L’insediamento indigeno-ellenizzato di Monte Scurzi (Militello Rosmarino)
di Francesco Collura
Monte Scurzi è un’altura di forma pressoché conica al confine tra i territori comunali di Militello Rosmarino e Sant’Agata di Militello, nella parte settentrionale dei Nebrodi centro-occidentali. Si eleva fino a un’altezza di 494 metri s.l.m. a circa 2,5 km dalla costa tirrenica, stagliandosi in maniera ben riconoscibile al di sopra del corso del fiume Rosmarino, antico Chydas. Per le sue caratteristiche fisiche, con i fianchi scoscesi e a poca distanza sia dal mare che dalle montagne retrostanti, era un luogo di altissimo valore strategico: praticamente irraggiungibile da tutti i versanti, tranne che mediante una breve sella a sud, controllava sia il corso del fiume sottostante, naturale via di penetrazione verso l’entroterra, sia un lunghissimo tratto di costa, da Capo d’Orlando fino al promontorio di Caronia e oltre, prospettando sul Tirreno con all’orizzonte le Isole Eolie. Nonostante la sua natura poco adatta ad ospitare un abitato, essendo molto ripido su tutti i lati e caratterizzato in superficie da imponenti affioramenti rocciosi, fu scelto già alla fine dell’Età del Bronzo per ospitare un insediamento.
La storia della ricerca archeologica parte dalle prime ricognizioni di D. Ryolo negli anni ’50 del secolo scorso, seguite da quelle di G. Scibona negli anni’80, cui seguì l’esecuzione di un limitato saggio di scavo a cura della Soprintendenza di Siracusa allora competente. I risultati di quelle ricerche hanno dimostrato sostanzialmente l’esistenza di un abitato in vita dalla fine dell’Età del Bronzo fino al V secolo a.C., di limitate dimensioni, che occupava principalmente il versante occidentale, meno acclive, dell’altura. Nel corso dell’ultimo decennio ricognizioni sistematiche e studi sono stati eseguiti da chi scrive. Essi hanno interessato il Monte su tutti i lati, fino alle quote più basse, ed hanno consentito di cogliere dimensioni, struttura e cronologia dell’insediamento.
L’esame dei materiali affioranti in superficie, comprendenti sia ceramiche d’impasto che lame di ossidiana e selce, ha permesso di localizzare il villaggio della tarda Età del Bronzo – prima Età del Ferro lungo il pendio occidentale. Successivamente esso si ampliò, occupando l’altura dalla cima fino a una quota relativamente bassa sul versante ovest, estendendosi in parte anche in quello meridionale, molto accidentato, e verso est. Lembi poco conservati di strutture di forma semicircolare osservate sul pendio occidentale potrebbero appartenere al villaggio capannicolo dell’Età del Ferro, ma la modalità abitativa scelta a quell’epoca sembra essere stata principalmente l’occupazione di anfratti tra le rocce, in parte intagliate in modo da ricavare ambienti irregolari di piccole dimensioni.
Lo studio delle ceramiche presenti nel sito rivela che l’incontro tra gli indigeni che vivevano a Monte Scurzi e i Greci delle colonie (Zancle e Himera) avvenne poco dopo la metà del VI secolo a.C., epoca alla quale si riferiscono i materiali greci più antichi. Le attestazioni di cultura materiale tuttavia mostrano come questo insediamento abbia mantenuto una notevole impermeabilità agli influssi ellenici, limitando l’assimilazione dei nuovi modelli culturali a pochi aspetti della vita quotidiana.
Seguendo le nuove e più efficienti tecniche edilizie di tipo greco, nella seconda metà del VI secolo a.C. vennero progressivamente abbandonate le capanne circolari per l’adozione di strutture murarie lineari. Nel Monte, soprattutto lungo il pendio occidentale, si sono identificate diverse unità abitative, preservate a livello di fondazioni e in genere conservate nelle parti addossate al terreno, mentre quelle avanzate sono interamente scomparse a causa di frane e dilavamenti.. Esse mostrano come i muri di queste case, probabilmente comprendenti in genere due-tre ambienti, avessero uno zoccolo in pietrame, spesso a raccordo di spuntoni rocciosi, e alzati di mattoni crudi, di cui si rinvengono i resti ormai disfatti su una vasta area. Frequentemente le pareti di fondo erano ricavate spianando la roccia di base.
