pianoro del santuario con la prospiciente collina del semaforo con una funivia. I più concreti nelle soluzioni che si proponevano furono i fratelli Valenti, ingegnere uno e architetto l’altro, che invece ragionando su una proposta fattibile e concreta, pensavano ad un ascensore con partenza alla base del colle e arrivo nel pianoro all’interno di un manufatto; progetto che però non ebbe il parere favorevole della soprintendenza di Messina, per via dell’alterazione dei luoghi con la costruzione di un nuovo corpo sul pianoro. L’idea nella testa di Padre Manzella non smetteva di assillarlo, bisognava trovare la soluzione che avrebbe permesso a tutti di superare senza difficoltà i quasi 100 metri di dislivello. Fu per caso o per ragione che nel sacerdote prese ancor di più corpo l’idea di non cercare più lui la soluzione, ma di affidarsi a chi già di mestiere aveva le competenze tecniche necessarie per affrontare il problema, ponendo in essere i necessari passi per passare dalle ipotesi fantastiche alla concreta realtà.
Con il ricordo di uno dei diretti protagonisti, il Geometra Giovannino Milio, racconteremo il sogno che padre Francesco Manzella cercò di concretizzare con l’affidamento di incarichi da parte della Curia per uno studio di fattibilità e di progettazione per “un ascensore per il monte”.
Tutto comincia con…
“Giovannino, trovami una soluzione affinché tutti possano accedere alla chiesa del nostro santuario e pregare la Madonnina…”
Queste le prime parole che il buon padre Francesco Manzella mi sussurrò una sera d’autunno davanti la chiesa Cristo Re di Capo d’Orlando. Eravamo, Claudio Giuffrè ed io, passati a far visita a padre Manzella nel dopo festa della Madonna. Era una serata tiepida e intrattenerci a parlare con lui ci faceva sempre piacere. La dolcezza e la conoscenza di quell’uomo ci affascinava, si parlava di tutto, del papa Giovanni Paolo II che lui stimava e apprezzava tantissimo, dei giovani e di cosa vogliono, dei potenti della terra e dei disperati dell’Africa che muoiono di fame; se l’argomento era la carità dell’uomo verso l’uomo non smetteva di interrogarci e su come porgerci con gli altri per dare minimo conforto. “Dopo ti sentirai meglio” ci diceva sii tu da esempio per chi non ce la fa. Era già avanti con gli anni ed essendo lui il rettore del santuario, faceva fatica a salire a piedi quei 320 gradini che lo conducevano alla chiesetta a quota mt. 92,00 s.l.m., da dove Maria SS. di Capo d’Orlando guarda e protegge la sua comunità. Una mattina, non rammento di che giorno, forse perché preso dalle parole accurate di padre Manzella o, magari, perché sul mio tecnigrafo era steso il “lucido” di una scuola che aveva bisogno di restauro e di abbattere le barriere architettoniche, trovai la “mia” soluzione all’annoso problema del buon padre Manzella. UN ASCENSORE.
A Capo d’Orlando, tante volte si sono cercate soluzioni e altrettante volte tutte le idee sono state scartate. In città la collinetta “u munti da Madonna” è sacro e le ire degli orlandini per chi osa profanare tale sito sono funeste. Fra le tante, quella che poteva avere una benché minima possibilità di realizzo era quella dei germani Valenti (ing. Franco e arch. Mario); un ascensore con sbocco nel piazzale in un manufatto con le caratteristiche costruttive simili alla chiesa per non impattare troppo con la vicina costruzione. Purtroppo, come già detto, anche questa proposta fu abbandonata perché il vincolo dei bb.cc.aa. non consentiva, come non consente, nessuna costruzione aliena in quel luogo.Pensai, “perché non spostare l’uscita dentro il manufatto, nella “canonica” adibita a deposito?Tecnicamente e architettonicamente la cosa poteva esser possibile, anzi, sia la parte iniziale del tunnel che quella finale, per il tipo d’intervento immaginato, nella roccia arenaria o flysch di cui si tratta, avrebbe avuto un’azione consolidante e, ancor più interessante, nessuna opera esterna avrebbe impattato con l’ambiente circostante.