L’adozione di tetti stabili in tegole piane e curve dovette avvenire nei primi decenni del V secolo a.C. e non interessò tutte le unità abitative, molte delle quali conservarono tetti in materiale deperibile (rami e fango). Impossibile cogliere un’organizzazione urbana, se non in limitati settori, dove le case sembrano disporsi regolarmente lungo il pendio; più in generale, anche nel corso del V secolo a.C., la disposizione delle unità abitative era imposta dalla morfologia dell’altura e dalla presenza di asperità che era impossibile eliminare.
E’ probabile, anche per questa ragione, che non esistessero vere e proprie strade, ma piuttosto stretti sentieri che si incuneavano tra gli affioramenti rocciosi, collegando le diverse parti dell’abitato in maniera poco agevole. Sulla sommità è un’ampia area pianeggiante di incerta funzione. Qui non si sono osservati resti murari e l’interro non ha consentito l’affioramento di materiali ceramici significativi; indicativo appare il fatto che la roccia sembra spianata artificialmente. La sua posizione eminente, con vista sull’intero pendio ovest e sud, fa pensare che potesse trattarsi di un’area di culto in parte a cielo aperto.
L’insediamento arcaico-classico aveva un’estensione di circa 3 ettari, dimensioni queste, piuttosto modeste, che accomunano tutti i centri di quella fase in area nebroidea, dove prevaleva un tipo di modalità abitativa piuttosto disagevole ma avente come scopo principale la difendibilità da eventuali attacchi esterni. In effetti, se si osserva oggi Monte Scurzi e lo si percorre interamente, appare difficile immaginare che lì prosperò per diversi secoli un centro abitato, poiché la stessa ricognizione del sito risulta molto difficoltosa per via della ripidità dei costoni rocciosi e il loro affiorare dappertutto. Nel corso del V secolo a.C. quello di Monte Scurzi era comunque uno dei pochi insediamenti che potremmo definire “di tipo urbano” nel settore compreso tra Capo d’Orlando e il promontorio di Cefalù: le ricerche archeologiche degli ultimi decenni hanno accertato l’esistenza di abitati siculi presso Capo d’Orlando e San Marco d’Alunzio; il Monte Vecchio di San Fratello non era stato ancora occupato stabilmente, mentre poco più a ovest esisteva sin dalla fine del VII secolo a.C. un piccolo insediamento greco a Marina di Caronia, in seguito divenuto un emporion con il nome di Kalè Akté e a sua volta rifondato in veste di polis a metà del V secolo a.C. ad opera di Ducezio con la collaborazione di Archonides di Herbita; sempre in territorio di Caronia nel corso del V secolo erano in vita gli insediamenti di contrada Arìa e Pizzo Cilona. Si trattava pertanto di un settore dell’isola ancora poco abitato, dove regnava un ambiente incontaminato contrassegnato da una fitta foresta che arrivava a lambire il mare. Per la sua posizione, quello di Monte Scurzi dovette essere un centro di non poco rilievo già in epoca arcaica, arrivando a controllare un ampio territorio ricco di risorse.
Nella fase di massima espansione, che possiamo collocare nella prima metà del V secolo a.C., l’insediamento di Scurzi occupava l’intero pendio occidentale e parte di quello meridionale e sud-orientale. Non fu mai occupato, in nessuna epoca, il versante settentrionale, caratterizzato da una distesa di affioramenti rocciosi inaccessibili, praticamente privi di aree libere e occupabili. Parti di probabili strutture difensive, in grossi massi a giunzione di rocce naturali, sono stati osservati a valle dell’abitato occidentale e a sud-est. A sud correva la strada di accesso proveniente dalla sella, occupata dalla moderna frazione di Scurzi, protetta da appostamenti a monte dove sono stati rinvenuti veri e propri “arsenali” di piccoli ciottoli, verosimilmente usati come proiettili per fionde. La necropoli dovrebbe ubicarsi a ovest e nord-ovest, dove sono presenti alcune cavità in buona parte interrate che potrebbero essere state camere di sepoltura secondo usanze tipicamente sicule.