Quella notte l’idea non mi abbandonò e così la mattina dopo andai a trovare il buon padre Manzella. Il campanello d’ingresso ai locali abitativi adiacenti la chiesa Cristo Re, era tremendo, suonava fortissimo e ogni volta avevo quasi timore a suonarlo. “Siamo un po’ sordi!” mi disse sorridendo, ecco la potenza di tal suono. Mi fece entrare e accomodare nella prima stanza a destra, ci sedemmo davanti ad una scrivania e parlammo. Lo avevo incontrato sempre insieme a Claudio ma, questa volta, c’ero solo io. Sorridendo, come sempre, mi chiese: “e allora… hai trovato una soluzione per andare dalla Madonnina senza fiatone?”. Un timido si! Fu la mia risposta. “E parlamene figlio mio!…”. Gli spiegai l’idea, di come mi era venuta e di come poterla mettere in pratica:… la scuola, l’abbattimento delle barriere architettoniche, lo sbocco nella canonica, il consolidamento, etc…
Ci salutammo con un abbraccio.
Qualche giorno dopo eravamo a Patti in udienza da sua eccellenza il Vescovo monsignor Ignazio Zambito. “Prepara quanto necessario perché l’incarico è tuo”, mi disse tornando da Patti. Così fu. Sua eccellenza mi affidò l’incarico di progettazione e direzione dei lavori. Lavorare sui beni vincolati dalla soprintendenza ai bb.cc.aa. comporta delle specifiche competenze e specializzazioni, pertanto, l’architetto è un professionista che deve figurare come progettista e direttore dei lavori, qualora l’opera interessi un manufatto vincolato.
Chi meglio dell’architetto Mario Valenti, ispiratore dell’idea poteva seguirmi?
Mario ne fu felice, mi ricordò suo padre Rocco, della teleferica per portare i materiali e del vecchio progetto. Nel viaggio in macchina per Patti, sulla sua splendida Mercedes station wagon bianca con tetto apribile, in modo serio (sapendo di scherzare) mi sussurrò: “Secondo te … questa macchina è buona per un Vescovo?” ancora oggi, se ci ripenso, rido.
Poi, fu la volta del geologo. Il dott. Enrico Gurgone, antico compagno di università a Palermo nel fine anni 70, che annualmente trascorre l’estate a San Gregorio, ad essere stato da me indicato per la relazione geologica ed infine l’ing. Pellegrino, lo strutturista. (Siamo stati una bella squadra!!!).
I rilievi metrici della chiesa e della canonica, quello altimetrico dei costoni nord ed est, lo studio della roccia, delle piante da mettere a dimora, quello per la ripresa di un antico percorso che dal faro portava al castello ritrovato ad ovest della collina, lo studio dei venti e come proteggersi in fase esecutiva furono eseguiti. L’ottenimento dei necessari nulla osta questa volta con pareri favorevoli completarono il lavoro.
Ma, tutto si fermò. I viaggi a Palermo all’Assessorato Lavori Pubblici, non ci lasciavano rosee speranze per il finanziamento dell’opera, né tanto meno la promessa anche futura di poter trovare quei miliardi di lire che servivano per fare l’opera.
Il buon padre Manzella che seguiva trepidante la progettazione e ci incoraggiava ad andare avanti e completare gli elaborati, dicendoci “la fede farà il resto” non aveva fatto i conti con il suo di destino; la malattia lo colpì nella mente e nel fisico anziano. Il suo allontanamento da Capo d’Orlando a Palermo fermò ogni cosa. Dall’Assessorato si comprese che era inutile andare avanti, dalla Curia di Patti, mancando la spinta di padre Manzella, stante l’impossibilità di trovare altre strade di finanziamento l’attenzione alla cosa si fermò. Si fermò pure il cuore del caro sacerdote Manzella. La Madonnina continuerà ad essere visitata comunque da tutti, da chi può fisicamente affrontare e superare i 320 gradini e da chi non può, perché crede, con vero spirito e devoto pensiero d’amore per Lei.
«Se tu puoi credere, ogni cosa è possibile a chi crede». Marco 9:17-27