La persistenza di usi e tradizioni di derivazione protostorica in piena epoca greca è attestata principalmente – ma non solo – dalla coesistenza di vasellame di importazione greca (soprattutto skyphoi, coppette, kylikes, ecc.) e di produzione locale con forme in parte comuni ad altri insediamenti siculi (brocche a bocca trilobata, kyathoi, ciotole biansate, tutti privi di decorazioni), in parte non comuni e riferibili a tipologie molto arcaiche, spesso ancora modellate a mano con argille poco depurate. Non si è rinvenuto alcun frammento di lucerna: per l’illuminazione si continuarono ad usare torce in materiale vegetale. Molto rari gli esemplari di anfore commerciali: si segnalano due anfore puniche ed alcuni frammenti di anfore greco-occidentali, in entrambi i casi di V secolo a.C. La rarità di contenitori da trasporto potrebbe essere spiegata con una bassa propensione all’importazione, in particolare di vino. Non si sono rinvenute monete. Sorprendente invece la quantità di frammenti riferibili a pithoi e altri contenitori di grandi dimensioni, in genere di produzione locale. E’ da pensare che essi servissero per l’immagazzinamento di derrate alimentari e soprattutto di acqua, in considerazione del fatto che nel sito non sono presenti sorgenti idriche.
L’abbandono dell’insediamento di Monte Scurzi si data verso la fine del V secolo a.C.: i materiali greci più recenti osservati sono costituiti da coppette a orlo ricurvo, frammenti di lekanes e anforette miniaturistiche la cui cronologia non supera quella datazione. Particolari condizioni naturali, in particolare i dilavamenti su terreni di per sé poco adatti a ricevere cospicui interri, e la costante presenza, fino a pochi anni fa, di mandrie di bovini e ovi-caprini, con la caratteristica azione di sradicamento della vegetazione e scavo, ha provocato l’affioramento di alcuni contesti di abbandono intatti.
In essi era contenuto vasellame greco in associazione a indigeno, solitamente obliterato da crolli di mattoni crudi in disfacimento e in parte ricostruibile se non integro, con la costante presenza di carbonella e strati di bruciato che avevano intaccato anche le suppellettili. Inoltre erano generalmente presenti ciottoli verosimilmente usati come proiettili. L’ipotesi che si avanza è che l’abitato sia stato abbandonato improvvisamente per cause naturali (terremoto, frane con disastrosa caduta di massi dall’alto) o militari.
L’abbandono fu improvviso e definitivo, come dimostra il fatto che tutte le suppellettili furono lasciate dove si trovavano e gli abitanti non ebbero il tempo di recuperarle e portarle in salvo. Si potrebbe anche ipotizzare che l’insediamento sia stato oggetto di distruzione da parte di un altro centro indigeno che voleva espandere in quest’area il proprio controllo. In tal caso, viene da pensare alla vicinissima Halontion (San Marco d’Alunzio), che nel tentativo di espandere il proprio territorio attaccò il centro di Monte Scurzi, lo distrusse e deportò i suoi abitanti al suo interno. Non sembra essere un caso che l’ascesa di Halontion prenda avvio proprio tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. (le prime emissioni monetali di questo centro si datano infatti a quell’epoca). Dopo l’abbandono alla fine del V secolo a.C. il sito non fu più rioccupato: non sono stati individuati finora materiali successivi a quella data e la circostanza suscita perplessità in considerazione del fatto che si trattava di un formidabile punto di osservazione e controllo del territorio, soprattutto in occasione di eventi bellici.
Bibliografia di riferimento:
- Bianco, “Il territorio di S.Agata di Militello (ME) nell’antichità”. ASM 52, 1988, pp. 161-183
- Bonanno, “Nuovi ritrovamenti di età preistorica in alcuni siti della costa settentrionale della provincia di Messina”. Sicilia Archeologica 98, 2000, pp. 9-39
- Bernabò Brea, “La Sicilia prima dei Greci”. Milano 1958
- Burgio, La Sicilia centro-settentrionale tra Himera e Mylae: ipotesi di lettura sulle dinamiche storico-topografiche del territorio”. In Panvini, Sole, “La Sicilia in età arcaica. Dalle apoikiai al 480 a.C.”. Caltanissetta 2012, pp. 223-233
- Collura, “Studia Calactina I. Ricerche su una città greco-romana di Sicilia: Kalè Akté – Calacte”. Oxford 2016
- Collura “I Nebrodi nell’antichità. Citta Culture Paesaggi”. Oxford 2018 c.d.p.
- Scibona, s.v. “Monte Scurzi”. BTCGI XII, 1993, pp. 36-37
- Tigano, “L’attività della Soprintendenza di Messina nel settore dei beni archeologici tra la fine del 2010 e il primo semestre del 2012”. ASM 93, 2012, pp. 335-370